17/11/2009

Sistemi e dinamiche relative

È in corso un processo di negoziazione del Nuovo Ordine Globale con la partecipazione più dinamica (ed obbligata per l’immediato impatto sui loro sistemi industriali) di USA e Cina. Gli altri Paesi cercano di ricavarsi spazi negoziali a misura delle proprie risorse disponibili (molto inferiori come dimensione e grado di competitività) e interessi nazionali attuali (molto efficienti nelle loro lobby politiche ma molto corporative e settoriali ancorate a un potenziale di sviluppo riferito alle vecchie sfere di interesse geopolitico nazionali).

Esistono inoltre nuove opportunità che si offrono a coalizioni di Paesi per negoziare ruoli paritetici a quelli di USA e Cina nella futura governance, ruoli che possano soddisfare le aspettative di crescita dei sistemi che si aggregassero per risultare più competitivi con quei due protagonisti già in pieno processo negoziale.

Guadagnarsi un ruolo più credibile di quello che spetterebbe ai singoli paesi di quelle coalizioni sarebbe una strategia intelligente per tutti i partecipanti ai futuri equilibri della governance globale. Tuttavia per definire questa strategia negoziale e renderne credibile l’efficacia negoziale si richiede un preliminare impegno da parte dei Paesi potenzialmente partecipanti a quelle coalizioni industriali che mirasse a negoziare tra i Paesi stessi i pesi, priorità e criteri che permettano loro di concordare i rispettivi ruoli futuri. Si tratta di definire chi possa offrire agli altri le proprie capacità di servizio e produttive in modo che l’offerta complessiva del sistema industriale aggregato possa risultare competitiva rispetto ai due concorrenti principali.

Tra gli elementi che rendono competitivo ogni sistema industriale figurano quelli che caratterizzano le culture nazionali e i servizi erogati dallo Stato ai sistemi odierni e quelli che sosterranno in futuro il sistema aggregato della coalizione. Un sistema aggregato che partisse dall’attuale grado di disomogeneità culturali e produttive e di incompatibilità filosofiche che caratterizzano i sistemi di servizi statali dell’Unione Europea sembra difficile possa recuperare l’efficacia negoziale che anima i due interlocutori principali. Anche se in linea di principio l’UE disponesse di un potenziale produttivo superiore a quello di USA+Cina, la efficienza con cui la diplomazia europea, la finanza, la legislazione e la fiscalità europee dovrebbero allinearsi a quelle migliori e ad essere accettate con apertura culturale dai produttori e consumatori interni sarebbe quasi un miracolo politico. Data la disparità delle lingue, dei sistemi educativi, di mobilità, di sicurezza, di servizi legali, di sistemi giurisdizionali e data la prevedibile resistenza interinale opposta dai sistemi nazionali ad accettare rinunce settarie ma efficaci a beneficio di opportunità condivise ma ipotetiche.

Neanche se la governance dell’UE fosse accelerata e resa credibile con l’elezione di Blair a presidente e di un altrettanto credibile “ministro degli esteri” al suo fianco. L’unica istituzione che disponga oggi di una adeguata credibilità operativa a-nome e per-conto dell’UE essendo solo la BCE di Francoforte che, tra l’altro, esprime quella unità e credibilità solo a nome dei Paesi che hanno accettato di rinunciare alla valuta nazionale a vantaggio dell’Euro. L’Ecofin presenta invece ancora più significative disparità di azione e così le diplomazie nazionali e dei principali gruppi industriali dei singoli Paesi. Per non parlare delle politiche dei singoli Paesi in materia militare (il braccio armato della diplomazia – in guerra ma soprattutto in pace).

Scommettere sul miracolo politico che possa permettere in tempi acceleratissimi all’UE di entrare con pari credibilità nelle negoziazioni già in corso tra Cina e USA, sembra veramente un atto di fede più che non la valutazione professionale di un allibratore geopolitico.

Neanche l’eclatante dimostrazione di nullità dell’attuale Presidente USA né la tradizionale inefficacia della politica estera e della diplomazia USA possono aiutare l’UE a trovare un’unità di intenti e di armonizzazione industriale e politica. Il problema può essere facilmente ostacolato da fattori endogeni (conflitti tra lobby e corporazioni) ed esogeni (azioni di gruppi multinazionali non europei e di Paesi esclusi).

L’unica mossa naturale e quindi destinata ad attuarsi sembra piuttosto essere quella di un’UE gregaria di un sistema industriale agguerrito e già fortemente armonizzato (USA+UK+Commonwealth) che ne possa sostenere le politiche di lungo periodo con azioni diplomatiche concordate con quel protagonista nell’azione di negoziazione di interessi ‘Occidentali’ nei confronti di una Cina che avrà certamente crescenti difficoltà interne nel corso della crescita interna e della sua accettazione nell’area di sua “naturale” influenza. Ciò permetterà ai singoli Paesi europei di agire autonomamente per tutelare i singoli sistemi produttivi ma li costringerà gradualmente a concordare le azioni difensive atte a tutelare il sistema interno europeo da atti esterni nocivi per gli interessi complessivi. Un processo di crescita di una visione geopolitica armonica che si svilupperà come reazione a solleciti esterni e ad integrazioni tra i gruppi produttivi sul mercato che non divida illogicamente tra Europeo o USA. Come sta avvenendo con le iniziative di molti gruppi europei tra cui quello Fiat.

Le scelte (logiche o illogiche) dell’apparato industriale e militare USA trascineranno per analogia l’UE a trovare una propria coesione strategico-militare per limitare i costi e negoziare i benefici derivanti dalla partecipazione alle iniziative di quel Paese protagonista anche se privo della dovuta esperienza e buon senso diplomatico.

È la velocità della globalizzazione unita all’urgenza di una nuova governance e alle eccessive inefficienza e disomogeneità degli Stati membri a condannare l’UE a seguire questo percorso-gregario. E forse proprio per questo sarebbe bene che Blair fosse nominato presidente e che D’Alema (scettico anti-USA) NON fosse scelto a guida della diplomazia UE. Un Berlusconi sarebbe molto più adeguato a quel ruolo, sia per le sue eccellenti esperienze in tema di relazioni industriali con l’estero sia per la minore resistenza dei “Paesi Europei minori” a una leadership Britannica-italiana. Ma questi sono sogni rispetto agli incubi di politica interna in Italia che ci stanno facendo sprecare tempo e attenzione su questi temi di grande interesse per il Paese (la Luna) per concentrare invece sul “dito” che continua a tenere le scarse risorse della politica italiana bloccate su non-problemi quali la persecuzione del primo ministro più capace che abbia espresso il Paese dal crollo del muro!