18/03/2011

Governance industriale e Pollaio Democratico

Come spesso la rubrica ha accennato, la globalizzazione industriale ha evidenziato tutti gli aspetti di inadeguatezza delle istituzioni che curavano la governance nell’agonizzante era degli Stati Nazione; sia quelle che erano state create per ‘proteggere’ i sistemi industriali nazionali e le relative corporazioni legittimate dal criterio del bismarckiano ‘welfare state’ (ormai parassitarie alla luce del prevalente interesse di sostenerne invece la ‘competitività’), sia quelle interne alle nazioni che curavano il raccordo di consenso politico tra le scelte politiche del paese e le aspettative nutrite dalle comunità più periferiche coinvolte in modo e misure altamente difformi.

Questo è il primo aspetto di riorganizzazione della governance industriale che è stato innescato su base globale e che, inevitabilmente, procede in modo gerarchico (secondo la preponderanza di peso reciproco degli interessi economici coinvolti (G2 e successivamente tutta la gerarchia di sistemi nazionali a scendere) ed è iniziata a partire dalla negoziazione della governance del sistema di scambi internazionali (quelli che hanno innescato la ‘catena destabilizzante’ la vecchia governance vigente nell’era dei singoli Stati Nazione).

Esiste tuttavia un secondo aspetto che, grazie alla globalizzazione industriale, è stato posto in evidenza circa l’inadeguatezza istituzionale della vecchia governance liberal-democratica il quale si riferisce all’esigenza di estendere orizzontalmente il gioco di check & balance tra i ‘poteri istituzionali’ integrando tra quei ‘poteri’ il ‘quarto potere’ dei media e, reintegrandovi un ‘quinto potere’ della ricerca scientifica (che fu la primissima genesi storica delle libertà istituzionali con le Scuole filosofiche e le Università sin dall’alto medioevo).

Questi due aspetti erano già emersi sul piano culturale più diffuso (Orson Welles e il suo Citizen Kane) ed erano venuti incancrenendo le relazioni e la stessa stabilità istituzionale (da William Randolph Hearst fino, a Bob Woodward e Carl Bernstein del Watergate fino al più attuale Julian Paul Assange di Wikileaks) della vecchia governance interna agli Stati Nazione.

Tuttavia oggi la riorganizzazione della governance industriale su base globale esalta queste due infrazioni al criterio della ‘legittimità’ dei ‘poteri istituzionali’ e della loro ‘responsabilità’ funzionale, già evidenti ed oggi deteriori rispetto all’obiettivo stesso di stabilire una condivisa nuova governance globale.

Una volta chiarita l’esigenza di riorganizzare il numero dei ‘poteri istituzionali’ nel rispetto del gioco liberal-democratico di pesi e contrappesi che ne regolano il reciproco equilibrio in funzione del sistema governance e non degli interessi interni alle corporazioni che animano ogni singolo ‘potere’.

Come abbiamo spesso evidenziato nessun sistema liberal-democratico sopravvive al libero esercizio della più irresponsabile ‘demagogia’; un sistema realmente liberal-democratico deve consentire che, ad ogni livello, si riesca ad esprimere la voce di quella che, a quel livello, è definibile la ‘pubblica opinione’.

Infatti è la voce espressa dalla ‘pubblica opinione’ la sola fonte di legittimità per ogni ‘potere istituzionale’, nessun potere è legittimo se non sottoposto ad un’espressa approvazione elettorale.

Affinché la voce della pubblica opinione possa esprimersi liberamente per legittimare in modo ‘responsabile’ le proposte in ogni comparto della vita organizzata è indispensabile che essa sia adeguatamente informata.

Ora il problema della ‘informazione’ è presente ad ogni livello della vita di tutti i cittadini, scolarizzazione, istruzione secondaria, istruzione professionale, formazione continua, aggiornamento e cronaca con diverse esigenze che ne determinano la correttezza e l’adeguatezza; in tutte quelle fasce di ‘informazione’ occorre sia chiaro che si sta parlando di una ‘informazione’ che ha carattere espressamente ‘divulgativo’ – quindi di un carattere ‘giornalistico’ al livello di completezza, correttezza ed astrazione concettuale necessario per la fascia di utenti cui essa è destinata.

In questo senso occorre catalogare tra i ‘divulgatori’ (i ‘media’) tutti gli operatori intellettuali che agiscono per ‘trasmettere’ conoscenze scientificamente consolidate in ogni comparto di industria.

È ‘divulgazione’ l’opera dei professori a ogni livello che assolvono il compito di formare nuovi e responsabili professionisti capaci di garantire il corretto funzionamento del sistema tecnologico industriale in tutti i suoi aspetti tecnici, organizzativi, legali ed economici.

È divulgazione anche l’opera dei giornalisti scientifici che curano la diffusione degli articoli d’aggiornamento sugli sviluppi della ricerca verso l’audience degli scienziati dello specifico comparto in questione.

È divulgazione anche l’opera svolta dal comparto dell’edutainment con lo sviluppo di realtà virtuali e giochi per diffusione verso la più vasta audience sociale, con finalità di acculturamento ad un accelerato progresso industriale che coinvolge ormai ogni generazione con aspetti differenziati ma di comune interesse.

Non è invece ‘divulgazione’ quella speciale raccolta ed organizzazione di informazioni relative a temi ancora scarsamente conosciuti e soggetti ancora alla ‘ricerca’ di verifica della struttura logica e potenziali impieghi pratici. Si tratta in quel caso di informazioni di non consolidata interpretazione da parte di una particolare fascia di pubblica opinione’ - i ‘ricercatori’ – tra i quali potrebbero emergere gli ‘scienziati’, cioè quel piccolo coacervo di capi-scuola capaci di formulare loro ‘originali teorie’ interpretative delle informazioni in oggetto che possano garantirne la coerenza organizzativa e strutturale che dovrà essere poi sottoposta a verifica dai ‘ricercatori’ stessi. Anche in questo caso si sviluppa un processo di ‘divulgazione’ tra lo ‘scienziato’ che formula la ‘teoria innovativa’ verso l’opinione pubblica ristretta composta dai ‘ricercatori’ che devono essere posti in grado di capire le ragioni e l’articolazione della teoria stessa per riuscire a sottoporla agli accertamenti sperimentali che la possano ‘falsificare’ prima che essa entri a fare parte del patrimonio di conoscenze scientifiche ben consolidate e quindi degne di essere acquisite dai programmi di ‘divulgazione scientifica’ che compongono la gerarchia già menzionata di informazione, istruzione, formazione o semplice aggiornamento qualitativo del potenziale raggiunto dal progresso tecnologico da cui dipendono le soluzioni industriali destinata a migliorare la qualità di vita e che, spesso, vengono intralciate da istanze irresponsabili della politica più demagogica; come nel caso dell’opzione relativa all’adozione o rifiuto per via referendaria dell’energia nucleare in Italia.

Nulla negherebbe di poter interpellare l’opinione pubblica a suffragio universale com’è nel caso della scelta di democrazia referendaria; è un’istanza accettabile nell’ambito delle liberal-democrazie – come lo è la dittatura a termine.

Ciò che costituisce il prerequisito di qualsiasi paradigma cui si ispiri il tipo di governance in spirito liberal-democratico è un’informazione adeguata a garantire la stabilità del sistema durante le dinamiche che deve attraversare ogni sistema vitale tramite scelte alternative che ne definiscono la crescita.

Sottoporre a referendum a suffragio universale quesiti relativi alla ricerca più avanzata semplicemente non è possibile per l’impossibilità di ‘divulgare’ alcunché in quanto ogni possibile sviluppo è ancora soggetto al lavoro di ‘falsificazione’ da parte di una relativamente ristretta cerchia di ‘ricercatori’ esperti nella materia in questione. Ricercatori quindi concentrati su obiettivi ‘partigiani’ di dimostrare oppure negare validità alla teoria proposta. Essi quindi potrebbero al più ‘divulgare’ una comprensione circa il proprio punto di vista al ristretto sottoinsieme degli studiosi specialisti in materia e dediti a superarne gli attuali limiti scientifici.

Ogni sforzo di estendere quella ‘divulgazione’ non merita attenzione sotto il profilo della ‘partecipazione democratica’ alle decisioni.

Analogamente occorre che ad ogni livello di ‘partecipazione democratica’ si valuti la fascia di audience che sia effettivamente conveniente chiamare a esprimere le libere opinioni in quanto sembra ragionevole possa concorrere ad aumentare il grado di legittimità delle scelte in questione.

Ogni partecipazione al voto dovrebbe consolidare la legittimità di scelte tecniche il cui onere non può essere il ristretto privilegio degli ‘esperti’ in materia. Occorre che le loro scelte vengano illustrate come proposte ed approvate o rigettate da una più vasta cerchia di pubblica opinione; senza limiti prestabiliti di estensione.

Ciò che limita l’estensione del diritto al voto è solo la credibile comprensione posseduta della materia in questione; tanto più vasta la partecipazione tanto maggiore l’impegno di ‘divulgazione’ informativa.

Solamente una corretta divulgazione può garantire l’espressione di scelte non soggette alle suggestioni della demagogia.

La qualità dell’informazione ‘divulgativa’ dipende non solo dal tipo di trattamento col quale viene illustrata la materia ma anche dal modo in cui vengono organizzati i dibattiti con la partecipazione del pubblico.

I dibattiti aperti al pubblico sono soggetti a fini di interesse commerciale o politico (pubblicità o propaganda) più opportunista che li rende particolarmente adatti ad un trattamento ‘spettacolare’ della materia.

Ogni trattamento spettacolare si fonda sull’esaltare gli aspetti più estremi (e statisticamente meno rilevanti) di ogni problema ed estremizzarne le interferenze funzionali; ciò esalta ogni illustrazione scientificamente corretta della materia trattata.

Inoltre i trattamenti spettacolari attraggono l’attenzione delle audience sottolineando quegli aspetti estremi che ‘orientino’ l’emotività del pubblico verso esiti desiderabili a scapito di altri. Si tratta di un tipo di ‘plagio’ o di condizionamento della conoscenza che viene reso gradevole per la facilità con cui si stabiliscono punti di vista condivisi o avversati sulla cui base il dibattito diventa un vero e proprio cicaleccio da bar del lunedì; un vero ‘pollaio’ nel quale tutte le galline chiocciano dietro al canto del gallo che ne pilota la gratificante assemblea.

Per la sopravvivenza di regimi liberal-democratici nell’ambito della attuale globalizzazione industriale ad alto tasso di crescita, è indispensabile che si organizzi il comparto mediatico e quello della ricerca pura e industriale in due nuove istituzioni di interesse pubblico che siano responsabilizzate sul piano costituzionale alla conservazione della governance sottoposta a tutti gli stress imposti dall’accelerazione della crescita di un sistema caratterizzato da enormi diversità interne.

Ciò che sta accadendo in tema di scelte energetiche in Italia è emblematico. L’informazione sottolinea spesso questa complessa materia così essenziale per l’interesse del paese esaltando emotivamente i rischi inesistenti dell’energia nucleare, sottacendo i preponderanti rischi non ecologici dell’energia da combustibili fossili, minimizzando i rischi del ritardo cronico decisionale, minimizzando l’aspetto anti-economico delle energie alternative ed esaltandone le potenziali prospettive di servizio industriale. Tutte queste disinformazioni sono propagandate da veri e propri ‘magliari’ privi di conoscenze scientifiche adeguate ma assetati demagoghi; che il sistema mediatico gratifica in quanto il loro ‘pollaio’ si presta alla raccolta di interesse presso le più vaste audience che, a loro volta, giustificano l’afflusso di contratti commerciali di pubblicità.