18/02/2011

Inesorabile estensione dei confini della civiltà ‘Occidentale’

L’amministrazione repubblicana di ‘W’ Bush sta dimostrando di avere valutato in modo eccellente le sue politiche estere a seguito degli eventi dell’11 Settembre 2001.

Da quella data infatti la civiltà ‘Occidentale’, sotto la guida egemone di USA e UK, ha deciso di verificare i confini geo-politici compatibili con la civiltà industriale liberal-democratica responsabilizzando i regimi dei paesi meno industrializzati ad assumere decisioni coerenti con l’adesione ai valori fondanti di quella civiltà greco-romana-cristiana.

Il modo per responsabilizzare in modo evidente i governi del mondo meno industrializzato, al di la delle tradizionali e puramente formali adesioni politiche dichiarative – contravvenute poi regolarmente sul piano delle iniziative concrete, è stato condurre conflitti armati all’interno delle aree regionali da sottoporre a verifica.

Scegliere tra comportamenti compatibili e non compatibili di adesione allo spirito ‘Occidentale’ è uscito dalle mistificazioni diplomatiche – materia in cui il mondo orientale eccelle culturalmente – stabilendo scadenze e contenuti di decisioni politiche associate a conseguenze onerose per i contravventori. Si è attivata la coppia di fattori che da sempre rendono efficaci le negoziazioni politiche; il bastone al fianco della carota in solido e credibile abbinamento.

I regimi più liberal-democratici sono stati posti in seconda priorità affidando la loro adesione ai criteri della civiltà ‘Occidentale’ alla dimostrazione di credibilità della nuova strategia geo-politica che inizialmente è stata esercitata sui regimi più incompatibili con la liberal-democrazia.

Le istituzioni di regimi già avviati sul percorso della liberal-democrazia possono essere distolti dal regredire verso maggiore autoritarismo per ragioni politiche interne qualora esse vengano confortate sugli eventuali costi associati a questa decisione.

La Turchia, l’Iran, il Pakistan, l’Egitto, la Giordania possono essere convinti facilmente ad ostacolare i partiti e le dottrine più integralisti dal riscontrare i maggiori oneri che sarebbero costretti a sopportare se ne viene data manifestazione pratica a spese di regimi già pienamente inaffidabili e incompatibili col libero mercato della globalizzazione industriale.

È stata la ragione per cui si è privilegiato condurre la prima guerra dimostrativa a spese dell’Iraq; il paese totalitario che aveva già minacciato l’area geografica più critica per gli interessi industriali globali a spese di Arabia Saudita, degli Emirati, del Kuwait ma anche di Israele e dell’Iran – un paese ‘occidentale’ e moderno anche se dominato dall’integralismo religioso della sharia.

Una volta dimostrata la determinazione di abbattere i regimi più inaffidabili, la guerra è stata spostata in Afghanistan; un paese primitivo, tribale che è sede di interessi geo-politici ad alto rischio di destabilizzazione dei paesi confinanti; Pakistan, Iran, Iraq ma anche la stessa Turchia e la Russia tramite i paesi musulmani a Sud della CSI.

Nel frattempo la globalizzazione industriale ha diffuso in tutti i paesi asiatici e africani analoghe aspettative di crescita del benessere e di libertà su modelli ideali che la rete integrata delle comunicazioni digitali ha reso ormai accessibile e fruibile agli utenti finali di ogni fascia sociale – grazie all’abbattimento dei costi dei beni e dei servizi telematici e alla diffusione dei filmati in lingua inglese.

Questa costante crescita di informazioni suggestive di richiami ai valori della civiltà ‘Occidentale’, è riuscita a indurre lentamente analoghe aspettative di maggiore libertà ed opportunità di maggiori consumi anche nel mondo femminile – che compone oltre la metà della popolazione dei paesi meno sviluppati e che soffre, in genere, delle maggiori forme di oppressione politica e sociale.

Le aspettative di migliori condizioni di vita hanno inoltre indotto un’ansia di crescita nei giovani – che costituiscono la maggioranza della popolazione maschile – che soffrono maggiormente in quei paesi della esclusione dai diritti politici e che sono oppressi economicamente e frustrati idealmente dalle troppo rigide istituzioni illiberali dei regimi integralisti.

Presa coscienza evidente delle conseguenze di adesione a comportamenti politici illiberali ed aumentate le pressioni sociali interne a tutti i paesi in via di sviluppo, si sono gradualmente create le condizioni dei moti popolari cui possiamo assistere oggi; in Nord Africa ma anche in Yemen ed … in Cina.

Perfino la Libia o l’Iran governati dai regimi integralisti più autoritari stanno dimostrando il potere ormai maturato della globalizzazione culturale che crea aspettative ingovernabili di maggiori benessere e libertà soprattutto tra i giovani senza distinzione di sesso.

Il 1989 ha liberato il capitalismo-liberista dai vincoli ottocenteschi degli Stati Nazione giustificati fino alla caduta del muro di Berlino dai paralipomeni del secondo conflitto mondiale, la ‘guerra fredda’. Crollate le ideologie ottocentesche che avevano legittimato i due ‘blocchi’, Wall Street non ha trovato alcun vicolo di tipo ideologico che limitava l’estensione dei suoi ‘servizi finanziari’ alla sola parte industrializzata del globo.

Estesi i confini dei servizi finanziari oltre i vecchi e sterili confini del Nord ‘Occidentale’, le vecchie istituzioni di Wall Street e City di Londra hanno potuto estendere anche la partecipazione di altri centri finanziari fino ad allora esclusi per ragioni di una geopolitica che limitava il potenziale di redditività e di crescita del ritorno sugli investimenti industriali; Singapore, Dubai, Hong Kong, Tokio.

Questa nuova ‘Wall Street Allargata’ è diventata la prima istituzione soprannazionale di servizio al mercato industriale su base globale. Gli investimenti in paesi spesso esclusi ma potenzialmente molto redditizi (Cina, Singapore, Corea, Est Europa, etc. si sono serviti di ‘prodotti finanziari’ altamente creativi e innovativi che in breve tempo hanno scatenato la destabilizzazione-controllata del vecchio sistema industriale confinato nei protezionismi e ristrette dimensioni di mercato propri degli Stati Nazione. Tutto è avvenuto in modo pacifico sulla traccia di quanto previsto da Ilya Prigogine per i sistemi termodinamici complessi lontani da equilibrio e chiaramente descritto da Per Bak con la sua teoria matematica dei sistemi critici auto-regolati.

Avviata la valanga, nessuna delle istituzioni nazionali o soprannazionali dell’ormai agonizzante epoca degli Stati Nazione (non ostante le celebrazioni formali dei centocinquantenari) è risultata in grado di regolare le transazioni globalizzate. Si è dovuto allora gradualmente, anche se malvolentieri, avviare un laborioso ed inesplorato processo di negoziazioni politiche ‘al traino’ di una galoppante, irreversibile cambiamento sia industriale (vedi il ‘caso Fiat’), sia finanziario (vedi i laboriosi accordi tecnici finanziari nell’UE), sia sul piano della società più diffusa nella quale crescono in pari tempo sempre più omogenee aspettative di libertà individuali e di stili di vita non più governabili dalle vecchie istituzioni e culture tradizionali. I giovani e le donne al Sud e al Nord vedono gli stessi filmati, indossano gli stessi abiti casual, leggono nella stessa lingua inglese gli stessi wikileaks ed assumono analoghi stili e linguaggio di contestazione insofferente delle culture paternaliste e dei regimi autoritari di illiberali governi top-down.

L’unione di questi elementi di crescente destabilizzazione e di convergenti interessi e motivazioni sociali si associa alla crescente verifica del potenziale di crescita economica derivante dall’accettazione dei servizi del capitalismo-liberista; vantaggiosi anche per le oligarchie alla guida dei regimi più autoritari del Sud.

Le ‘resistenze, resistenze, resistenze’ opposte dalle istituzioni corporative dei vecchi Stati Nazione vengono travolte al loro stesso interno in ogni paese (vedi i suggerimenti a ‘rottamare’ le gerarchie) e la ricerca di nuove forme accettabili di governance viene sollecitata in ogni Stato Nazione; dapprima presso i paesi che partecipano maggiormente al processo della globalizzazione industriale (vedi il G2 – USA e Cina), poi nei paesi più competitivi che spesso sono tuttavia impastoiati dai loro vincoli politici ed economici dell’era in corso di una lunga agonia (vedi Regno Unito ma anche Germania in Europa), infine, in una graduale scala gerarchica, ogni altro paese meno interessato ai vecchi retaggi economici e politici che, come l’Italia di Fiat, potrebbe inserirsi con maggiore beneficio al traino della nuova governance con maggiore tempestività ma che, per ragioni di parassitismi interni ed inefficienze statali, falliscono spesso nel cogliere le preziose nuove opportunità offerte alla loro struttura industriale dall’enorme potenziale di sviluppo industriale globale.

La macchina delle carote e dei bastoni si è messa in irreversibile movimento anche se può subire frenate o accelerazioni a seconda degli errori ed esitazioni dei vari governi – sia quelli ‘Occidentali’ sia quelli in via di industrializzazione.

Siamo spettatori affascinati di una preziosa dimostrazione pratica del manifestarsi delle teorie scientifiche di Prigogine e di Bak in questa sorta di ‘laboratorio globale’; è il fascino della cultura ‘Occidentale’ rispetto alla potenza del filo rosso (o ‘disegno intelligente’) che presiede alla crescita della civiltà greco-romana-cristiana al di la di qualunque tentativo delle gerarchie (statali e religiose) di opporvisi!