20/08/2010

Democrazia: il grande gioco della politica

È inevitabile che la formulazione delle scelte politiche avvenga nel segreto dei ristretti circoli dei nulla-facenti che hanno tempo libero per dedicarsi a sofisticate speculazioni filosofiche a spese della massa di diseredati che invece, per loro inadeguatezza culturale e carenti dotazioni di furbizia opportunista, non possono comprendere la bellezza etica ed artistica delle elaborazioni intellettuali espresse dalle ‘menti sottili’ nutrite dalle poche elite al vertice del sistema di potere che governa in ogni epoca il sistema istituzionale.

È altrettanto inevitabile che, una volta formulate le loro sofisticate teorie politiche, tra le ‘menti sottili’ si svolga una rissa nello stile classico dei circoli segreti e elitari aristocratici con gli strumenti da sempre a disposizione (dalla maldicenza, alla spada, ai veleni, agli intrighi, agli scandali, alle seduzioni sessuali, etc.) per riuscire a trasformare la teoria in uno strumento di pratica utilità e credibile per un suo efficace impiego nel contesto sociale ed economico dell’epoca. Queste risse portano all’eliminazione dei meno adatti a svolgere il ruolo di consulenti del principe che, al servizio del suo potere, adotti le loro teorie politiche per legittimare con una raccolta di consenso elettorale il suo diritto a ricoprire il ruolo di conduttore delle scelte di pubblico interesse a nome e per conto della comunità di sudditi che gli delega quel ruolo. Questo approccio inoltre crea l’esigenza delle ‘menti sottili’ di giustificare il loro ruolo al di la della correttezza o meno delle loro costruzioni astratte ma eleganti e suggestive. L’esigenza viene in genere soddisfatta istituendo la categoria dell’’ortodosso’ (chiunque non disturbi il conduttore) che consente di escludere gli innovatori o i maverick e la categoria dell’’auto-critica’ che consente anche alla luce di errate decisioni di restare ancorati ai propri ruoli privilegiati ricreandosi una verginità arricchita dall’esperienza. Meccanismi astuti e dialetticamente sostenibili dalla pervicace convinzione che esistano ‘modelli scientifici’ garanti della programmazione centrale del futuro. Convinzione che impone di correggere la realtà che deviasse dal modello invece di correggere (ma solo in ultima analisi con salvifica azione di auto-critica) il modello di fronte ai suoi fallimenti ai ‘muri di Berlino’.

Ogni sistema istituzionale vive questa espressione del potere politico e di questo tipo di legittimazione elettorale.

I regimi più autoritari non nascondono questa gestione verticista e monopolista del potere ma anzi ne sottolineano la gerarchia sacralizzando il ruolo paterno del principe e l’assoluta eticità delle sue decisioni dei cui contenuti è garante la suprema sapienza dei suoi ministri; i migliori espressi dall’’accademia’.

I regimi gradualmente sempre meno autoritari mitigano questa visione assoluta del potere politico accettando che più oligarchi in reciproca competizione esprimano una collettività di centri di potere che, in bilanciamento reciproco, giungano a formulare scelte capaci di mediare tra esigenze e aspettative diverse e spesso opposte.

Ciascuna delle oligarchie funziona al suo interno secondo gli stessi schemi della satrapia monopolista ma la divisione e contrapposizione degli interessi di molte satrapie mitiga la durezza degli errori e la stessa probabilità del loro manifestarsi nelle scelte che coinvolgono l’interesse pubblico. La liberal-democrazia non fa altro che istituzionalizzare il gioco del reciproco confrontarsi degli interessi delle varie oligarchie che, da un lato eleggono periodicamente i loro rappresentanti al parlamento e d’altro lato esercitano costanti pressioni in varie forme sul legislativo e sull’esecutivo tramite strumenti (le lobbies) e procedure che devono rispettare formalismi noti, controllabili e comunicabili all’opinione pubblica. Ma i veri centri decisionali restano ‘segreti’ e sommerse le loro reciproche connivenze o accordi nel pieno stile rinascimentale descritto da Machiavelli sulla traccia delle strategie descritte da Sun Tzu e da Carl von Clausewitz in cui la diplomazia e la potenza militare costituiscono la coppia organica e non separabile; la carota e il bastone necessari per raggiungere lo scopo senza troppi spargimenti di sangue.

Il ‘principe’ è solo al vertice ma ha necessità di assicurarsi consenso da parte dei potenziali alleati che diano sostegno al raggiungimento dei propri obiettivi. Occasionalmente il consenso può coincidere con la raccolta di voti elettorali. Altrettanto occasionalmente il ‘principe’ può essere incarnato dal dittatore, dal monarca, dal doge, dal partito unico, dal pentapartito o dal consociativismo dell’arco costituzionale ma il gioco della politica resta quello già consolidatosi nei secoli e illustrato letterariamente.

Si tratta di un gioco che, per egemonizzare il ruolo decisionale, deve svilupparsi senza ergersi inutili vincoli etici come la coerenza dei propri comportamenti con quelli auspicati dal programma politico di propria scelta. È un gioco cinico, anche se propone agli elettori fini etici trascendenti. È un gioco che deve misurarsi in modo pragmatico con gli ostacoli e i limiti di un contesto nel quale vige un’etica diversa da quella proposta e nel quale lottano per la propria sopravvivenza o egemonia avversari sulla base di un potere vincolato al funzionamento di meccanismi industriali privi di motivazioni etiche.

I protagonisti stessi del gioco politico sono ispirati da motivazioni prive di fini etici. I programmi che essi propongono all’opinione pubblica come bandiera legittimante e linea guida ispiratrice delle loro azioni nel corso degli scontri più cinici e spietati di potere sono solamente degli utili ma astratti quadri comunicativi utili alla propaganda politica. Ciò è avvenuto da sempre in forme grossolane o sofisticate ma tutte hanno illustrato l’adozione delle teorie filosofiche elaborate nella storia a soli fini strumentali per l’acquisizione del potere politico contro le finalità proposte dalle stesse teorie. È avvenuto con l’uso delle idee di Lutero da parte dei sovrani locali per liberarsi dalla dipendenza dal potere centrale di Roma e del potere Imperiale al tempo della Riforma. È avvenuto con l’uso delle idee dell’illuminismo e dei diritti dell’uomo da parte della Rivoluzione Francese che ha legittimato dapprima il governo sanguinario del Terrore, successivamente la dittatura personale di Napoleone, infine la successione dei governi autoritari colonialisti e anticlericali susseguitisi in Francia fino al crollo dello Stato Nazione. È avvenuto, grazie a quella “rivoluzione” nelle dittature nazionaliste e imperialiste che si sono impadronite dei principi dello stato sociale a tutela del benessere dei cittadini e a protezione degli interessi industriali nazionali in ogni paese non marxista del mondo ‘Occidentale’ nel corso del secolo e mezzo tra l’ascesa di Bismark e la caduta di Hitler, Mussolini e Hirohito. È anche avvenuto per la dottrina del ‘socialismo scientifico’ di Marx che aveva pronosticato ‘scientificamente’ che la definitiva caduta del capitalismo sarebbe avvenuta nel Regno Unito; emblema delle economie industriali più avanzate e ricche e destinate a soccombere per implosione della loro avidità e oppressione umana e ambientale. Marx è stato contraddetto dalla storia per la sopravvivenza del capitalismo e la sua attuale adozione su base globale anche dai regimi meno liberali. La dottrina di Marx tuttavia è stata adottata per puri fini di acquisizione del potere politico da astuti e cinici protagonisti politici. Dapprima in Russia in cui il sistema industriale era caratterizzato da condizioni assolutamente opposte a quelle ipotizzate dalla teoria di Marx e dove Lenin (finanziato da industriali tedeschi) realizzò un puro ‘golpe’ borghese contro l’elite menscevica succeduta allo Zar ed impose un lungo, sanguinoso processo di appropriazione privata dei mezzi di produzione esistenti (di livello paleo-industriale in ogni comparto produttivo) e di soppressione violenta della libertà di religione. Successivamente, soppresso Lenin con una vera congiura nello stile dei regimi ‘principeschi’ medioevali, il potere venne assunto da Stalin che governò quel mondo sottosviluppato nel più classico regime dei ‘satrapi asiatici’ fino alla sua morte (agevolata dal sinedrio di governo del partito unico). Il partito unico poi, privo dell’efficienza decisionista e crudeltà oppressiva del satrapo, proseguì con graduale perdita di competitività economica per altri decenni fino all’implosione (quella sì totalmente auto-inflitta) del sistema col crollo del muro di Berlino. analoga sorte hanno avuto tutti i regimi impostisi al governo di paesi sottosviluppati (contrariamente quindi alla previsione ‘scientifica’) e meno industrializzati dalla Spagna che visse una serie di golpe e contro-golpe in stile ‘latino’ negli anni 1930, ai paesi africani in cui ascesero al governo veri e propri satrapi-cannibali, ai paesi sud-americani in cui i tentativi di governi marxisti hanno condotto a sanguinose guerre civili, a Cuba ove il regime si è trasformato in una dittatura personale-ereditaria in stile para-fascista.

Insomma anche la dottrina più sofisticata, moderna ed eticamente giustificata del 1800 alla prova dei fatti si è dimostrata solo utile come strumento di lotta politica tra dittatorelli avidi di potere e privi di ogni freno morale che hanno condotto il regime a opprimere la popolazione auspicando l’avvento del trionfo finale previsto ‘scientificamente’ ineluttabile dal povero Marx; vera e propria ‘mente sottile’ al servizio di ‘principi’ di accertata avidità e cinismo machiavellico. Sic transit gloria mundi.

Dopo le considerazioni esposte al fine di togliere ogni legittimità etica alla lotta politica che si ispira invece a tutelare o imporre interessi di parte su altri interessi di parte, si può forse esaminare quale può essere il tipo di negoziazione che anima l’uso della diplomazia e della forza nell’agone dello scontro ‘bellico-politico’ tra elite e al segreto dei salotti meno istituzionalmente abilitati prima di essere tradotto in atti formali adattati alle procedure legali che regolano le istituzioni pubbliche e private autorizzate al gioco liberal-democratico.

Le dottrine filosofiche legittimano la loro ‘superiorità’ etica sulle dottrine liberiste proprio ventilando i fini socialmente gratificanti che esse si propongono di raggiungere. Il marxismo, il socialismo, le molte religioni, i nazionalismi sono tutti portati a irrigidire le loro decisioni ed a pretendere un’applicazione ‘integralista’ delle dottrine che, per avere successo, non possono subire ‘inquinamenti ideologici’ che possano ‘deviare’ i cittadini dai comportamenti ‘ortodossi’ (politicamente corretti rispetto ad ogni altra tentazione diabolica o corruttrice). Una volta stabilito che la dottrina indica in modo totale l’ortodossia comportamentale, ogni deviazione è classificata come erronea e potenziale minaccia al raggiungimento del benessere e della felicità collettiva. Il deviante dev’essere quindi rieducato ad aderire a comportamenti ortodossi seguendo appositi corsi di ‘mistica’ ideologica. La valutazione del grado di coerenza di ogni iniziativa di contenuti ‘innovativi’ viene attribuita al sinedrio dei ‘migliori’ in quanto certificati dal partito unico come preparati scientificamente ed ispirati al rispetto dei dogmi ufficiali. Il partito unico sostiene con la sua saggezza il ‘migliore’ nel suo ruolo di leader massimo e detentore del sigillo della ortodossia ideologica.

Il pragmatismo liberista invece rifiuta qualsiasi delega di valutazione a–priori delle decisioni che ognuno deve assumere a propria scelta e piena responsabilità per subire il giudizio dei suoi simili che si esprime tramite la loro spontanea adesione alle proposte individuali sul libero mercato in cui le molte proposte si contendono la popolarità. Ogni adesione deve implicare, da parte di chi aderisce, un prezzo che definisce il valore di mercato della specifica proposta. Ciò definisce, in un mercato realmente libero, per ogni bene materiale o immateriale proposto, un valore-di-mercato definito dalla somma delle libere transazioni di scambio che si manifestano al di la delle autorizzazioni o divieti ideologici (censure dottrinali). Questo è il meccanismo che vale anche per quei particolari tipi di beni immateriali che sono le dottrine politiche, le scuole dottrinarie, le sette religiose e partiti politici, le proposte elettorali. Purché il mercato di scambio sia realmente ‘libero’ cioè non inquinato da sostegni surrettizi a carico della fiscalità generale, droghe del libero consenso. L’assenza di particolari modelli ideologici come detentori della ‘superiorità etica’ (del politically correct) priva il paradigma liberista di un’ispirazione etica come strumento per valutare a-priori il merito di qualsiasi proposta innovativa a guadagnarsi adesione e consenso (successo). Il successo si esprime pragmaticamente sulla base della numerosità delle richieste di acquisto del bene o servizio. Un’elevata popolarità è il migliore indice del valore attribuito dalla maggioranza al bene o servizio proposto. Non viene formulato alcun giudizio di merito sui contenuti dei beni o servizi scambiati. Ciò viene lasciato alla responsabilità che esprime ogni singolo ‘consumatore’ sulla base del prezzo che è disponibile a sostenere alla luce del profilo di sensibilità umana, spirituale e culturale che egli possiede al momento dello scambio di acquisto. La libertà è individuale in quanto la responsabilità è priva di qualsiasi tipo di protezione dai rischi conseguenti. Ogni protezione deve essere sostenuta come prezzo aggiuntivo dal singolo consumatore con l’acquisto oneroso e individuale di un servizio di prevenzione. La prevenzione collettiva che scarica ad onere forzoso della collettività per via fiscale o che scarica i costi del rischio sulle generazioni future (senza possibilità di manifestare la propria adesione) sotto forma di debito pubblico è illegittima in quanto illiberale. Anche se esistano leggi che obblighino a tutelare in quel modo i costi (ed i rischi di fallimento) del welfare state.