18/03/2011

Opportunità e stili delle ‘celebrazioni nazionali’

Ogni tipo di ‘celebrazione nazionale’ riveste un carattere o una ragione ‘politica’ che, a seconda del momento, può risultare puramente ‘memoria’ di una armonia condivisa ampiamente da ogni tipo di minoranze sociali, etniche e culturali oppure può risultare un’occasione preziosa per riconciliare ogni diversità interna attorno ad una proposta celebrativa ampiamente condivisa anche se (anzi proprio in quanto) non è ancora stata fruttata demagogicamente da alcuna delle minoranze interne che si sono finora ispirate ad eventi storici o a loro interpretazioni strumentalmente di parte e quindi ‘settarie’ e divisive per l’armonia della nazione; multi linguistica, multirazziale, multiculturale, multi religiosa, etc..

Con l’innovativa proposta celebrativa il proponente offre l’istituzione di una nuova visione nel cui ambito sia possibile ‘proiettare’ le proprie più diverse, tutte rispettabili, istanze e aspettative nutrite dalle minoranze ‘locali’ dovute a irrisolte ‘riconciliazioni’ insorte nel paese dai passati eventi storici.

Occorre scegliere in modo oculato la figura del ‘proponente’ perché, grazie alla sua credibilità personale e istituzionale, essa possa assicurare la diffusa percezione di legittimità del rilancio di armonia nazionale ed occorre affiancarne quell’innovativa proposta con iniziative di comunicazioni sociali che non ne inquinino la credibilità ‘personale’. Occorre cioè, se si desiderasse promuovere un’ancora carente o smarrita armonia nazionale, che il ‘proponente’ sia universalmente riconosciuto dalle più diverse ‘minoranze locali’ come una figura istituzionale animata da comportamenti ‘super partes’ accertata sulla base dei suoi passati e costanti comportamenti nel corso dello svolgimento del ruolo istituzionale che legittima la sua iniziativa. Occorre quindi che i contenuti ed i canali delle comunicazioni sociali che diffondono la proposta di quel protagonista istituzionale siano tali da non inquinare la credibilità di proponente super partes con inevitabili associazioni alla sua proposta ‘innovativa’ di collegamenti a motivazioni storicamente ‘settarie’.

Occorre infine saper scegliere la ‘ragione occasionale’ che possa dare credibilità all’inaugurazione di questa nuova solennità celebrativa del rilancio d’armonia nazionale onde garantirne la più diffusa accettazione.

Cambiare la Costituzione con l’inaugurazione di un’apposita assemblea costituente sotto l’egida del Capo dello Stato e associata espressa richiesta di sottoporne il prodotto a referendum approvativo a suffragio universale, sostituire l’Inno Nazionale con altro prescelto in una gamma di inni nazionalmente già popolari, cancellare la celebrazione delle troppe festività civili riunificandole in una data che abbia un carattere storico di ‘nobiltà’ riconosciuta da ogni minoranza nazionale, etc..

Mi sembra che ciò che sta avvenendo in Italia sia invece scaduto nella ‘farsa’, come accade in genere per ogni altra opportunità politica anche se dettata da ‘nobili scopi’.

La prima di queste possibili ‘ragioni occasionali’ (la inaugurazione di un nuovo iter costituzionale) avrebbe potuto sottrarre alle opposte ‘resistenze’ strumentali e demagogiche erette sia dalle ‘parti politiche’, sia dalle corporazioni obsolete e parassitarie un processo che tutti universalmente ritengono ‘necessario’ per il paese a causa della profonda destabilizzazione istituzionale che la globalizzazione industriale ha imposto a tutti i paesi nell’UE e che sollecita l’UE ed i suoi paesi membri a ricercare una nuova governance per assicurare coesione e cooperazione nel contesto di una crescente competitività sul mercato globale dalla quale dipende la stessa sopravvivenza del sistema industria-stato europeo. Nuova governance che, inoltre, ha direzione ‘federale’ universalmente condivisa grazie all’inevitabile duplice senso di ‘devoluzione’ delle competenze e dei ruoli da parte delle istituzioni nazionali verso quelle soprannazionali (europee e extraeuropee) e verso quelle  ‘regionali’, gerarchicamente sottoposte ma tendenzialmente più importanti per la stabilità politica e sociale.

Questa iniziativa si sarebbe sviluppata lungo almeno due anni prima della chiusura della legislatura ma la data della sua formalizzazione avrebbe potuto essere riconosciuta solennemente come avvio di un processo di ‘pacificazione nazionale’ associato ad esigenze ‘nazionali’ nel contesto esogeno (quindi non contestabile) della globalizzazione; una ’congiuntura’ che offre grandi opportunità al fianco di grandi disagi ed alla quale già concorrono gli impegni ‘occasionali’ delle ‘parti sociali’ (vedi i casi Fiat, Generali, Alitalia, Della Valle, Del Vecchio, etc.).

La seconda delle possibili ‘ragioni occasionali’ (sostituzione dell’Inno Nazionale’ sarebbe stata all’estremo opposto in quanto a profilo culturale ma sarebbe stata certamente più capace di animare una partecipazione diffusa e trasversale alle fasce di età, al censo ed ai sessi col solo potenziale rischio di selezionare melodie che potessero evocare specifici periodi del passato nazionale, al di là del tema storico da esse celebrato. L’offerta di inni alternativi sarebbe stata un fatto facilmente coinvolgente per il carattere nazional-popolare della diffusa cultura italiana e sarebbe stata agevolata dalla sovrabbondante capitale di melodie note ed amate in ogni comunità del paese. La sostituzione dell’Inno Nazionale d’altronde avrebbe avuto la razionale duplice di affermare l’armonia nazionale in occasione dell’evento politicamente rivoluzionario della globalizzazione e di proiettare un nuovo spirito di unità contro le comuni sfide poste alle comunità ‘locali’ dalla competizione di mercato.

La scelta del nuovo Inno avrebbe potuto disporre di una vastissima gamma di melodie riconosciute nella tradizione nazionale da tutte le comunità dal Nord al Sud; melodie che hanno costituito un solido elemento che ha caratterizzato l’Italia nei secoli anche prima della fondazione dello Stato Nazione. Stato Nazione che ha visto come Inno Nazionale la Marcia Reale per almeno 85 anni della vita unitaria e che è stato sostituito dalla (prima) repubblica (defunta con ‘tangentopoli’) con l’Inno di Mameli senza grandi coinvolgimenti alla scelta (in piena analogia con una costituzione repubblicana mai sottoposta a referendum approvativo ed ormai universalmente riconosciuta come obsoleta e da ‘riformare’).

A puro titolo d’esempio si sarebbe potuto scegliere l’Inno tra almeno quattro diverse melodie tutte note e di grande apprezzamento internazionale e familiarità nazionale. Il ‘va, o pensiero …’ di Verdi-Solera (forse più idoneo a essere l’Inno Nazionale di Israele e troppo evocativo dell’esito del Risorgimento nella riunificazione sabauda; esito contestato sin dalle origini e poi nel corso della storia dello Stato Nazione fino alla repubblica.

Il ‘ritorna vincitor!’ di Verdi-Ghislanzoni molto amato e noto anch’esso universalmente e quindi associabile al concetto di Italia ma forse troppo legato a spirito militare in un periodo in cui le ‘spedizioni militari’ sono a fini umanitari e di pace Oltre che tollerate obtorto collo per l’art. 11 della vigente sostituenda costituzione.

La ‘Marcia Trionfale’ di Verdi-Ghislanzoni altrettanto noto e popolare anche se forse evocatrice di regimi reali e militarmente tronfi che mal si accomodano ad una condizione di stato federale membro di una UE a carattere federale.

L’Inno a Roma di Puccini-Orazio, certamente non associabile allo Stato Nazione ma a Roma come centro eterno di civiltà. Un elemento riconosciuto come Italia attraverso i millenni dalla fondazione della civiltà italiana, civilizzatrice di tutta Europa e radice dell’attuale civiltà ‘Occidentale’ greca-romana-cristiana. Un elemento che inoltre risulterebbe di assoluta identificazione nell’UE ed oltre per quell’Occidente oggi alla ricerca di recupero di orgoglio per le sue radici; senza consentire ad associazioni militaresche o colonialiste.

Per non citare la celeberrima ed allegra sinfonia da ‘la Gazza Ladra’ di Rossini che richiederebbe tuttavia di essere integrata da un testo (affidabile forse a un concorso nazionale con la partecipazione di Mogol!) dato che si tratta di una melodia slegata da testo poetico che abbia significati ed appeal tali da far dimenticare il profondo disprezzo nutrito da Rossini per gli italiani e l’inevitabile associazione del titolo della sinfonia ad una riconosciuta tradizione professionale dei paesi meridionali (Italia, Grecia, Napoli) rinnovata negli anni del dopoguerra da famosi capolavori italiani neo-realisti di De Sica e della commedia italiana di Monicelli.

Il rilancio di uno di questi popolarissimi potenziali Inni (‘va o pensiero’) è stato tra l’altro verificato nel suo accoglimento da un ‘comunicatore’ di altissimo prestigio per l’Italia nel mondo (Riccardo Muti all’Opera di Roma) in una sede che riafferma la centralità di Roma nei millenni per l’Italia e la sua cultura nel mondo.

La riproposizione invece dell’Inno di Mameli in sede Festival di San Remo avrebbe potuto non essere errata se solo si fosse evitato di associare al sempre popolarissimo festival di quest’anno una colorazione anti-lega ed anti-Berlusconi che non agevola certamente alcuna proposta super partes di riconciliazione nazionale. Inoltre al festival di quest’anno si era voluta associare un’elencazione ‘storica’ di melodie para-politiche di ‘parte’ (bella ciao) che, proprio perché molto popolari, hanno inevitabilmente associato l’ispirazione del festival a valori ‘resistenziali’ dell’attuale costituzione della (prima) repubblica; periodo in piena discussione e caratterizzato da contestazioni vecchie (guerra civile, arco costituzionale, consociativismo) e nuove (mani pulite, federalismo, autodeterminazione) che lo rendono assolutamente inappropriato ad agevolare qualsiasi tipo di ‘riconciliazione nazionale’ alle soglie della drammatica riconfigurazione della legittimità istituzionale imposta al paese dal fenomeno esogeno della globalizzazione.

Infine, per coronare con la classica ciliegina la torta avariata, si è avuta la bell’idea di far proclamare il rilancio dell’Inno Nazionale da un eccellente ed amato attore come Roberto Benigni. Questo comunicatore sociale altamente efficace è riuscito ad incarnare il meglio dell’egemonia della tradizione artistica dell’Italia nel mondo nel comparto dei media e ad associare l’Inno e ciò che esso rappresenta alla egemonia universale di una delle molte culture ‘provinciali’ che hanno sempre caratterizzato la civiltà italiana nei millenni ben al di là e prima della fondazione dello Stato Nazione; la multi-comunale Toscana. Benigni identifica la cultura toscana con tutti i suoi meriti e difetti ed è ciò che lo rende geniale nell’incarnazione più provinciale dei capolavori universali scritti dagli italiani (la sua lettura di Dante è emblema di analoghe ‘diversità’ in cui si è sempre ‘divisa’ la turbolente cultura italiana caratterizzata da invidie, complotti, partigianerie di ogni sorta. L’eccellenza di Benigni, associata alla caratterizzazione ‘anti-‘ del festival hanno sottratto ogni speranza di poter suggerire l’Inno di Mameli come ‘fonte’ dell’armonia nazionale; ancora una volta un’ottima occasione è stata perduta per l’imbecillità partigiana dei conduttori dell’iniziativa – se avessero mai avuto l’intenzione.

La terza delle possibili ‘ragioni occasionali’ (il ri-accorpamento delle festività nazionali) avrebbe offerto una occasione priva di possibili arrière pensée dato il protagonista della proposta ed avrebbe potuto agevolmente riportare sotto la sua egida ogni iniziativa collaterale passibile di poter realmente incidere sul clima politico e sul rilancio dell’armonia nazionale con una serie d’iniziative di sua esclusiva competenza e capaci di stabilire un nuovo avvio della vitalità politica chiudendo con la piena pacificazione del passato più recente.

L’eliminazione di giorni di vecchie festività nazionali all’insegna del risparmio e della produttività infatti è già stato fatta nel passato (2 Giugno, 4 Novembre, 11 Febbraio, Epifania, Ognissanti), quindi la revisione ed accorpamento delle festività civili in chiave di risparmio e di proposta di superamento di vecchi conflitti alle soglie della nuova governance sarebbe stato moralmente condivisibile dalla pubblica opinione e da ogni ‘parte politica’ presente in parlamento data la fonte super partes della proposta. Inoltre una tale proposta, tanto più quanto più ‘risolutiva’ d’ogni vecchia e recente incombenza conflittuale (guerra civile, terrorismo, consociativismo, mani pulite, secessionismo), sarebbe stata volentieri sopportata dai principali protagonisti della politica che attualmente sono in condizione succube delle corporazioni più ‘irresponsabili’ che hanno destabilizzato il vecchio assetto politico costituzionale o di movimenti d’opinione più qualunquisti e radicali sostenuti da oligarchie estranee al parlamento ma influenti grazie al sostegno dei media che sono altrettanto ‘irresponsabili’ dal punto di vista della vecchia costituzione.

Il Capo dello Stato, grazie alla credibilità di soggetto istituzionale ‘super partes’ accumulato avrebbe potuto non solo proporre la cancellazione per ragioni di economicità di molte delle attuali festività ma anche il loro accorpamento in un’unica giornata di grande valore sostitutivo per tutto il paese. Questa giornata festiva civile avrebbe acquisito inevitabilmente un suo peso morale nazionale proprio in quanto avrebbe stabilito la unica giornata di festa nazionale e non avrebbe avuto associazione con alcuna delle festività cancellate.

Anzi, al fine di sottolinearne il significato di ‘armonia nazionale’ e di valore moralmente ‘unificante’ la sua promulgazione avrebbe potuto essere accompagnata da un atto di ampia amnistia per molti reati ancora in corso di giudizio. Ciò avrebbe consentito di ridurre l’affollamento delle carceri, di ridurre il numero di cause pendenti che condizionano la produttività dei tribunali, di eliminare la coda della passata criminalità politica e dei percorsi internazionali di estradizione che, oltre ad essere dolorose, sono passibili di riattivare forme di contrasto ideologico sempre potenzialmente incombenti anche se ormai anti-storiche ed infine di chiudere la coda del periodo di ‘mani pulite’ che ha condotto all’irresponsabile egemonia dell’ordine giudiziario nella sua componente inquirente sul potere legislativo e su quello esecutivo con l’attuale situazione di stallo politico in cui si trovano bloccate maggioranza ed opposizione da oltre vent’anni.

Un Capo dello Stato che avesse proposto inoltre una combinazione delle tre ‘ragioni occasionali’ sarebbe stato certamente riconosciuto ‘statista lungimirante’ nell’ottica della riforma della costituzione in ottica federale garantendone la conservazione sotto il solido patrocinio centralista della sua figura super partes politiche; vera e propria riaffermazione del ruolo di ‘padre della patria’ del presidente in modo indipendente dagli specifici contenuti e forme politici che potrebbe assumere la riforma ormai in fieri.

Nessuna istituzione in Italia vuole rischiare la sua immagine a beneficio di un vero rilancio di armonia che viene così solo ‘auspicata’ da tutti ma affidata allo ‘stellone d’Italia’ il cui futuro resta perciò affidata alle cento creatività ‘provinciali’ la cui creativa tradizione culturale ‘locale’ prosegue nei secoli a manifestare la vera immagine d’Italia; un provincialismo effervescente e libero che, ricco della cultura passata, assume un carattere ‘universale’ come guida politica per ogni nazione coinvolta nella globalizzazione – una scarna governance centrale animata da mille diversi modi di convertire l’innovazione tecnologica in mille diverse concezioni di migliore qualità di vita.

Tutto cambia affinché nulla cambi è il molto italiano stile di vita presente anche nel ‘giunco che piega la testa al passar del vento’; non è pavidità né cinismo ma solo amore per la crescita in continuità della cultura nella tradizione ‘dal basso’ e il rifiuto scettico di ogni presunta ‘rivoluzione’ proveniente da illuminati che cercano di imporla ‘dall’alto’.

Presidente, dica qualcosa di ‘riconciliante’ degli italiani a beneficio dell’Italia eterna ben precedente lo Stato Nazione sciagurato e tormentato che si trova a presiedere come puro spettatore ed ostaggio!

E nell’attesa l’Italia ha assistito inerme e spettatrice passiva all’archiviazione di altri due eventi che avranno alto impatto sul suo futuro più immediato; il regime change in Libia e la catastrofe naturale in Giappone!