18/04/2010

Protagonisti e Guardoni della governance globale

Il ritmo accelerato col quale sta progredendo irreversibile la internazionalizzazione industriale rende sempre più evidente la separazione gerarchica tra il peso che possono avere nell’evoluzione degli accordi i diversi Paesi coinvolti e i figuranti politici che occasionalmente si trovano a gestire le istituzioni nei rispettivi Stati Nazione destinati a devolvere parti sostanziali della loro vecchia sovranità accettando il ruolo che riserva la credibilità dei loro sistemi industriali nazionali e la loro competitività complessiva sui mercati globali.

Il sistema industriale USA sta uscendo rapidamente dalla ‘crisi congiunturale’ cui lo ha sottoposto la trionfante globalizzazione mentre l’U.E. non riesce neanche a trovare accordi adeguati a integrare Paesi di troppo diverso grado di sviluppo, di eccessiva frammentazione istituzionale (lingua, diritto, fisco, giustizia, procedure amministrative, etc.) né a concordare il semplice rifinanziamento della Grecia per mancanza di un accettato paradigma di politica economica sul quale fondare i connessi dosaggi di concessioni e di modifiche strutturali che compongano la cura cui sottoporre un sistema ‘malato’ da lunghe pratiche di insostenibile Stato Sociale ed oggi inadeguato ad assumere assetti più compatibili con la competitività globale. Intanto la C.S.I. col suo sistema paleoindustriale e rurale totalmente inadeguato ad affrontare la realtà internazionale cerca disperatamente di riappropriarsi di un ruolo “terzo” tra U.E. e USA che le restituiscano parte del ruolo da protagonista di cui aveva immeritatamente beneficiato durante la prosecuzione del secondo conflitto mondiale in un contesto geopolitico (la guerra fredda) in cui valeva fondare lo status di superpotenza sulla reciproca capacità di mutua distruzione nucleare e non invece (come ormai oggi) il mutuo rapporto di competitività e di capacità produttiva dei rispettivi sistemi industriali nazionali. L’URSS è crollata di fronte al rilancio del riarmo (lo scudo spaziale) che, mentre offriva al sistema USA nuove opportunità di rilancio produttivo e relative ricadute commerciali successive, costituiva un insostenibile onere per l’URSS costretta ad innovare il sistema industriale e finanziario incentrato sull’apparato bellico improduttivo e privo di ogni ritorno di reddito sul mercato civile. La Russia oggi si trova in condizioni ancora più svantaggiate in quanto il suo sistema industriale nazionale non ha ancora lontanamente raggiunto la solida e complessa struttura aziendale necessaria per garantire un autonomo sviluppo nazionale mentre le aspettative sociali di maggiore benessere restano ancorate alla vendita di commodities al sistema industriale ‘Occidentale’ dalla cui crescita discende la possibilità di alimentare lo sviluppo del grossolano sistema industriale nazionale. In questa fase la possibilità che la Russia riesca a sostenere l’onere di politica estera necessario per ricondurre sotto la sua leadership Paesi un tempo sottomessi per pure ragioni ideologiche tramite regimi autoritari invisi in misura più o meno intensa dalle stesse popolazioni che componevano il ‘Patto di Varsavia’, sembra poco credibile e privo delle necessarie risorse di tempo e finanziarie a confronto con l’accelerato ritmo col quale procede la globalizzazione. Né la Russia può negoziare con l’U.E. la costituzione di un blocco politico “terzo” rispetto a Cina e USA. Neanche qualora il Regno Unito dovesse essere travolto da una sindrome di masochismo politico ed aderire all’U.E. integrata con la Russia abbandonando agli USA la costruzione della governance duale con la Cina. Il sistema industriale dell’U.K. è troppo integrato con gli USA tramite il Commonwealth, India, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sud Africa ma anche Singapore, Hong Kong e Giappone in un sistema dotato di lingua, diritto, giustizia, comunicazioni, formazione, finanza, etc. comuni tanto da non consentire alcun confronto con la competitività raggiungibile in tempi accelerati dall’utopico “terzo blocco” U.E., Russia, CSI e Paesi dell’Asia Centrale caratterizzati da un livello industriale e umano da terzo mondo.

Ciò che resta credibile sul piano geopolitico è solo la scelta dell’U.E. di integrarsi rapidamente agli USA e UK nel formare un unico mercato integrato in cui prevalga il nuovo ‘latino’ del 2000; l’inglese con ogni suo elemento accessorio (giustizia, fiscalità, formazione, comunicazioni, media, istituzioni politiche, etc..

Anche questa alternativa (che avrebbe il merito di permettere all’U.E. nel suo insieme di negoziare un ruolo regionale di peso), credo sia poco credibile venga raggiunta. Infatti occorrerebbe che l’U.E. si presentasse alle negoziazioni con USA e Cina caratterizzata da un unico sistema industriale armonizzato e, quindi, dotato di una competitività comparabile a quella del sistema ormai integrato (anche se istituzionalmente avversario) di USA e Cina. La nuova competitività del sistema integrato USA-Cina assicura ai due partner un potenziale di crescita che sta già rilanciando la crescita dell’economia nazionale USA e risulterà adeguato ad assicurare al sistema nazionale cinese un ventennio almeno di tassi di sviluppo a due cifre. Durante quel ventennio la crescita verrà inevitabilmente monopolizzata da quei due protagonisti soprattutto per inadeguatezza del sistema competitivo che avrebbe interesse a contrastarli.

Per ragioni immediate di politica globale invece una U.E. che si aggregasse agli USA come partner regionale ma integrato industrialmente, avrebbe ottime possibilità di vedere riconosciuto un suo spazio di crescita da negoziarsi nel corso della definizione in itinere della governance globale. soprattutto se all’U.E. si volesse aggregare con ruolo di pari dignità (grazie alla sola sua posizione geografica nello scenario geopolitico in cui il mondo ‘Occidentale’ vedesse la Russia costituire il suo fronte estremo nel confronti del continente asiatico che verrà dominato – in quanto continente – da Cina e India).

La Chiesa di Roma ha già fatto la sua scelta di inserimento nella politica globale del terzo millennio sin dal tempo in cui Reagan e Wojtyla si scambiarono gli ambasciatori, sostennero comuni lotte politiche in Polonia, trasferirono gli interessi economici del Vaticano negli USA, avviarono una graduale riunificazione della obbedienza cattolica con quella anglicana/episcopale, avviarono un nuovo spirito di relazioni col mondo ebraico, etc.. Non per nulla da parte delle vecchie lobby USA viene scatenata una vera e propria guerra contro la Chiesa Cattolica nelle forme più varie; class actions contro le Conferenze Episcopali con la relativa dichiarazione di insolvenza delle stesse. Linciaggio morale contro il Vaticano per reati odiosi ma commessi da sacerdoti delle Conferenze episcopali USA e UK oltre trent’anni fa, etc..

Il riavvicinamento Vaticano USA è stato accompagnato da un analogo riavvicinamento tra Vaticano e UK; fine della guerra civile in Irlanda del Nord, riavvicinamento tra Chiesa episcopale e Chiesa Cattolica, conversione al cattolicesimo di alti esponenti politici UK, etc..

Analogo segno della scelta compiuta dal Vaticano come “ponte culturale” tra USA/UK e Russia è il costante impegno della Chiesa di Roma nei confronti degli Uniati in Ucraina e dei Greco Ortodossi in Grecia e Russia. Se l’U.E. (come è altamente probabile dopo il fallimento della costituzione europea e dell’elezione al suo vertice della coppia Blair/D’Alema) non dovesse trovare in tempi brevi una sua organicità interna, all’Italia converrebbe certamente svolgere un ruolo internazionale sempre più integrato con il sistema industriale USA e con gli interessi missionari della Chiesa di Roma. È un ruolo che solo l’Italia si troverebbe nello stato di poter ricoprire; non tanto per una sua coerenza di azione culturale e diplomatica dei decenni passati ma soprattutto in grazia di un’immagine che il Vaticano proietta sull’Italia in quanto istituzione bi millenaria e credibile associata al nostro Paese e in grazia della nostra totale mancanza storica di protagonisti industriali e militari sullo scenario internazionale (un’assenza che ci evita il peso della accusa di imperialismo). La nostra “terzietà” è dovuta proprio alla brevità e al fallimento dell’Impero Fascista (Cirenaica, AEI, Albania). Quando si dice le fortune di una storia fallimentare!