17/09/2008

Potenziale Geopolitico

Per rendere comprensibile all’opinione pubblica che porta interesse all’evoluzione in corso del Nuovo Ordine Globale, credo sarebbe utile fornire pochi e comprensibili criteri su cui si possa fondare la valutazione delle opportunità che si aprono a fronte delle crisi che la divulgazione giornalistica presenta con toni spesso di vero e proprio terrorismo utile solamente alle vendite o a fare sponda ai più squallidi interessi demagogici sempre attenti a cogliere le occasioni mediatiche.

Credo che, alla luce di quegli auspicati pochi e chiari criteri, sarebbe bene illustrare l’inutilità’ di porre attenzione su alternative entità geopolitiche prive dei requisiti necessari per essere credibilmente valutate alla luce di quei criteri di valutazione. Ciò in particolare per conservare credibilità al dibattito politico presso quei lettori che, pur non-specialisti in materia, costituiscono tuttavia una vasta fascia dei professionisti più impegnati nella gestione degli interessi industriali del Paese.

Nessun serio dibattito politico o istituzionale può risultare credibile in assenza di una valutazione degli eventi in corso e degli esistenti percorsi alternativi ad essi connessi che sia fondata su una comprensione dei criteri più grossolani ma comprensibili e soprattutto credibili.

Continuare a sostenere come avviene quotidianamente ancora sui media che esista una sorta di continuità di protagonisti con ruolo-pilota nello scenario finanziario e industriale dell’era post 11 Settembre 2001 e persino connessi a scenari tramontati definitivamente post Muro di Berlino 1989 (accordi di Yalta), significa volere incentrare l’attenzione dell’opinione pubblica su criteri ancorati alle economie gestite dagli Stati Nazione e dal coordinamento tra le loro istituzioni nazionali fondato su istituzioni ed accordi internazionali che ormai non hanno più influenza sui nuovi processi che governano i flussi finanziari e di scambio in corso di celere globalizzazione.

Ad esempio ha poca credibilità fare riferimento alla NATO come strumento per la gestione internazionale dei conflitti regionali. Così come ha poca credibilità continuare a dare credito alle istituzioni ONU (Segreteria, FAO, IAEA, etc.) come criteri di valutazione della correttezza delle decisioni dettate dall’evoluzione della geopolitica. 

Altrettanto vale per l’inutilità’ di riservare attenzione e speranza ad istituzioni ancora in divenire (UE) o quasi totalmente mutate (Commonwealth) ma ancora non influenti sul piano dell’evoluzione geopolitica in corso in quanto destinate a svolgere ruoli regionali o di attore collaterale non protagonista nell’ambito di scelte che non hanno ormai alcuna speranza di essere assunte in quell’ambito.

Lo stesso vale per l’attenzione smodata riservata a istituzioni prive della credibile autonomia decisionale per poter svolgere un ruolo da protagonista come la Russia o l’India e forse perfino la Cina. Si tratta di Stati Nazione privi di ogni credibile capacità di governare coalizioni alternative a quelle che stanno dettando lo scenario del Nuovo Ordine Globale.

Il problema della credibilità di un protagonista deve essere esplicitato per consentire lo sviluppo di un dibattito che abbia presa sull’opinione pubblica che conta (la media borghesia professionale) e che viene in autonomia formandosi una propria seppur grezza opinione sui criteri della credibilità che sono necessari per prendere decisioni operative quotidianamente (scelte dei partner esteri, scelte dei mercati, scelte di conversione valutaria, scelte di finanziamenti e garanzie, etc.).

La base dei criteri di affidabilità industriale, per quanto irrazionale ed affidata esclusivamente alla propria esperienza “locale”, spesso spinge le medie e piccole imprese a ricorrere ai canali istituzionali più nuovi meno rodati e spesso ai margini della legalità pur di penetrare quei mercati che esse ritengono più bisognosi dei propri servizi, anche se si tratta di Paesi considerati formalmente potenzialmente ‘ostili’ o addirittura ‘criminali’ dal Paese in cui risiede la propria azienda. La globalizzazione spinge in modo crescente tutte le aziende sia piccole che grandi a definire i propri comportamenti affidandosi alla credibilità delle istituzioni emergenti invece di restare ancorati alle vecchie se considerate meno credibili ed efficaci come punto di riferimento. Richiamare le classi professionali e i responsabili aziendali ad aderire lealmente a istituzioni che non godono più di affidabilità o credito non ottiene risultati efficaci neanche se sostenuta da minacce di sanzioni che riescono solo a rafforzare le emergenti istituzioni di risoluzione dei conflitti e di elusione dei vincoli legislativi nazionali.

I criteri che consentono di nutrire fiducia per una realtà economica sono pochi e debbono tutti convergere per riuscire ad identificare il possibile protagonista geopolitico. Non basta essere sede di gruppi industriali molto solidi come spesso sono i singoli vecchi Stati Nazione europei per assicurare credibilità di ruolo all’UE. La sede dei gruppi industriali di maggior dimensione è ormai da tempo disponibile a trasferirsi da Paese a Paese in funzione della credibilità politica del nuovo ad assicurare sostegno all’azienda nel contesto geopolitica di suo interesse. Wall Street o la City o Tokio o Singapore possono essere l’indifferente sede decisionale dei più grandi gruppi multinazionali. Ciò che ne sconsiglia l’esodo è la mancanza di convergenza delle nuove sedi possibili di pari credibilità di istituzioni politiche, finanziarie e legali. Organizzare lobby parlamentari in contesti unitari di diritto civile, industriale e penale e dotati anche di credibili strumenti di esercizio di una coerente pressione militare su base geopolitica è scelta di più credibile efficacia rispetto a istituire gruppi di lobby molteplici e difformi nei criteri di gestione strategica aziendale ed ispirazione giuridica.

I singoli Paesi europei possono risultare credibili in quanto a potenziale produttivo ma mancano del sostegno necessario ad attuare autonome politiche di lungo termine su uno scenario geopolitico che trascenda i propri confini. Sia per carenza di risorse produttive interne, sia per carenza di mercato interno di vendita e risparmio. L’UE risulta meno credibile della somma dei suoi aderenti formali sia per l’assenza di un’unitaria politica industriale, sia per la carenza di risorse primarie interne, sia per la disparità dei sistemi istituzionali di interesse primario per il mondo industriale, sia per la disparità di obiettivi politici proposti dai suoi membri come criterio universale degli aderenti.

D’altronde Paesi come la Russia pur ricchi di risorse primarie interne ed animati da ambizioni geo-politiche di adeguata stabilità, mancano di ogni autonoma capacità di sviluppo industriale e delle risorse industriali che possano rendere credibile un loro ruolo di protagonista. Ciò vale per il Brasile e forse anche per l’India e per la Cina, seppure in misura meno drammatica date le loro dimensioni di mercato interno e le capacità da loro dimostrate nella pratica di conseguire tassi di sviluppo industriale autonomo. Ciò li rende più adeguati ad attrarre finanziamenti garantiti dalla credibilità di grandi gruppi industriali come IBM o Fiat.

Paesi come la Cina o l’India dovranno solamente rendersi più credibili quali co-protagonisti sul piano geopolitico adeguando le proprie istituzioni ivi inclusi la lingua e il diritto industriale alle esigenze del capitalismo post-industriale tipico della globalizzazione.

Paesi invece come la Russia, il Brasile o il Messico mancano dei prerequisiti di credibilità al loro preteso ruolo di protagonisti geopolitici. Pur ricchi di risorse primarie interne, dotati di mercato interno ed animati da volontà politiche stabili e credibili, la loro credibilità crolla sotto il profilo pratico che è comprovato dalla loro lunga storia spesso plurisecolare. Si tratta di accertate inadeguatezze “culturali” che rendono quei Paesi totalmente patetici nella loro ricerca di protagonismo. Per non parlare di Paesi molto meno attrezzati quali il Venezuela o la Bolivia. È emblematico che i più intraprendenti anche se spesso meno colti cittadini messicani, una volta oltrepassato il Rio Bravo, riescano a divenire efficienti produttori di ricchezza sotto il governo delle “odiate” istituzioni USA. Esattamente come accadde a tutte le ondate migratorie che vi si sono succedute, anche i messicani stanno celermente alimentando la credibilità geopolitica degli USA. Il protagonista della globalizzazione di cui sta esportando i nuovi criteri sulla cui base stanno prendendo corpo in modo altrettanto celere le nuove istituzioni finanziarie e commerciali a New York, quelle giuridiche a Chicago, a New York e a Washington ed, infine e in coerenza, le politiche a Washington e nei singoli Stati. La Russia invece non è mai stata culturalmente capace nel corso della sua storia di mettere a frutto dello sviluppo economico l’enorme ricchezza di risorse naturali ed estensione geografica. Né sembra essere credibile come Paese capace di attrarre dall’estero spontanee migrazioni di risorse umane più dotate di cultura imprenditoriale che possano surrogare l’inadeguatezza nazionale. Fatto che invece è da sempre stato il ‘valore aggiunto’ che ha garantito agli USA l’egemonia economica e che ha conquistato il cuore dei nuovi arrivati fino a convincerli a “morire per la nazione” da loro spontaneamente prescelta. Né il costo economico per la Russia di sostituire la sua inadeguatezza culturale sul piano industriale con forme di bau-bau militare sembra una alternativa credibile per “conquistarsi un posto al sole”. Infatti proprio la non-sostenibilità per il suo apparato economico-industriale di sostenere un atteggiamento antistorico di carattere imperialista in piena epoca di competizione globale sembra condannarne questi rigurgiti di orgoglio nazionalista ottocenteschi all’insuccesso ed alla marginalizzazione politica.

In definitiva, opporre sterili forme di resistenza all’egemonia industriale USA sprecando risorse già scarse in ogni Paese (tentazione in cui pateticamente cade spesso la politica in Francia) oppure “navigare a vista” cogliendo le occasionali opportunità marginali presentate nel riassetto dell’ordine globale (come hanno da sempre fatto Paesi come l’Italia), non arresta né influisce sulla rotta seguita dal consolidamento del Nuovo Ordine Globale.

I ruoli regionali verranno riempiti “per default” in sequenza a seconda del potenziale industriale che caratterizza ogni singolo Paese dei vecchi Stati Nazione.

Gli interventi selettivi delle autorità monetarie e federali a gestione della “potatura” che ha avuto luogo tra le obsolete istituzioni e relative procedure gestionali del mondo finanziario e industriale USA stanno dettando a tutto il mondo finanziario internazionale la base dei nuovi comportamenti decisionali dell’economia globalizzata. Le risorse finanziarie disponibili hanno preso coscienza globale delle priorità tra le molte esigenze dello sviluppo industriale globale. Dall’energia (sovrabbondante anche se sottoposta a pressioni nuove da parte di Paesi in celere sviluppo), alla tutela dei diritti di proprietà industriale fino alla tutela della sicurezza negli scambi tra le più diverse aree geopolitiche stanno prendendo corpo processi di intervento finanziario, commerciale e militare animati da una visione unitaria degli interessi industriali globali. Ciò grazie all’esistenza di un unico protagonista e sede unitaria delle istituzioni necessarie (finanza, assicurazioni, borsa valori, marketing, ricerca fondamentale e industriale, diritto industriale, lobby politiche, lobby militari, diritto pubblico, diritto internazionale).

Proporre correttivi a tale egemone realtà operante e consolidata sul piano geopolitica invece di sostenere una celere adesione trans-altlantica da parte dell’Europa risulta pochissimo credibile se misurata non sull’orgoglio di un nobile ma tramontato passato ma sull’effettiva capacità di sviluppo autonomo nell’ambito dello stesso contesto geo-politico e nel corso del medesimo lasso di tempo.

D’altronde è possibile condurre un’immediata verifica di questa credibilità alternativa alle “proposte” di sviluppo provenienti dagli USA. Se la credibilità di un protagonista alternativo può essere misurata dallo spirito “patriottico” dei suoi cittadini, possiamo accertare la loro dimostrata “disponibilità a morire” per quelle decisioni e programmi di sviluppo. In analogia con quanto avvenuto nel corso del primo e del secondo conflitto mondiale, i cittadini USA di origine tedesca, austriaca, giapponese o italiana posti di fronte alla scelta, hanno spontaneamente aderito alla chiamata alle armi del loro nuovo Paese (salvo poche eccezioni di intellettuali radicali). Oggi i cittadini di origine irachena o iraniana contribuiscono saldamente alle proposte politiche ispirate dal più saldo conservatorismo “nazionalista” USA (l’unico “nazionalismo” privo di fini “imperialisti” presso tutte le sue diverse comunità etniche e ipotizzato presso i suoi gruppi multinazionali che sono invece i meno “patriottici” in senso tradizionale, essendo disponibili ad anteporre (come loro ruolo a-politico) gli interessi aziendali a quelli del Paese in cui sono solo temporaneamente insediati.

“Ciò che va bene a Ford, va bene agli USA” è stato forse vero per un periodo di tempo ma non è mai stato vero che “ciò che va bene agli USA va bene a Ford”. Ciò è vero per tutti i gruppi multinazionali che non abbandonano gli USA solo in quanto la realtà istituzionale di quel Paese risulta coerente con gli interessi dell’economia globalizzata.

È paradossale ed emblematico della rapida evoluzione politica in corso l’inadeguatezza dei Democratici rispetto a quella dei Repubblicani nella competizione elettorale in corso. Lo vedremo a Novembre con l’elezione del ticket McCain/Palin ma soprattutto col rinnovo totale della camera dei rappresentanti e di un terzo del senato. Gli elettori sono consapevoli che il “cambiamento” non viene esercitato da Washington ma che esso è già in irrefrenabile sviluppo. Ciò che può essere fatto a Washington è solo un “adeguamento” delle vecchie istituzioni (tra cui prioritaria la Corte Suprema) alla nuova realtà per consentire al Paese di ricoprire il suo ruolo egemone di protagonista per ispirare la “governance globale” alla conservazione dei principi fondanti degli USA. Quei principi per cui i nuovi cittadini indipendentemente dalla loro origine etnica sono disponibili di “morire”. Proporre di “morire per l’Europa” sembra invece una barzelletta come è stato un tempo proporre di “morire per Danzica” e più recentemente “morire per la Georgia”. Sperare in una “alternativa UE” agli USA è solo un’ipotesi patetica e poetica da settimanale provinciale.