18/02/2011

Opportunità strategiche per l’Italia

Carlo Pelanda recentemente ha indicato suggestive opportunità di iniziativa politica che l’Italia potrebbe sviluppare per ricavarsi un ruolo privilegiato come interlocutore tra i paesi del Nord Africa e quelle della UE e così permettersi una credibile posizione da protagonista tra sistemi nazionali più competitivi del nostro in altre aree del mercato globale.

Le tre opzioni prese in esame dal professor Pelanda sono in realtà ridotte all’unica caratterizzata da credibile spirito diplomatico a sostegno di negoziazioni e programmi industriali; le altre opzioni essendo solamente di carattere troppo ‘opportunista’ oppure troppo riduttivo per le esigenze di sviluppo industriale del paese.

Queste due opzioni suggeriscono per l’Italia la conversione a ‘Svizzera mercantilista’ nell’economia globale - missione che richiederebbe come prerequisito un patrimonio culturale e professionale nazionale che sembra assolutamente improbabile e che comunque imporrebbe di impegnare la maggioranza dell’occupazione del paese in attività di un turismo colto e diffuso che richiederebbero come prerequisito un patrimonio culturale e professionale altrettanto improbabile; oppure l’adesione a una strategia di ricatti per danneggiare le altrui iniziative di sviluppo industriale al fine di ottenere caso per caso benefici ‘locali’ – missione che richiederebbe come prerequisito la disponibilità di un forte nucleo dirigente animato da puro cinismo machiavellico che il paese mai è riuscito ad organizzare nella storia d’Italia, tranne in realtà molto ‘locali’ ed eccezionali (Cavour ne è esempio illustre) oppure nell’ambito della Curia Vaticana (che non deve rendere conto ad un’opinione pubblica ipercritica ed anarcoide come quella dello Stato Nazione cui Pelanda si riferisce).

L’unica opzione credibile è quella di proporsi come garante di stabilità nel Mediterraneo e nei Balcani e come interfaccia ‘ordinatrice’ tra un’UE germanizzata e un’area economica di grande interesse per paesi (Russia, USA, Israele, paesi islamici) che nutrono reciproca diffidenza anche se caratterizzati da mutuo interesse per la complementarietà industriale che ne caratterizza le economie.

Questa brillante e chiara sintesi di opportunità per la politica estera italiana nell’attuale contesto geopolitico regionale è suggestiva di ulteriori riflessioni sulla traccia dello sviluppo storico che ha dotato nel corso dei secoli l’Italia di un patrimonio di credibilità e di potenziale creativo che neanche la tardiva, turbolenta storia dello Stato Nazione è riuscita ad intaccare.

Questa rubrica ha spesso cercato di evidenziare che il tipo di valore aggiunto da sempre assicurato dall’Italia alla crescita della civiltà ‘Occidentale’ risiede nel patrimonio culturale delle istituzioni imperiali e nello spirito ‘artigianale’ che anima le iniziative in ogni comparto d’industria.

Il patrimonio istituzionale è stato acquisito diffusamente in tutti i paesi convertitisi alla civiltà ‘Occidentale’ ed è stato affinato gradualmente per adattarne il potenziale di servizio alle esigenze della governance emerse nel corso della crescita dell’innovazione industriale. Un patrimonio che – come chiaramente espresso dalla teoria economica neo-istituzionalista di Ronald Coase – ha arricchito tutto il complesso delle ‘istituzioni’ che compongono il moderno sistema industria-stato. Si tratta di un capitale culturale che ha visto la parallela crescita delle libertà individuali (‘responsabilità’) liberal-democratiche sia in politica (poteri istituzionali) sia nell’economia (capitalismo-liberista). Dall’originaria sede di quella cultura in Roma Imperiale con l’uso del latino, quel capitale culturale s’è trasferito occasionalmente nei secoli in altre sedi geo-politicamente più utili ad alimentare con efficienza l’espansione e l’affinamento della civiltà ‘Occidentale’. La componente ‘statale’ del capitale culturale si è insediata a Londra, Madrid, Vienna, Washington DC; sedi dalle quali l’egemonia si poteva estendere con maggiore efficienza ad acculturare paesi popolosi e molto disomogenei rispetto alla ‘casa madre’ Europa (America Latina, Asia, Africa, Oceania, Australia). Mentre la componente ‘statale’ della cultura ‘Occidentale’ ha seguito queste vicende per ciò che concerne la componente della governance del sistema industriale, la sua componente ‘industriale’ (capitalista-liberale) si è gradualmente impadronita dei sistemi produttivi nazionali nella storia degli Stati Nazione caratterizzati da diversissime attitudini, abilità e modalità professionali. L’Italia (come la Grecia e la Germania) è restata priva di unità come stato nazionale e la ‘cultura occidentale’ ne ha arricchito le manifestazioni industriali secondo lo spirito della ‘bottega d’arte’ o dello ‘studio professionale’ che ancora contraddistingue il valore aggiunto dell’economia ‘provinciale’ che il paese offre al mercato internazionale. In Germania l’organizzazione del lavoro industriale ha aggiunto un notevole apporto di redditività commerciale all’applicazione pratica delle tecnologie più innovative concepite dalla creatività ‘artigiana’; in ogni comparto della produzione di beni e di servizi. Nel Regno Unito l’apporto mercantile della cultura nazionale ha aggiunto valore sia con l’ottimizzare l’impiego delle risorse finanziarie sia con l’assicurare i rischi di mercato. Negli USA, le libere immigrazioni di diversissime nazionalità hanno arricchito la cultura nazionale di apporti che si sono integrati assimilandosi al sistema capitalista-liberale di oggi il cui potenziale operativo risulta altamente competitivo grazie alla sinergia tra doti organizzative di natura germanica, doti creative di spirito italiano, doti speculative di tipo britannico e apporti professionali di natura ebraica.

Un’analoga integrazione a quella già consolidatasi negli USA è in corso oggi grazie alla globalizzazione che ha abbattuto i confini degli Stati Nazione. I gruppi industriali multinazionali insedieranno le proprie sedi nei paesi più congeniali alle funzioni loro demandate senza soffrire di vincoli ‘ideologici’ che non abbiano cioè un riscontro in pure valutazioni di ottimizzazione dei costi di produzione e distribuzione dei beni e servizi.

Tuttavia i singoli sistemi nazionali stato-industria sono destinati a restare nel tempo grazie alla persistenza delle ‘culture’ nazionali e dei loro peculiari apporti di valore aggiunto e stabilità politica al mercato globale.

Questa persistenza di sistemi produttivi nazionali suggerisce l’esigenza di ispirare politiche estere dei singoli paesi; come suggerito da Carlo Pelanda.

Il mondo medio-orientale è restato marginale e critico nei confronti di questo processo di crescita del valore aggiunto dell’economia industriale in quanto è risultato più refrattario ad adottare gli stessi criteri di fondo della civiltà ‘Occidentale’; la separazione della sfera degli interessi secolari da quella religiosa (date a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio). L’integralismo della sharia islamica impedisce a quelle nazioni di integrarsi realmente nella civiltà ‘Occidentale’ e solo la ‘diaspora’ ha costretto la nazione ebraica ad erogare i propri insostituibili apporti ‘nazionali’ di valore aggiunto inserendosi ‘con riserva’ negli ambiti professionali più congeniali con i loro carismi (commercio, finanza, libere professioni). L’inserimento della nazione degli ebrei in diaspora nei sistemi industria-stato dei diversi Stati Nazione ha potuto garantire reciproci benefici a entrambe le nazioni grazie all’integrazione dei servizi professionali nei meccanismi organizzativi dei sistemi produttivi industriali dei singoli paesi. Il ‘resto di Israele’ è riuscito a conservare la sua unicità nazionale e ad assicurare la crescita dell’economia industriale nel corso dei secoli senza rinunciare alla propria fede anche se vissuta in spirito di ‘integralismo religioso’; gli altri ebrei si sono assimilati vivendo la propria fede in spirito di ‘separazione’ tra sfera secolare e sfera trascendente in modo analogo a quanto accettato dagli aderenti ad altre fedi. Non così l’Islam, ancora pienamente ‘integralista’ in Medio Oriente.

Quanto riepilogato suggerisce di segnalare all’analisi indicata dal professor Pelanda l’esigenza di aggiungere qualche elemento che tenga in considerazione qualche fattore di valore aggiunto potenziale dell’Italia nella sua costante situazione geo-politica nei secoli.

Un primo elemento è l’adozione di politiche che stabiliscano sinergia con quelle del Vaticano. Ciò estende i confini geografici del ruolo italiano all’Asia, ben al di la del Medio Oriente; Pakistan, India e Cina.

Un secondo elemento è l’intermediazione culturale delle iniziative industriali di interesse geopolitico per gli USA verso aree (Medio Oriente, paesi islamici, Asia) che nutrono storica diffidenza nei confronti del potere pragmatico industriale USA.

Un terzo elemento è l’agevolare il consolidamento di interessi industriali tra Mediterraneo, Asia ed UE che aiutino a conservare strette le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico (USA, UK, UE) al servizio della cooperazione allo sviluppo di Nord Africa, Medio Oriente, Asia.

L’Italia può beneficiare dell’assoluta assenza di timori da parte dei paesi meno industrializzati e più popolosi di rischi di prevaricazione nazionale; grazie alla goffaggine delle iniziative dello Stato Nazione. Ciò agevola l’accettazione del paese come partner industrialmente avanzato.

L’Italia gode di grande prestigio culturale in parte per il capitale del passato, in parte per l’inconscia eppur plausibile, identificazione del carisma spirituale del Pontefice di Roma con coerenti apporti umanitari degli operatori italiani in ogni loro impegno all’estero.

L’Italia inoltre gode di un’ubicazione geograficamente strategica tra UE, Africa del Nord, Medio Oriente ed Israele in particolare che nessun altro paese può associare a un passato di arroganza colonialista inesistente, mercantile o fallimentare come quello storicamente accumulato dall’Italia prima e dopo la sua costituzione in Stato Nazione; dalla Repubblica di Venezia, all’Impero Fascista, all’ENI di Enrico Mattei. Sfruttare questa nomea consolidata di ‘innocuità’ agevola qualsiasi approccio verso chiunque desiderasse associarsi allo sviluppo industriale ma fosse sospettoso di subire forme di sudditanza culturale immediate.

Forse proprio il rifiuto storico allo Stato Nazione e la riconosciuta sede originaria della civiltà ‘Occidentale’ attualmente egemone, irresistibilmente travolgente unitamente alla stima per la cultura artistica e spirituale che caratterizza l’Italia agli occhi di qualsiasi visitatore turistico, amatore d’arte, studioso del passato, buon gustaio gastronomico o estimatore dello ‘stile italiano’ in ogni comparto d’industria sono elementi di cui le nostre goffe istituzioni statali possono beneficiare per produrre iniziative strategicamente credibili nella realtà geopolitica in cui siamo immersi.

All’attuazione di tali strategie non servirebbe un’indisponibile efficienza istituzionale, sarebbe sufficiente disporre di team ristrette di professionisti di eccellenza che in Italia, da sempre, esistono e vengono sprecate a ‘mazzette da cento’. Qualche nome di questi professionisti? Tremonti, Pelanda, Marchionne e … perché no? … personaggi del calibro di Berlusconi (magari in fascia d’età più accettabile). Un Enrico Mattei attuò una strategia di penetrazione dei mercati in epoca molto più difficile e turbolenta raggiungendo un successo che solo la sua avidità insaziabile di ‘libero battitore’ italiano riuscita ad interrompere per eccesso di risultati rispetto ai mezzi disponibili. Lo stesso successe a Michele Sindona la cui eccellenza professionale ed avidità illimitata ha condotto al fallimento dopo il rifiuto dell’offerta di Enrico Cuccia di partecipare a MedioBanca. Lo stesso accadde a Benito Mussolini la cui abilità politica ed avidità di successo condusse a rischiare troppo rispetto alle effettive risorse disponibili nel bluff dell’Asse nell’ipotesi del carattere di blitz-krieg del conflitto mondiale. Così sarebbe successo a Camillo Benso che spesso azzardò troppo disponendo di pochissimo senza essere smentito nelle varie fasi del suo disegno inserito in una realtà geopolitica in cui il Piemonte risultava poco più che un Liechtenstein d’oggi.

Il valore aggiunto dei liberi professionisti inseriti in microrealtà artigianali ha caratterizzato la Storia d’Italia prima e dopo l’unità nazionale. È questa la dote che possiamo disporre sullo scacchiere geopolitico a servizio del patrimonio residuale di capacità industriali che resteranno nel paese dopo l’inevitabile esodo dei grandi gruppi industriali verso sistemi stato-industria caratterizzati da insormontabili margini di competitività.

Per concepire, mantenere riservati gli sviluppi ed implementare strategie anche di grande ambizione occorre disporre d’una mente lucida (i Napoleone, i Conte di Cavour, i Mussolini, gli Hitler, i Mattei, i Nixon, i Sindona o i Berlusconi) in ruolo di ‘capo scuola’ e condottiero intraprendente e d’un selezionato, ristretto team di efficienti adepti negli specialistici ruoli di coadiuvanti a tradurre il disegno in pratica costruzione con passi tattici sul campo (il ‘consigliori’ Machiavelli, Talleyrand, Bottai, Kissinger, Letta ed i ‘marescialli’ i Bernadotte, i Beneduce, gli Haig, i Confalonieri) ogni ulteriore struttura organizzativa risulta di intralcio nei confronti del successo della strategia sul campo; sia che essa sia storicamente di conclamate efficienza-lealtà, come in Francia o in Germania o, peggio ancora, che essa sia tradizionalmente inquinata da partigianerie ed ispirata da congiure individualiste in ogni istituzione (dai partiti alla curia) all’insegna dell’italico, ‘mafioso’; ‘meglio testa di sardina che coda di pescecane’!

Le risorse finanziarie per implementare la strategia raramente hanno costituito un ostacolo se il team esiste ed è ispirato da obiettivi remunerativi! L’Intendenza segue sempre, è il De Gaulle che occorre per concepire e attuare le strategie vincenti! Non certo i massicci corpi istituzionali dello Stato Nazione che, come la Storia ha sempre dimostrato, hanno solo rallentato e rivelato le confidenze rendendo i percorsi così accidentati da garantire il fallimento dei più innovativi disegni strategici; industriali o geo-politici che siano.