18/09/2009

Guerra e politica

I comportamenti bellicosi di ogni soggetto sia egli individuo o nazione, servono a demotivare chiunque si opponga alle finalità politiche che animano il soggetto stesso. Non esiste discontinuità tra azione politica e azioni belliche. Esiste una gamma di comportamenti più o meno amichevoli che altro non sono in realtà se non azioni dissuasive da comportamenti altrimenti reprimibili con azioni meno amichevoli che quindi sono più bellicose e che devono comunque essere ben note tra interlocutori per non risultare sprechi di risorse, in quanto sterili sul piano politico anche se virtuosi sotto il profilo della carità cristiana.

Il realismo della strategia politica viene misurato sulla base della credibilità economica del soggetto che se ne assume gli oneri di tutelarne con azioni pacifiche e bellicose la dimensione. Se manca credibilità attribuita dall’esterno alla capacità del soggetto di sostenere la strategia scelta risulta inevitabile che emergano soggetti animati da intenti competitivi intenzionati a sottrargli ruolo e spazi di azione. In Natura (sia animata che inanimata) i vuoti vengono riempiti con atti più o meno traumatici a seconda della diversità di consistenza esistente tra lo spazio più vuoto rispetto alla consistenza degli spazi ad esso adiacenti.

Occorre trasferire queste considerazioni in ambito odierno nella fase di estendere l’industrializzazione su globale e della connessa necessità che tutti i nuovi Paesi che desiderino partecipare al processo in corso, accettino come premessa indispensabile i principi fondanti della civiltà ‘Occidentale’ liberal-democratica e cioè l’autonomia tra la sfera civile e quella religiosa (e, più in generale, anche quelle delle religioni-secolari proprie dei totalitarismi). Infatti è la commistione dei due concetti di reato e di peccato a impedire relazioni sul piano industriale e commerciale fondate solo sulla convenienza espressa in termini di “redditività” delle risorse investite nelle produzioni. In termini di pura redditività è infatti naturale che la comune convenienza riesca a dinamizzare la competitività industriale senza creare la categoria del “nemico” (figura ostile senza possibilità) ma solo alleanze tra concorrenti in vista di spartire il reddito conseguito sulla base di criteri da tutti condivisi e secondo comportamenti sanzionabili da parte di un giudice terzo. È solo questo che separa i conflitti industriali da quelli armati; la possibilità di negoziare i propri variabili interessi secondo i variabili rapporti di forza e alla luce di un comune sistema giurisdizionale ispirato da una condivisa legislazione.

Ora sembra che sia chiaro il concetto di appartenenza alla civiltà ‘Occidentale’ che dovrebbe ormai includere il Nord e il Sud America, l’Europa fino alla Russia inclusa, l’Oceania, l’Australia, il Giappone, molti Paesi asiatici (Israele, Filippine e India) e taluni Paesi africani (Sud Africa e forse qualche Paese anglofono e franco-fono). Esiste a fronte di questo blocco ‘Occidentale’ una serie di Paesi ostili in modo preconcetto al primo e composto fondamentalmente dai Paesi di religione musulmana che sperimentano una drammatica fase di inabilità interna proprio in quanto l’espansione della civiltà ‘Occidentale’ viene ritenuta da una parte dei suoi cittadini incompatibile coi principi dell’Islam. Questa minaccia crea forti tensioni sociali interne che si traducono in veri e propri conflitti armati; la guerriglia del terrorismo integralista.

Per ragioni di convenienza economica, la compattezza del blocco ‘Occidentale’ viene messa in crisi da questa guerra interna in corso in quel secondo blocco di Paesi e agevola anche azioni di disturbo che vengono poste in essere contro il processo della globalizzazione da Paesi come la Cina che hanno tutto da guadagnare se il processo viene rallentato mentre essa potenzia la sua economia industriale e migliora la credibilità negoziale ad essa connessa. Le azioni di disturbo della Cina si traducono in estensione della sua influenza industriale in Paesi un tempo orbitanti attorno a Paesi dell’’Occidente’ o alla Russia, un tempo alleato ideologico contro i “nemici” del capitalismo liberale. Ciò contribuisce a diminuire la compattezza del blocco ‘Occidentale’ nel quale si rafforza la capacità negoziale di opposizioni interne ostili al capitalismo di libero mercato. In Sud America e in Europa i “socialisti” ottengono una insperata “sponda” politica per recuperare sul piano ideale loro capacità di azione politica all’insegna del protezionismo industriale, della difesa di privilegi nazionali dello Stato Sociale, della difesa della qualità di vita e delle generazioni future dal degrado ambientale. Tutte istanze ideologiche perseguite sulla base di programmi di veri e propri terrorismi ideologici e di demagogia comportamentale e fiscale. Ne vediamo il rafforzarsi oggi in Sud America con il blocco dei Paesi che hanno avviato nuove relazioni con la Russia all’insegna del socialismo anti-industriale, in Francia e negli USA coi nuovi programmi di misurazione del Reddito Nazionale della Felicità suggerito da Sarkozy e dalla lotta al riscaldamento ambientale (provocato dall’uomo e soprattutto dai Paesi ‘Occidentali’) proposto da Al Gore e abbracciato velocemente da molti governi in cui i “socialisti” sono significativi.

Detto ciò, sembra che accelerare il processo della globalizzazione possa essere conveniente non solo per i Paesi che ne hanno avviato il meccanismo (Cina e USA) ma anche per tutti quelli che vi stanno aderendo e che ne raccolgono diversificati ritorni di benessere e crescita economica. Quindi che il Paese egemone nel mondo industriale (gli USA) rinuncino a condurre con determinazione la “guerra” all’integralismo nel mondo musulmano, sembra sia un fattore negativo destinato a ripercuotersi ed esaltarsi nel campo delle relazioni politiche interne al blocco dei Paesi ‘Occidentali’.

È comprensibile che gli USA siano terrorizzati dalla solitudine decisionale cui li costringe la loro egemonia industriale ma non è ragionevole che ciò si traduca in un rifiuto del ruolo di Cesare che ricopre oggi Obama. Aumentare la determinazione militare contro l’Islam radicale è oggi indispensabile non tanto o non solo per evitare azioni cui la storia ci ha abituato (azione unilaterale di Israele contro i siti nucleari iraniani) ma per evitare che i cambi di strategia possano apparire come incertezza politica e possano quindi ispirare reazioni opportunistiche da parte dei leader ininfluenti ma cause scatenanti sempre di destabilizzazioni più massicce come è accaduto in passato e come è oggi possibile in Europa dell’Est, in Medio Oriente, in Asia Centrale e in America Latina o perfino in Africa Australe.

Mostrare incertezza politica rinunciando alla determinazione nel perseguire la vittoria militare in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan e quella altrettanto militare in Colombia, Bolivia, Venezuela e Perù oltre a incidere sul ruolo-guida degli USA, crea una percezione di incertezza sullo stesso processo di industrializzazione di libero mercato su base globale. Ciò non arresterebbe il processo cui è legata la stabilità politica interna in Cina ma provocherebbe un rallentamento passibile di provocare comunque in quel Paese stati di instabilità e pericolose fasi di conflittualità interna perfino in Russia, e nei Paesi dell’Est Europa. Oltre a prolungare la fase di transizione dell’Asia Centrale verso un regime liberal-democratico compiuto.

Obama non può dare la percezione in occidente che le prime generazioni di cittadinanza non siano in grado di assumere l’onere del ruolo di “Cesare” a guida e rafforzamento della civiltà ‘Occidentale’. Venti secoli di storia ‘Occidentale’ stanno oggi osservando i comportamenti della Casa Bianca che non si può nascondere dietro scuse quali le resistenze al Congresso o la situazione del debito federale o l’opposizione del GOP. In realtà i centri decisionali dei due partiti sono compatti dietro gli interessi nazionali (coincidenti oggi con quelli di tutto il mondo ‘Occidentale’) nessuno auspica una diminuzione dei finanziamenti bellici a favore di un aumento di invadenza del governo federale nella gestione di un Welfare State ormai fallito in tutti gli Stati Nazione illiberali e dirigisti del mondo industriale.

Obama è solo per definizione di “Cesare”, deve solo dimostrare di avere gli attributi necessari a ricoprire quel ruolo che ha saputo conquistare. Avere gli attributi significa decidere contro Acorn, Hollywood, immigrati clandestini e ……… pressioni della Chiesa di Roma il cui ruolo nel contesto ‘Occidentale’ è proprio quello di “contraltare” alle decisioni di Cesare. È tutto molto semplice e lineare, l’’Occidente’ deve vincere ciò che ha avviato sul piano militare a ciò tutti i Paesi dell’UE sono disponibili con determinazione tanto maggiore quanto lo sarà quella di Obama. Qualora invece egli dovesse mostrare incertezza e resipiscenze, allora il contributo degli altri Paesi NATO, europei e extra-europei verrebbe inevitabilmente messo in discussione per la loro totale inutilità a supplire al ruolo-guida degli USA. Perdere dei ragazzi in guerra non è piacevole per nessuno ma perderli senza alcun significato né prospettiva (come ad El Alamein) è inaccettabile per qualsiasi liberal-democrazia.