19/11/2010

Il rovescio delle medaglie: la ricchezza deriva dalle avversità

Il recente film di Pupi Avati sul tema dell’Alzheimer (“Una sconfinata giovinezza”) è stato magistralmente interpretato da Fabrizio Bentivoglio che si è dimostrato un protagonista ispirato da grande sensibilità e compassione per quel dramma umano che affligge tutto il nucleo familiare costringendolo ad esercitare un profondo riesame dei propri diversi ruoli.

La progressiva regressione della persona afflitta da questa terribile malattia induce le persone che avevano con essa relazioni affettive ormai consolidate nel tempo dall’abitudine dei diversi ruoli dettati dall’istituzione ‘famiglia’, a porsi il problema della revisione dei propri sentimenti e comportamenti costretti dall’avvento di un fattore drammatico ed ineludibile in quanto derivante da cause esogene al sistema famiglia.

La storia illustra una mirabile sublimazione dell’amore che la moglie converte da quel ruolo nell’istituzione famiglia che non aveva potuto gratificare con la nascita di figli le sue aspettative di amore materno, ad una sorta di affetto materno nei confronti del marito in graduale regressione sul piano neurologico convertendo le sue esigenze affettive e le sue abilità comunicative in analogia con quelle proprie della prima infanzia.

Il film tuttavia si presta ad una rilettura critica che trascende gli stretti confini di una seppur drammatica situazione coniugale e quelli propri della sfera delle relazioni familiari.

Infatti la trattazione del soggetto si presta a suggestive riletture in chiave dell’etica che dovrebbe ispirare la società organizzata soprattutto se si pretende che quell’organizzazione debba legittimare il concorso delle istituzioni gerarchicamente più pubbliche della famiglia al benessere di quella prima e fondamentale pietra angolare in cui gli interessi privati trovano reciproco equilibrio sulla base del reciproco scambio di affetto e di solidarietà. Legittimare il sostegno delle istituzioni di carattere pubblico (sia private che statali) impone di chiarire i criteri etici del sostegno stesso prima di organizzarne i modi e di coprirne i costi operativi.

La storia è emblematica della compassione che ispira la conversione personale dei protagonisti negli affetti e nei reciproci vincoli di solidarietà grazie a nuovi comportamenti ed assetti organizzativi del nucleo famiglia. Dimostrando la vitalità della istituzione fondamentale della società che definisce le esigenze e i criteri che ci si attende dai sostegni erogati dalle istituzioni; sopraordinate sul piano organizzativo ma legittimate da quei criteri ed aspettative di ‘servizio’.

La famiglia, colpita da un dramma ineludibile, non si libera di quel fardello privandolo di relazioni affettive e relegandolo in ospizi di lunga degenza dotati di servizi erogati a fronte di stipendi a eventuale carico fiscale né ricorre alla ‘soluzione finale’ dell’eutanasia che anticipa l’inesorabile momento fatale evitando ai familiari tutti la sofferenza di una lunga agonia irreversibile che, da un lato, priva il soggetto malato d’una forma di vita degna d’essere vissuta e, d’altro lato, libera i familiari del fardello di attraversare un’esperienza dolorosa e lunga; un vero calvario individuale e collettivo. La famiglia preferisce rielaborare la solidarietà interna con la sublimazione dei reciproci sentimenti di amore e solidarietà che la malattia non annulla ma converte in forme più elevate di compassione; grazie all’esperienza che solo la sofferenza individuale riesce ad indurre nell’intimo di ciascuno secondo le peculiari sensibilità e carismi che solo parzialmente sono legati ai ruoli formali secondo i quali si legittima la supremazia sociale della famiglia in ogni società liberale in regimi non autoritari o etico-totalitari.

La scelta di accettare di ‘convivere’ l’esperienza drammatica anziché respingerne le sofferenze personali con l’abbandono della vittima come ‘sacrificio’ isolandola nella ‘sua’ malattia è la scelta che conserva e sublima la solidarietà garantendole nuovi contenuti fertili di arricchimento personale e collettivo di tutti i familiari.

Il soggetto colpito garantendogli una qualità di vita ricca di affetto e di continuità relazionali coi familiari in una stabilità ambientale che premia qualsiasi altro forma di assistenza sanitaria o logistica avulsa dal suo contesto tradizionale. Ciò può valere per ogni altra forma di avversità individuale inclusi i travagli di parto a domicilio e per vie naturali in luogo del più usuale trattamento in clinica con tagli cesarei.

I soggetti più adulti garantendo loro una continuità dell’esperienza che non si limita ai periodi di felicità ma si consolida in quelli delle avversità grazie al cambiamento che solo esse inducono nei membri della famiglia sia sul piano delle rielaborazioni individuali delle loro sensibilità umane, sia su quello del riadeguamento dei rapporti tra i membri della famiglia al di là dell’originaria definizione dei ruoli istituzionali.

I soggetti più giovani ed adolescenti assicurando un arricchimento di suggestive esperienze drammatiche ma in reciproca solidarietà senza scelte di alienazione egoismi o rifiuti della continuità sociale. Una scuola di vita ispirata alla partecipazione e condivisione sociale della solidarietà nel corso dei favori e delle avversità.

Privare la famiglia di questa sua responsabilità primaria nei confronti dei suoi membri agendo sugli egoismi e paure individuali, frammentandone la solidarietà interna con l’offerta di ‘servizi’ deresponsabilizzanti costituisce la fonte primaria di disgregazione delle altre istituzioni di interesse pubblico. Infatti si legittima il criterio che i loro interventi debbano essere mirati ad eliminare la sofferenza umana nei drammi della vita; a spese della fiscalità generale al fine di eliminare perfino quel tipo di ‘sofferenza’ imposto dal costo dei servizi.

I servizi devono nascere ‘in sussidiarietà’ a quelli primari che ogni istituzione deve erogare ai suoi membri. La famiglia deve farsi carico della sofferenza, delle felicità e della maturazione dei suoi membri nel corso di ogni tipo di evento che la colpisce come istituzione. Nessuna altra istituzione riesce a supplire il compito educativo alla condivisione dell’amore reciproco nel corso di eventi sia fausti che infausti. Soprattutto se in famiglia si desse la sensazione che ci si possa esonerare delle sofferenze individuali imposte dalla crescita umana e spirituale nel corso della vita e che le si possano demandare a fronte di sacrifici finanziari a servizi privi di contenuti affettivi in quanto erogati da professionisti; indipendentemente dalla qualità delle loro prestazioni.

D’altronde è solo grazie al sofferto superamento del dolore cui ci espongono le avversità che sviluppiamo un patrimonio di sensibilità che arricchisce la nostra personalità sul piano intellettuale e spirituale. Sono solo le disgrazie attraversate che hanno la capacità di imporci la maturazione di nuove conoscenze e la capacità di reagire in modi più appropriati alle connesse forme di disagio e sofferenza. Una vita che fosse priva di crisi, di sconfitte e di sofferenze non permetterebbe di sviluppare le risorse umane che possediamo senza poterne conoscere l’esistenza ed il valore per una più matura vita individuale e sociale.

Su questa base si fonda lo spirito di libertà maturato dalla civiltà ‘Occidentale’. Ogni altra soluzione dall’alto è frutto di spirito materialista e di visione autoritaria dei criteri su cui si fonda il regime politico.

Materialismo che può essere fondato su una ideologia secolare (fascismo, nazional-socialismo, comunismo) o sull’assenza di ideologie (consumismo) ma che ispira regimi di governo dall’alto e deresponsabilizzanti sul piano della reazione alle avversità.

In ogni avversità si deve riuscire a ispirare le nostre reazioni grazie a decisioni assunte su responsabilità dal-basso, che possono essere solo integrate da sostegni ricevuti in pieno spirito di sussidiarietà. L’iniziativa di reagire alle avversità deve provenire da una proattiva capacità di assumere individuali e libere responsabilità di iniziativa cui potranno o meno associarsi le auspicabili collaborazioni e solidarietà che non potranno mai essere garantite né nel tipo, né nella qualità, né nella tempestività.

Perfino i drammi più eclatanti ed apportati da eventi ambientali (terremoti, inondazioni, epidemie) devono essere fattori di crescita della solidarietà umana al fine di consolidare la libertà della società organizzata.

Le comunità colpite dalle avversità devono fieramente reagire ‘indipendentemente’ dal possibile sostegno che possono provenire dalle istituzioni gerarchicamente superiori. In regimi liberal-democratici la superiorità etica delle istituzioni è inversamente proporzionale alla loro gerarchia legale. Le istituzioni ‘locali’, più prossime ai drammi che affliggono la famiglia, sono gratificate da gradi maggiori di consenso e legittimità rispetto a quelle ‘centrali’ i cui interventi sono meno ricchi di empatia e compassione nei confronti dei drammi.

Le popolazioni più sensibili alla propria libertà, sono quelle più capaci di reagire autonomamente alle avversità. Come si dimostra in occasione delle catastrofi più tradizionali (terremoti, inondazioni, epidemie).

In Friuli la popolazione avviò la ricostruzione assumendosene l’onere diretto e immediato. Nel Belice o in Irpinia le popolazioni ancora attendono che arrivino le provvidenze da istituzioni centrali che trattengono sempre per avidità e corruzione abbondanti porzioni dei sussidi.

L’opera cinematografica di Pupi Avati sembra preziosa per suggerire un paradigma di comportamenti virtuosi anche per istituzioni più generali della famiglia. Potrebbe essere utile illustrarne lo spirito nelle scuole.