19/03/2010

Evoluzione dello scenario politico-industriale

È in corso il graduale consolidamento dell’esodo dall’Italia dei grandi gruppi industriali (caso Fiat-Chrysler) anche sul piano organizzativo (da Torino ad Auburn) oltre che su quello del peso sulle scelte strategiche che ispira i grandi gruppi ormai da molti decenni e ha coinvolto altri grandi gruppi un tempo italiani (Pirelli ma anche ENI o ENEL e i gruppi finanziari di maggiore peso).

Questa evoluzione conferma l’irreversibilità del processo della globalizzazione industriale e della fisiologica “delocalizzazione” dei gruppi industriali non solo sul piano dell’insediamento degli impianti produttivi ma anche su quello delle loro sedi legali.

Si conferma l’accelerata evoluzione della riorganizzazione industriale nell’ottica globale nella quale prevale l’attenzione alle dimensioni del nuovo mercato della produzione, risparmio e consumo sul quale prevarrà il complessivo livello competitivo dei gruppi. Ciò conferma il superamento della visione industriale incentrata sui vecchi Stati Nazione nell’ambito dei loro criteri istituzionali corporativi e protezionisti. Si consolida uno scenario decisionale nuovo e più dinamico che trascende i criteri della stabilità dei singoli mercati nazionali in quanto tali per attribuire ad essi il peso specifico sugli apporti di ognuno alla competitività del gruppo sul mercato unico. Ogni elemento che caratterizza i tradizionali Stati Nazione viene preso in considerazione al di fuori di criteri politici o ideologici al fine di valutarne la credibilità di concorso alla redditività complessiva di investimenti che pretendono una stabilità di lungo periodo nel contesto di uno scenario geopolitico ormai ben chiaro a chi assume le decisioni nei primari gruppi industriali.

Quest’evoluzione del peso dei tradizionali Stati Nazione sulle scelte industriali e finanziarie di lungo termine comporta la graduale perdita di peso politico dei rispettivi sistemi politici nazionali e l’associato obbligo di sostituire i tradizionali schemi, criteri e pesi decisionali incentrati sulle lobby industriali ormai superate e sulle relative corporazioni che ne costituivano la catena di trasmissione tra economia e politica.

Questo processo inevitabilmente incide sulle stesse istituzioni statali che provvedono a modificare il sistema legislativo, esecutivo e giurisdizionale nei singoli Paesi amministrati nell’ambito dell’obsolescente legittimità degli Stati Nazione.

Le modifiche saranno inevitabilmente di almeno tre tipi.

La devoluzione verso istituzioni soprannazionali ancora fragili sul piano politico (UE, ONU, NATO, BMI, FMI) di competenze decisionali che riescano a collocarsi a pari livello e prospettiva di quelle che i primari gruppi industriali sono costretti a rispettare dalla competizione imposta dal sistema industriale globale.

La devoluzione verso istituzioni “regionali” ancora poco abituate a sostenere le esigenze dello sviluppo dei propri bacini produttivi spesso “indotti” industriali di gruppi che sono in delocalizzazione di competenza decisionali fino ad oggi accentrate al livello nazionale.

L’adeguamento organizzativo e procedurale delle istituzioni nazionali a soddisfare le emergenti esigenze dei produttori, dei risparmiatori e dei consumatori più ancorati a risiedere nel territorio nazionale e per rendere più attrattivo a nuovi produttori esteri insediarsi stabilmente nel Paese. Migliorare cioè la competitività del sistema dei servizi di diffuso interesse pubblico sotto il profilo della loro tempestività di risposta e il loro rapporto costo/beneficio ricevuto.

Questo coacervo di modifiche che l’avvento della globalizzazione impone a tutti i sistemi istituzionali degli Stati Nazione incide immediatamente sulle capacità politiche degli stati stessi di poter sviluppare proprie iniziative nel corso del progredire stesso del processo di riorganizzazione del sistema industriale su base globale. Il livello politico dei singoli Paesi (ivi incluso quelli che rivestono un ruolo egemone – Cina e USA) perde efficacia e risorse un tempo nazionali sulle quali poter agire per adeguare i fenomeni indotti dalla riorganizzazione industriale a spese dei propri bacini elettorali nazionali. La minore efficacia operativa degli apparati statali durante il loro processo di adeguamento a servire le nuove aspettative emergenti diminuisce inoltre le capacità operative dei livelli politici nazionali. I tagli di costo necessari per rendere più competitive le prestazioni dei servizi di interesse pubblico nazionali incidono sul breve termine sull’efficienza operativa e concorrono a rendere gli Stati Nazione ancor meno adeguati a produrre strategie di potere sui mercati esteri di interesse per sistemi produttivi nazionali che, tra l’altro, sono ovunque in corso di riorganizzazione. Questa crisi politica spesso si traduce in sterili immobilismi “reazionari” e rinuncia quindi ad affiancare le decisioni dei primari gruppi industriali con coerenti decisioni istituzionali che risultino a-misura del sistema residuale produttivo industriale. Il sistema delle PMI che, uscito dal ruolo di “indotto industriale” dei gruppi nazionali, sta autonomamente cercando una sua riorganizzazione produttiva che lo renda attrattivo sul nuovo mercato globale. Le due devoluzioni di competenze nazionali indicate come inevitabili risultati della irreversibile globalizzazione dovrebbero invece stimolare i livelli politici nazionali in ogni Paese a individuare il più celermente e chiaramente possibile quali siano le nuove aspettative di servizio dei sistemi produttivi che resteranno insediati nelle singole nazioni onde potervi raccordare le nuove missioni di rappresentanza politica nelle sedi soprannazionali a sostegno del sistema residuale nazionale che sarà caratterizzato dalla minore “mobilità” rispetto a quella che anima già ora il sistema produttivo associato ai gruppi industriali più grandi.

La scarsa mobilità dei sistemi residuali nazionali dovrà essere resa il più omogenea su base “regionale” al fine di agevolare la riorganizzazione organizzativa e procedurale delle istituzioni politiche di livello inferiore a quello nazionale. Istituzioni che potranno soddisfare le esigenze dei produttori che operano nel loro bacino geopolitico elettorale con l’assunzione di missioni assolutamente nuove alla luce della competizione globale. Al fine di agevolare la riorganizzazione del livello politico e istituzionale “regionale” sarebbe quindi utile di rivedere i confini geopolitici tradizionali al fine di rendere il più omogenee possibile le esigenze dei servizi alla industria. Infatti le tradizionali ripartizioni geopolitiche sono ispirate da ragioni storiche e culturali ma poca da quelle industriali. In tutt’Europa la scarsa mobilità è dettata dallo storico radicamento “provinciale” delle attività produttive. In Italia in particolare struttura orografica e frammentazione politica hanno prodotto la scarsa propensione alla mobilità del sistema produttivo ma anche, per converso, le sue particolari doti di creatività e di flessibilità.

È su queste peculiarità di scarsa mobilità ma di alta creatività e flessibilità che dovrà agire il livello regionale delle istituzioni per definire le sue stabili missioni future.

Il sistema produttivo “residuale” infatti è garante della stabilità del consenso elettorale che a sua volta è la fonte primaria della legittimità politica. Una stabilità che coincide con la intrinseca propensione alla scarsa mobilità.

Le caratteristiche di qualità delle produzioni locali e la loro ridotta attitudine a soddisfare le esigenze della distribuzione di massa, richiedono di attrarre i consumatori presso i produttori invece di standardizzare la qualità e il prezzo delle frammentate produzioni a-misura delle specifiche dei canali di distribuzione di massa. Ciò per quanto concerne le produzioni rurali (enologia, gastronomia) e artigianali.

Al fine di attrarre consumatori presso le località di produzione è possibile agire sulle attrattive naturali e culturali di cui dispongono Paesi come l’Italia. Attrattive che costituiscono una stabile risorsa di ogni realtà regionale e che sono adeguate ad alimentare una rete diffusa di servizi di ospitalità locale atta ad aumentare il consumo dei prodotti rurali e artigiani sul posto di produzione. Il turismo culturale e del benessere può affiancare la tradizionale offerta del tempo libero e sport per alimentare questa remunerazione dei prodotti di maggiore qualità e carattere artigiano con la drastica riduzione della lunghezza della filiera commerciale.

Al fianco delle produzioni e dei servizi più legati al territorio esiste un altro strato di aziende industriali di alta qualità che richiedono alta specializzazione e elevate formazioni professionali. Tra queste nicchie dei sistemi industriali “regionali” figurano le tradizionali aziende manifatturiere (armi, meccanica, macchine di precisione, etc.), aziende di sistemi e di impiantistica industriali (petrolifera, estrattiva, energetica, chimica, termica, farmaceutica, etc.) e anche aziende specializzate in applicazioni delle tecnologie avanzate (Cine-TV, spettacolo, simulazioni industriali, etc.).

Materia per dare mano alla riorganizzazione istituzionale nazionale per adeguarla alle nuove esigenze dello sviluppo industriale ce n’è in abbondanza. Il livello politico invece prosegue nel suo presuntuoso, sterile e supponente atteggiamento in campo internazionale (l’Italia e la Siria affermano l’esigenza di restituire le alture del Golan – una affermazione tanto patetica quanto impotente di produrre qualsiasi effetto pratico) oppure nell’altrettanto sterile e supponente atteggiamento di protagonista che non ha mai rivestito nello scenario nazionale (conservare l’articolo 18, impedire la chiusura di Termini Imerese, rifiutare gli impianti nucleari, rifiutare le OGM, rifiutare l’apertura delle grandi opere di infrastruttura delle comunicazioni sia ponti, tunnel o reti integrate a fibra ottica, rifiutare una drastica riforma della giustizia).

Il livello politico ancora oggi in Italia si diletta in sterili lotte di “potere” per posizioni istituzionali ormai prive di potere alla luce delle esigenze dettate dal contesto globale coi suoi tempi accelerati di cambiamento. Si mira perfino a ricoprire ruoli istituzionali di puro prestigio storico ma francamente già prive di potere nel vecchio Stato Nazione come la Presidenza della Repubblica e non si sostiene con adeguata unità di intenti la nomina di D’Alema e di Blair alle due uniche posizioni che potrebbero svolgere un qualche, seppur ridotto, potere di azione tra i due giganti del Nuovo Ordine Globale che vengono invece lasciati liberi di decidere il loro ruolo primario ed egemone destinando poi all’UE gli spazi marginali e residuali di govenrance al livello “regionale”.

La mancanza di competitività e di potere non si recupera o supplisce con arroganza e “resistenza, resistenza, resistenza” all’avvento del nuovo. Ogni ritardo ad occupare gli spazi commisurati alla nostra credibile capacità operativa (bassina invero) non fa che peggiorare le opportunità residue. Ciò vale per l’UE ma soprattutto per l’Italia.

È per queste ragioni che un personaggio a-politico ed anti-politico come Berlusconi risulta più adatto a governare il cambiamento del sistema Italia rispetto alle vecchie aristocrazie industriali (che hanno preferito sistemarsi all’estero) e alle vecchie consorterie parassitarie politico-sindacali (che preferiscono ostacolarne il successo col sostegno delle altrettanto parassitarie corporazioni statali e parastatali).

Se avranno successo le “resistenze, resistenze, resistenze” Berlusconi sarà spinto a insediare all’estero anche il suo gruppo e il sistema Italia perderà l’ultimo treno per Yuma restando prigioniera degli sceriffi di ieri.