21/02/2009

1. Rientro della Crisi

siamo convinti che la cosiddetta ‘crisi’ sia solamente crisi della ‘governance’ istituzionale del nuovo sistema industriale e finanziario che si è ormai consolidato su base globale dopo un trentennio di trasferimenti di risorse finanziarie per cogliere le nuove, enormi opportunità di crescita che offre al ‘ritorno sugli investimenti’ una nuova suddivisione del lavoro industriale capace di integrare i Paesi emergenti e quelli più avanzati in un unico mercato più idoneo a remunerare le aspettative dei vecchi e dei nuovi consumatori superando ogni vecchia barriera opposta dagli Stati Nazione.

La richiesta che si definisca la nuova ‘governance’ proviene dall’unica istituzione globale che si è venuta consolidando nel corso del trentennio e che non riesce ancora a definire i confini formali delle proprie azioni di ‘lobbying politico’ per l’arretratezza delle vecchie procedure politico-legislative vigenti.

Una richiesta che è possibile riassumere come un sollecito che la nuova ‘Wall Street Globale’ (ancora informale ma efficiente e adeguata alle esigenze della ‘globalizzazione’) pone alle istituzioni politiche che benché esistano sono inadeguate a esercitarvi efficienti stimoli e controlli di gestione della ‘governance’).

La nuova Wall Street Globale si è venuta formalizzando consolidando la transizione dell’economia industriale dai vecchi e anti-economici assetti produttivi ‘nazionali’ a quelli nuovi di suddivisione dei processi produttivi in una visione soprannazionale dello sviluppo economico più redditizia ed equa.

Le aspettative del futuro ormai in corso legittimano, seppure informalmente, in definitiva il ruolo di ‘lobby’ che la ‘Wall Street Globale’ si è assunto di sollecitare il cambiamento istituzionale politico a una drastica revisione dei suoi procedimenti legislativi e di controllo ‘a-misura’ delle concrete esigenze che la nuova realtà sociale ed economica esemplificano ormai con una ricca sequenza di ‘casi di studio’.

In un certo senso si può affermare che la nuova e informale Wall Street Globale ha potuto far maturare su base globale un complesso di aspettative sociali ed economiche che unifica grandi masse umane in Paesi di diversa cultura e reddito nel sollecitare i propri governi di ogni regime a consolidare il mercato globale.

Si tratta di un fatto che si può riassumere come la richiesta legittimata da una nuova pur se informale ‘Main Street Globale’ che coi propri consumi e risparmi alimenta un nuovo mercato globale capace di esigere dai propri regimi legali un adeguamento di comportamenti e procedimenti organizzativi del loro ruolo in coerenza con le nuove aspettative senza resistenze di conservazione dei vecchi assetti.

Qualora già esistesse una tale nuova ‘governance politica’, le sue prime scelte dovrebbero provvedere ad addebitare il ‘rientro’ dall’esposizione finanziaria implementata dalla nuova Wall Street Globale a costo delle vecchie economie nazionali ‘a-misura’ delle loro capacità regionali di assumere credibili ruoli di status produttivo nella produzione e distribuzione della ricchezza nella nuova percezione offerta dalla nuova economia industriale globale.

Una volta fosse stata concordata questa assunzione di oneri immediati a fronte di ruoli-guida nel medio-termine, sarebbe un ‘semplice’ gioco di tecnica finanziaria quello di diversificare la gamma di tutela dal rischio a misura dei diversi comparti e programmi in corso della cooperazione industriale.

Ciò significa che la ‘politica istituzionale’ dovrebbe riuscire a concepire un proprio nuovo ruolo ‘di servizio’ definendo i criteri e i processi della nuova ‘governance’ dell’economia industriale globale liberandosi dalla tradizionale referenzialità ai vecchi sistemi industriali nazionali a misura dei quali essa si è sviluppata ed ha legittimato le istituzioni sia pubbliche che private ancora egemoni nei processi legislativi nazionali.

Le scelte insomma che la ‘politica nazionale’ dovrebbe concordare in campo internazionale per rientrare dalla attuale esposizione finanziaria globale dovrebbero essere guidate dal criterio di premiare le esigenze degli innovativi accordi di sviluppo industriale caratterizzati da maggiore solidità di sviluppo e crescita della ricchezza complessiva investita. Ponendo in seconda scelta le istanze sollevate dai programmi industriali ormai ‘maturi’ e meno redditizi in un’ottica di medio termine dello sviluppo dell’economia.

Tutto ciò richiederebbe una filosofia politica comportamentale dei diversi Stati Nazione come se esistesse un corpo legislativo globale pienamente libero dalle vecchie lobby nazionali e saldamente ancorato agli interessi dell’’economia reale prossima ventura’.

Si tratta evidentemente di un’utopia, pertanto ciò che invece sta avvenendo è piuttosto un processo (da parte di una ristretta cerchia di confine tra Wall Street Globale e gli Stati più immediatamente coinvolti dalla globalizzazione), che concordi la riassegnazione dei vecchi oneri e dei futuri benefici che poi sarà trasmessa tramite la graduata e controllata svalutazione delle poche monete principali coinvolte dalla globalizzazione (dollaro USA, Yen Giapponese, Euro dell’UE) sia al Nord che al Sud (Cina e India)..

I criteri-guida nel negoziare l’addebito alle economie in via di riassestamento risultano allora più chiari e semplici. Evitare iniziative separate con conseguente rincorsa all’inflazione in ogni sistema industriale e destabilizzazione della stessa ‘gallina dalle uova d’oro’. Impedire il tracollo dell’economia degli USA (la locomotiva attuale) permettendo una svalutazione graduale e concordata di quella divisa. Accelerare il trasferimento al Sud delle fasi ‘man-power intensive’ dei processi industriali ed accelerare invece al Nord la terziarizzazione dell’economia industriale. Consolidare graduali regole di assicurazione finanziaria dai rischi politici locali. Agevolare gradualmente l’avvento di comuni regole di sicurezza e previdenza tra Sud e Nord. Concordare nuovi comportamenti comuni a Sud e Nord nelle relazioni industriali e nella tutela dei diritti di proprietà.

Si tratta di punti che concorrerebbero a consolidare la liberal-democrazia al Sud molto più agevolmente e meno traumaticamente di qualsiasi ‘regime change’ o ‘war on terror’ e che contribuirebbero quindi a consolidare una maggiore disponibilità alla pacifica convivenza tra confessioni e culture diverse grazie alla minore propensione alle migrazioni di massa Sud-Nord assolutamente insostenibili per i rapporti di proporzione demografica e velocità di assorbimento delle nuove generazioni di immigrati. Si ridurrebbe anche l’omogeneizzazione etnica col risultato di un maggiore rispetto e conservazione delle diversità culturali in un mondo tuttavia unificato sul piano della produzione e dei consumi industriali.

È molto strano che Santa Madre Chiesa sostenga invece un approccio di accoglimento al Nord di masse destinate a smarrire le proprie radici e a trasformarsi in generazioni di sfruttati e cittadini di classe C nei nuovi Paesi di elezione anziché concorrere in Patria al graduale e più armonico sviluppo economico e crescita di nuovi ma condivisi comportamenti sociali.

La ‘libertà di circolazione’ di beni e persone è uno dei diritti fondamentali delle liberal-democrazie che non può essere confuso in modo ‘naif’ con il sostegno alle Volkswanderungen in pieno terzo millennio.