17/09/2010

Difesa dei valori ‘Occidentali’ e relativismo fondamentalista

Assistiamo sempre più spesso a un dibattito in nome della ‘difesa dei valori occidentali’ fondato sulla più totale negazione o perfino sul rifiuto di tali valori fondamentali. Un paradosso che si fonda sulla acritica accettazione dei privilegi di cui godiamo (mancanza di orgoglio per la complessiva superiorità della nostra civiltà ‘Occidentale’) e sull’altrettanto acritica adesione ad una costante denigrazione della nostra civiltà. Due atteggiamenti fondati sul ‘relativismo’ che manca di qualunque solidità logica utile per poter giustificare sia le critiche al passato, sia le scelte pel futuro alla luce d’un organico paradigma a fondamento politico e comportamentale che non sia il semplice ‘laissez faire’ del liberismo economico. Un modello che viene infatti (altrettanto paradossalmente) deprecato quando è accettato nelle decisioni di politica economica.

Ad esempio la ‘libertà di stampa’ viene sostenuta perfino contro il criterio di tutela della privacy (diritto fondamentale) o contro il criterio della tutela al segreto di stato (base della sovranità e sicurezza contro terrorismo e criminalità di ogni natura).

La libertà di stampa è un valore assoluto e primario solo se compiaccia i criteri del ‘politically correct’, è invece soppressa con forme di censura tacite o formali qualora tenti riletture revisioniste della storia o della cronaca, o se tenti la semplice critica a ‘verità ufficiali’ erette a miti fondanti dell’ordine costituito. Ciò ‘proibisce’ (disvalore anti-‘Occidentale’) ogni revisionismo che costituisce invece l’essenza critica su cui si fonda la costruzione del progresso civile che caratterizza la nostra civiltà ‘Occidentale’ a fronte della stagnazione che caratterizza ogni fondamentalismo ideologico sia esso ‘giustificato’ da religioni secolari (‘illuminismo’, ‘comunismo’) o trascendenti.

Si giunge a etichettare di ‘male assoluto’ interi periodi storici fondando il carattere ‘assoluto’ su eventi storici dichiarati però insindacabili dalla scienza cui si proibisce il diritto al riesame condannando come criminale ogni ‘negazionista’. Si giunge a privare della libertà personale gli storici che osino rompere i tabù in piena analogia coi comportamenti dei satrapi dei regimi più fondamentalisti di ogni epoca.

Si giunge a giustificare ogni nefandezza storica qualora compiuta ispirandosi a dottrine etichettate di ‘superiorità antropologica’ per diritto inalienabile e si legittimano tutti i connessi misfatti pratici con veri e propri ‘tabù istituzionali’. Ciò vale a ogni livello politico; dall’auto-critica nei regimi più totalitari che giustifica - come errore in buona fede o addebitato a colpe altrui - ogni violenza di massa (gulag di rieducazione, soffocamento nel sangue d’ogni riformismo, olocausti di stato, etc.); alla giustificazione di leggi insostenibili (statuto dei lavoratori) sulla base d’un presunto diritto acquisito ed inalienabile in quanto fondato sulla non amendabilità d’una carta costituzionale scritta in epoca post-bellica da due interlocutori - entrambi ideologicamente ispirati da dottrine sociali ostili alla realtà suggerita dalla moderna economia industriale – di cui uno fallito autonomamente nella storia per inadeguatezza.

Si scade nel ridicolo leggendo ciò che sta accadendo in Italia relativamente all’industria metal-meccanica grazie al necessario riallineamento dell’economia industriale globale cui si nega il diritto di ‘rivedere’ la carta costituzionale italiana (in realtà mai applicata compiutamente e occasionalmente stravolta ed emendata) ‘fondata sulla dignità e sul diritto al lavoro’ ma in realtà tradotta in attribuzione di privilegi parassitari oggi non più sostenibili sul piano dell’economia.

La ‘libertà di culto’ è un tema che viene impugnato per sostenere il finanziamento di stato a religioni che mostrano il più profondo disprezzo per i criteri della civiltà ‘Occidentale’. Fondamentale quello della separazione tra stato e chiesa. O della parità dei ‘diritti civili’ d’ogni persona indipendentemente dal suo sesso, dalla sua razza, dalla sua religione e dal suo livello culturale. O quello del rispetto per l’integrità fisica della persona (infibulazioni, circoncisioni, lapidazioni, flagellazioni). Si distorce invece il senso di tale dignità, che riconosce pari livello d’autonomia e capacità d’assumere responsabilmente l’onere della propria situazione e quindi delle libere scelte per costruirsi un futuro a misura delle proprie ambizioni e della personalissima concezione di ciò che costituisce il proprio soggettivo obiettivo; la ‘felicità’.

Questa ‘pari dignità’ viene invece espropriata dai contenuti di responsabilità (i soli garanti del carattere di ‘libertà’) e viene organizzata in contesti ‘illuminati’ da sinedri di sapienti (i ‘migliori’) che creano il paradigma ortodosso (e irresponsabile) nel cui solo ambito è legittimato potersi contendere (‘per bande organizzate’ e nelle istituzioni ‘politically correct’) porzioni crescenti d’una ‘felicità’ definita da ‘panieri di beni e servizi’ la cui composizione è ‘standard’ e ottimale in quanto scelta su base ‘scientifica’ dalla ’accademia’ consapevole di ciò che sia bene e ciò che sia male per gli ‘amati sudditi’. Replicando con ciò il paradigma dell’Ancien Régime con la peggiorativa della assenza di responsabilità dei vertici decisionali cui si riconosce anche la possibilità di ‘errare in buona fede’ e di potersi riscattare, senza pagare pegno, con atti di periodica ‘auto-critica’. Un modello in piena analogia con quello adottato da Santa Madre Chiesa relativamente alla categoria morale - e non politica - del ‘peccato’ in cui occorre dar sempre una ulteriore opportunità all’’errante’ indipendentemente dalla sua persistenza storica nell’errore stesso.

La bontà di fondo dell’errante è sempre ipotizzata e le seconde chance non si possono negare ad alcuno. Ciò vale infatti per i reati e per l’irrogazione delle condanne da scontare; sempre addolcibili in quanto l’errante viene sempre aiutato a cambiare e, cambiando, non essere più soggetto a ricadere nelle vecchie tentazioni. La pena capitale è sostituita all’ergastolo e l’ergastolo, in quanto incoerente col paradigma religioso delle condanne-rieducatrici, è sostituito da una pena massima per dare sempre all’errante una speranza di potersi riscattare, modificando i propri comportamenti in modo da garantirgli una sorta di ‘rinascita’ a una seconda vita libera da reati.

Ciò evidentemente, agevolato dallo spirito liberal-democratico delle procedure giudiziarie, costruisce un sistema oneroso, inefficiente, inefficace e insoddisfacente per la tutela della sicurezza mentre non riduce le statistiche del crimine. In piena coerenza con quanto accade nei ‘mercati’ governati da spirito di stato invece che del rischio privato; nel primo è l’offerta a creare la domanda in modo non auto-controllabile nel secondo invece è la domanda che crea l’offerta. Se esiste cioè un’offerta di privilegio, esisterà sempre qualcuno che vi aspirerà al di là delle convinzioni più intime (ci si spara al piede o ci si mozza il pollice pur di non andare in trincea; ci si cronicizza a vivere col sostegno dei food stamps anche se ciò chiede di produrre figli al solo scopo di ricever gli emolumenti); questo è il mercato diretto dall’offerta. Se invece esiste domanda d’un qualunque bene o servizio, esisterà sempre qualche intraprendente che, superando i propri limiti culturali ed esponendosi liberamente nella libertà o nell’integrità personale, si inventerà il modo per darvi soddisfazione (gli spalloni con rischio personale contrabbandavano la penicillina oltre le linee del fronte bellico, le laureate emigrano da paesi indigenti ad ambiti più liberi e ricchi accettando il rischio di doversi prostituire o accettare mansioni meno attraenti di badanti o lavoratrici domestiche).

Infatti i sistemi ‘buonisti e para-religiosi’ non disincentivano da ricadute per mancanza di conseguenze gravi e irrecuperabili e incentivano comportamenti opportunisti e truffaldini ma legittimi se capaci di sfruttare indebitamente ogni scappatoia offerta al criminale per eludere le proprie responsabilità.

Sono sistemi ‘illiberali’ in quanto non concorrono alla ‘certezza’ delle istituzioni liberal-democratiche; elemento fondamentale su cui si fonda la convivenza civile tra diversi. Inoltre è ‘illiberale’ in quanto distrugge la separazione primaria tra Chiesa e Stato su cui si fonda la separazione di reato (competenza delle istituzioni liberal-democratiche) e peccato (sfera della libera scelta religiosa – che può risultare ‘incompatibile’ con la liberal-democrazia se vissuta in modalità ‘integraliste’).

Questa sapiente opera di distruzione della solidità delle istituzioni liberal-democratiche discende dal ‘buonismo di stato’. Un fattore che è nato dall’esclusione della Chiesa dal suo ruolo di educatrice delle coscienze di sua riconosciuta competenza esclusiva nell’Ancien Régime. Ciò è avvenuto col trauma della Rivoluzione Francese e l’avvento dello ‘scientismo’ in ogni comparto; anche nelle scienze giuridiche e sociali. Infatti affinché i regimi ateisti e autoritari originati da quell’involuzione traumatica della civiltà ‘Occidentale’ potessero risultare ‘onnicomprensivi’ rispetto a tutte le istanze sociali, si imponeva che lo Stato, caduto il ruolo istituzionale della Chiesa, fosse in grado di supplirne anche gli aspetti educativi e misericordiosi. Scopi cui l’educazione in scuole pubbliche e obbligatorie d’ogni ordine e grado, che mira a formare cittadini ispirati da comportamenti rispettosi dell’ortodossia ‘politically correct’, non può che fallire. Se la scuola di stato non assicura la formazione di cittadini dotati di comportamenti responsabili e ispirati eticamente e alla Chiesa è interdetto gestire un sistema alternativo di formazione della persona umana, è sterile attendersi che essa derivi dal ruolo ‘rieducatore’ di un sistema giudiziario permissivo e buonista che riesca a correggere gli errori senza tentare di prevenirli con l’imposizione di un’adeguata etica sociale e la repressione esemplare e intransigente delle eccezioni.

Il concetto di ‘rieducazione’ degli erranti quindi è il criterio istituzionalmente compatibile con i regimi illiberali, autoritari e totalitari.

Il riaccorpamento della primaria separazione tra i poteri di Chiesa e Stato (che è nata con Costantino ed ha gradualmente proliferato nel gioco di check&balance tra un crescente numero di poteri istituzionali di crescente diversificazione), e il ripristino dell’egemonia del sinedrio nella definizione delle decisioni da ritenere ‘ortodosse’ sulla diffusa responsabilità personale nel compito di assumere di decisioni ‘corrette’ in quanto ‘giustificate’ dalla ‘dottrina morale’ dello Stato, hanno costretto i regimi illiberali ad affidare alla ‘scienza’ l’onere di dichiarare ciò che sia ortodosso rispetto a ciò che invece sia indifferente o nocivo per l’ortodossia. La ‘scienza’ sociale e quella giuridica hanno assunto quindi il ruolo di ‘giustificare’ i reati e di ‘recuperare’ gli erranti assumendo compiti un tempo affidati agli auto-da-fè dell’Inquisizione.