20/04/2008

Delocalizzazione e crescita della liberal-democrazia

 

L’avanzare inesorabile della globalizzazione genera disagi sociali e economici sia presso i sistemi politici in cui è più consolidata la civiltà industriale (‘occidentale’) sia presso quelli non ancora civilizzati dai quali orde di derelitti aspirano a liberarsi. Rinnovando quelle forme storiche (Volkswanderungen) di esodi di massa che noi abbiamo dovuto sperimentare in epoche remote caratterizzate da povertà per la carenza di adeguate soluzioni tecnologiche all’indigenza. Si tratta di aspirazioni ‘liberali’ in quanto si manifestano presso i più intraprendenti che in modo pienamente volontario si sottopongono ai rischi e ai disagi dell’emigrazione clandestina. Immigrazioni clandestine per il carattere di imperfetto liberismo dei Paesi liberal-democratici. È auspicabile che oggigiorno, in piena epoca di egemone globalizzazione, la politica possa e debba articolare soluzioni meno traumatiche ai disagi socio-economici rispetto alle ‘naif’ e disumane ‘Volkswanderungen’ cui erano costrette a sottoporsi (e sottoporci) le orde barbariche in altre ere. Anche qui occorre che gli elettori riescano a identificare i limiti e il carattere di due opposte soluzioni possibili: secondo il criterio liberal-democratico e secondo quello reazionario-conservatore. Ovunque nel mondo i politici si sono dovuti far carico del problema ma le loro proposte non possono risultare pienamente in regola con i due criteri in quanto ovunque gli elettori beneficiano e soffrono dell’avanzare della internazionalizzazione dell’economia industriale mentre perdura il vecchio contesto istituzionale geo-politico. Il ‘nuovo ordine mondiale’ non si è ancora potuto consolidare proprio grazie all’ancora instabile sviluppo degli assetti produttivi che definiranno la misura complessiva di costi e di benefici economici risultanti. Solo quando questo assetto, inizialmente gestito dalle istituzioni liberal-democratiche ‘private’ (ma di interesse pubblico quali le aziende, le lobby, le banche, le assicurazioni), sarà sufficientemente stabile e robusto, sarà possibile apportare modifiche alle istituzioni statali che, sostituendo quelle obsolete (Stati Nazione e ONU), daranno anche legittimità formale ai nuovi assetti. Fino ad allora è naturale che perfino nella ‘sede di Cesare’ del terzo millennio (gli USA) siano presenti anti-storiche proposte politiche ‘protezioniste’ (sostenendo ‘muri’ da erigere contro gli immigranti dal Messico o la revisione dei trattati NAFTA o l’isolazionismo con l’uscita dalla ‘guerra al terrore’ in Asia) anche tra i repubblicani (McCaine è avversato da illustri conservatori del GOP come Limbaugh). In liberal-democrazia ogni istituzione legale ha interesse pubblico ma si preferisce affidarne la gestione ai privati in libera concorrenza di mercato per garantire sia l’ottimizzazione economica che la piena responsabilità individuale. Solo alcune istituzioni vengono affidate allo stato cercando, tramite il rispetto del gioco di check&balance tra interessi contrapposti, di costringerle a una gestione responsabile ed economicamente sostenibile. Ciò non ne garantisce la competitività e l’ottimizzazione autoregolata sul piano economico ma è una strada obbligata per l’impossibilità dei privati di curare l’accessibilità diffusa a certi servizi (trasporti, poste, polizia, educazione primaria). Il progresso tecnologico e l’associato abbattersi dei prezzi di produzione e di distribuzione rendono gradualmente più conveniente affidare anche quei servizi ai privati. Ciò aumenta per il consumatore la possibilità di scelte a parità di oneri e ne estende, quindi, la libertà di allocare con efficienza il reddito prodotto. È per questo motivo che, nella gestione del cambiamento, i sistemi liberal-democratici danno priorità alle istituzioni private mentre i sistemi illiberali accentrano la gestione programmata dello stesso allo stato. Con le risultanti inefficienza e diseconomia a carico dei sistemi illiberali rispetto a quelli di libero-mercato, e quindi con perdita di competitività. È ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi ogni giorno e che Pelanda cerca di segnalare coi suoi articoli. La fuga dai titoli a reddito fisso verso quelli azionari, la successiva fuga da quelli verso titoli a rischio più elevato (sub-prime) e poi i disinvestimenti da borsa valori per investire in borsa merci (commodities) è una catena di libere uscite da comparti di mercato in via di obsolescenza rispetto a nuovi che ancora non sono riusciti a guadagnarsi adeguata solidità e credibilità. Queste ‘fughe’ danno tutela alla risorsa finanziaria, che è quella necessaria per alimentare i futuri nuovi assetti produttivi e, nel contempo, provvedono a ridistribuire i costi del cambiamento in corso addebitandoli anche a quelle istituzioni che ancora sotto il controllo degli Stati Nazione cercano di ‘proteggere’ i propri interessi ‘locali’. I costi dei cambiamenti di valuta a livelli regionali (l’Euro ad esempio) o i costi della ‘guerra fredda’ (un tempo) e della ‘guerra al terrorismo’ (oggi) sono strade obbligate dal cambiamento industriale in corso i cui benefici sono globali mentre gli oneri sono stati sostenuti in modo diseguale dai diversi stati. Questa disparità temporale sostenuta dalle istituzioni statali viene riequilibrata nel tempo tramite le istituzioni private sul libero mercato mondiale (finanza, assicurazioni, ricerca pura, ricerca applicata, delocalizzazione degli impianti, etc.). Cercheremo di esporre con considerazioni successive se esisterà adeguato interesse, quanto sta avvenendo e come una soluzione pienamente liberal-democratica sia non solo possibile ma sia la sola che possa risultare sostenibile in una prospettiva di ortodossia coi criteri della civiltà occidentale, la sola cui aspirano i derelitti e la sola che i privilegiati vogliono ‘proteggere’ paradossalmente anche con metodi illiberali. Intanto si può affermare che quanto stiamo sperimentando sul piano socio-economico segue appieno i canoni scientifici che descrivono l’evoluzione naturale di ogni sistema complesso quasi-stabile e che è stata descritta da Ilya Prigogine sul piano concettuale e da Per Bak su quello matematico. Niente c’è di nuovo né di misterioso nel fenomeno in corso anche se ci troviamo a dover subire personalmente gli effetti di questa fase di transizione verso assetti più ‘economicamente’ sostenibili nell’ottica di quella ‘minima dissipazione di energia’ che la Natura è obbligata a rispettare in ogni sistema in cui articola le sue manifestazioni. Si tratta di un costante succedersi di transizioni tra fasi di stabilità solo temporanea che caratterizzano i mutamenti di ‘forma’ che assumono i sistemi in cui regna la ‘vita’; mutamenti di ‘forma’ che sono quelle ‘catastrofi’ che storicamente si osservano anche nei regimi politico-istituzionali. La ‘termodinamica dei sistemi caotici’ ci informa che non è possibile ‘stabilizzare’ definitivamente qualsiasi sistema complesso pena il condannarlo a morte ma ci dice anche che è possibile anticiparne le fasi critiche e il favorirne la transizione secondo percorsi più brevi e meno traumatici possibili. Ogni ‘resistenza’ conservatrice che contrasti l’evoluzione condanna il sistema complessivo a sperimentare più tardi ‘catastrofi’ meno gestibili e quindi più traumatiche.

Il ‘lavoro’ non può essere un ‘diritto costituzionale’ esso è un dovere per poter sopravvivere

 

‘Lavoro’ è un concetto troppo vago per potervi poggiare non dico la Costituzione ma perfino una semplice discussione tra amici. Si dice ‘lavoro’ e si ricorda la condanna biblica ancora presente tra noi nei mestieri più rischiosi, faticosi o ripugnanti. Ogni ‘lavoro’ consiste in elementi creativi (garanti di auto-gratificazione), relazionali (richiedenti adattabilità interpersonali) ed esecutivi (noiosi e routinari). Nella storia della civiltà l’innovazione tecnologica consente di ‘liberare’ le risorse umane dai ruoli più noiosi, rischiosi, faticosi e demotivanti sostituendole con macchine più o meno sofisticate (robot). Si tratta di un vero e proprio progresso di liberazione dalla schiavitù del lavoro. in ogni epoca e in ogni mansione esistono fasce demotivanti di lavoro che non è ancora possibile robotizzare. Le si possono affidare a personale meno qualificato ‘liberando’ da quell’onere i più dotati o privilegiati. Si tratta tuttavia di una soluzione temporanea che accetta l’attribuzione dei ruoli più ‘servili’ a esseri umani che li accettano spinti dal loro stato di indigenza economica rispetto ai più privilegiati che possono liberarsene. Questa maggiore analisi del concetto di ‘lavoro’ potrebbe facilitare a sollecitare l’avvento di nuove tecnologie per ‘liberare’ più ampie fasce umane da compiti ‘alienanti’ (invece di ostinarsi a ‘conservare’ aziende e mansioni totalmente obsolete per ‘difendere’ i posti di lavoro di: minatori del Sulcis, camalli di Genova, metal-meccanici delle acciaierie). L’analisi del concetto di ‘lavoro’ potrebbe altresì suggerire di ‘addolcire’ il carattere ‘alienante’ intrinseco alle mansioni più ‘servili’ rivedendone i compensi industriali a remunerazione della noiosa ripetitività (istituendo forme di ‘cottimo’ per ruoli di sportello nelle banche, alla posta, in archivio, in segreteria – invece di opporre resistenze dovute alla conservazione di potere negoziale al sindacato ottocentesco). Remunerare gli esecutori in funzione delle ‘quantità’ prodotte ed aggravare i loro capi più privilegiati dell’onere di controllo della qualità del prodotto e della sicurezza dei processi esecutivi. Anche mansioni quali quelle di competenza dei giudici presentano componenti routinarie del lavoro il cui affidamento a collaboratori esecutivi non può incidere sulla quantità delle cause giudicate, né sulla qualità dei giudizi emessi. Aspetti quelli che devono comunque incidere sulla retribuzione del magistrato che scegliesse di affidare i passi esecutivi delle procedure ‘in outsourcing’ invece di farsene carico integrale (stendendo gli atti, stampandoli e archiviandoli con l’aiuto del computer). Si possono ‘acquistare’ mansioni ‘servili’ non si possono scaricare su di esse le associate responsabilità intellettuali fonte di maggiore gratificazione.

Esiste una naturale e inesorabile spinta a progredire nel benessere che si attua tramite la costante creazione di nuove soluzioni tecnologiche per alleviare i più diffusi o gravi problemi incontrati nella vita quotidiana. Tali soluzioni se efficaci ed accessibili vengono acquistate sul libero mercato anche se proibite dalle leggi in vigore. L’adozione delle nuove tecnologie si realizza coi prodotti (hard-ware) che forniscono il servizio finale. Tuttavia i prodotti ‘hard-ware’ richiedono che l’utente finale acquisisca le abilità necessarie (soft-ware) per il loro uso efficace e corretto abilità integrate magari da programmi di computer (soft-ware in senso stretto). Spesso per agevolare un esteso uso delle innovazioni tecniche è necessario assicurare un adeguato contesto di sostegno (org-ware) che consiste in strutture organizzative che evitino possibili danni collaterali per l’uso distorto delle nuove, più efficienti e più diffuse soluzioni. L’insieme dei componenti hard-, soft- ed org-ware diffuso sul mercato può essere agevolato dalla contemporanea definizione di procedure (norm-ware) che stabiliscano gli standard per l’uso corretto e gli adempimenti necessari per gli utenti-finali, per le strutture organizzative di ausilio e per i controlli da ogni tipo di abuso. Le normative compongono una gerarchia di vincoli giuridici sia di diritto privato che pubblico tra cui anche le leggi fiscali. In assenza di una lungimirante politica che sappia anticipare le esigenze per agevolare l’avvento della sostituzione o innovazione tecnologica a beneficio del Paese, i liberi scambi commerciali sul mercato, magari in forme illegali o solo tollerate (come è stato il caso delle Televisioni private in Europa, non solo in Italia), avvengono ed inducono cambiamenti di abitudini e di assetti organizzativi sui quali si consolidano nuove fonti di reddito e di contributi alla crescita del Prodotto Nazionale Lordo. A quel punto per la politica, per quanto miope essa possa essere, è giocoforza rincorrere l’avvenuto cambiamento cercando di legittimarne gli assetti negoziando la conservazione dei propri interessi di casta parassitaria. La latitanza della politica in Italia ha sempre agevolato la crescita del PIL e l’avvento dell’innovazione e ciò tanto più oggi in piena era di internazionalizzazione degli scambi industriali. In tutti i Paesi, l’avvento dell’innovazione tecnologica è un fatto inarrestabile sia che l’industria nazionale vi partecipi sia che invece essa vi giunga magari solo grazie a importazione illegale (contrabbando). Non sono i politici a produrre il progresso. Esso viene prodotto dalla scienza e dalle sue applicazioni tecnologiche e si diffonde tramite il commercio (magari illegale). I politici sono solo un ‘servizio’ che può agevolare l’avvento del progresso, esservi neutrale o ritardarlo accampando resistenze e diffondendo timori che poggiano solo sulla conservazione di assetti sociali obsolescenti. Ciò accade ovunque e da sempre e costituisce la vera fonte ultima della legittimità di libero mercato e liberal-democrazia

Benedetto XVI, Bush e Ban Ki Moon: trionfo della civiltà Occidentale

L’attuale visita del Successore di Pietro negli USA consolida e formalizza il riconoscimento della nuova era della globalizzazione industriale di libero mercato e la parallela ricerca di associati e coerenti nuovi equilibri istituzionali nello spirito Occidentale. Infatti la visita del Pontefice prevede due tappe. Prima tappa è alla Casa Bianca che viene confermata sede del nuovo Cesare il cui potere secolare, sottolinea il Papa, è ‘fondato’ sulle radici cristiane della Roma del Sacro Romano Impero; gli USA. Il cui ruolo di ‘melting pot’ inter-culturale viene pertanto legittimato essere nella convinta condivisione di un’etica civile che ha le sue basi nella separazione tra Stato e Chiesa ma mantenendo diffusa la professione della religiosità. Due elementi che sono stati sempre garanti che l’etica civile ispiratrice delle leggi dello stato restassero aderenti alla morale della ‘legge naturale’; l’unico fattore che può essere comune tra culture diverse per garantire che si conservi nella convivenza civile un carattere di organicità e armonia inter-religiosa. Seconda
tappa è il Palazzo di Vetro cui viene riconosciuto essere sede istituzionale del Nuovo Ordine Mondiale; una sorta di Senatus Populusque Romanus del terzo millennio in cui si possano negoziare adeguamenti della globalizzazione alle esigenze di una convivenza economica e sociale che rispetti le diversità regionali senza smarrire l’ispirazione della civiltà Occidentale. La carta dei diritti dell’uomo senza una comune adesione ai principi ispiratori liberal- democratici che animano l’egemone sviluppo del progresso industriale perderebbe ogni contenuto universalmente accettabile. I padri fondatori della costituzione USA, che furono capaci di travasare i principi di libera chiesa in libero stato
evitandone le degenerazioni dell’interpretazione atea e scientista dell’ Illuminismo della Rivoluzione Francese, hanno garantito il successo della civiltà Occidentale sul piano delle libertà civili che hanno avviato la nuova era del progresso industriale mondiale. La loro costituzione ha attratto da ogni parte del globo gli oppressi di ogni cultura e religione e costituisce oggi il modello più prossimo a quella liberal-democrazia cui anelano i ‘sudditi’ di regimi anti-Occidentali in ogni Paese. La degenerazione di stampo Illuminista Francese (tuttora in corso, anche nell’ambito degli USA, sotto forma di ‘pensiero debole’, di ‘relativismo’ o di ‘negazionismo scientista’ dell’esistenza di un Grande Architetto che abbia dotato la Natura di un ‘disegno intelligente’ di cui anche il ‘diritto naturale’ è parte integrante), viene sottolineata come elemento alieno alla carta di diritti dell’uomo universalmente compatibili con le più diverse culture e religioni. Unica interpretazione della carta dell’ONU che possa sperare di conservargli il ruolo di ‘parlamento’ inter-nazionale nella lunga ma già consolidata ed egemone fase di acquisizione alla civiltà Occidentale di ogni Paese del globo senza costringere i cittadini a sperimentare gli esodi del passato. Il Sacro Romano Impero si è trasferito temporaneamente a Washington DC senza che la Chiesa di Roma debba sperimentare nel terzo millennio una nuova Avignone. Il futuro Senatus Populusque Romanus è proposto a New York purché esso riesca a ispirarsi con chiarezza ai principi di legittimità Occidentale; libera chiesa in libero stato. Il ché prevede la fede in Dio e la fiducia nel libero arbitrio dei singoli quale unica guida nei comportamenti morali privati (famiglia, educazione, religiosità) e in quelli etici pubblici responsabilità nelle scelte e nei comportamenti civili). La civlità Occidentale sta seppur faticosamente trionfando sugli oscurantismi dogmatici antichi e moderni. Chi non se ne accorge non vuol vedere la realtà del consenso che ricevono in tutto il globo i due suoi eterni simboli la 'fiducia' in Cesare (la libertà di intraprendere simbolizzata dagli USA) e la
fede in Dio (la sopravvivenza della morale religiosa 'contro' ogni presunta 'tutela' di caste politico-sindacali).