16/10/2009

Banca del Sud e sviluppo industriale del meridione

Stiamo per concludere in Italia il periodo di parassitismo legittimato dallo scopo nobile di risolvere il “problema del Mezzogiorno” a spese dello Stato (ciascuno sostituisca , per “gioco”, alla parola Stato – o ad ogni altro tipo di “istituzione collettiva” – il proprio nominativo al nome dell’istituzione stessa).

Infatti l’esimio Tremonti ha avviato l’istituzione di una Banca del Sud che riceverà solamente la minoritaria partecipazione dello Stato e, inoltre, a-termine. Essa si servirà come sportelli sul territorio di istituti bancari e postali già insediati sul territorio che è destinata a servire. Non aggiungerà quindi altre sovrastrutture di tipo burocratico tramite cui in generale la sfera “politica” inietta nelle strutture aziendali dosi massicce di clientelismo, di inefficienza e di improduttività.

Inoltre molti degli istituti già operativi nel Sud Italia e destinati a gestire le operazioni per la virtuale “banca del Sud” presentano una sana situazione contabile e manageriale e, presumibilmente, conoscono molto bene la realtà peculiare delle aziende e del mercato di loro competenza e certamente meglio di qualsiasi altra pur se decorata da più prestigiosi titoli accademici ed esperienze internazionali. Finalmente si cerca di attribuire a istituti bancari del Sud la diretta responsabilità di crescere facendo crescere i propri clienti valutando i rischi e le potenzialità dei progetti industriali loro presentati sul piano di puri fattori produttivi e senza influenze di altra natura che non siano quelle strettamente riferita all’azienda richiedente finanziamento e alle sue prospettive sul mercato. Finalmente il “mezzogiorno” non viene considerato un territorio popolato (magari non per colpa loro ma della “criminalità organizzata” o dei malvagi invasori o dell’inadeguatezza delle infrastrutture) da una sorta di minus habentes che, non potendo provvedere autonomamente alla propria sussistenza, devono essere “tenuti a balia” dalle provvidenze di uno Stato paternalista. Una visione che si è protratta per oltre un secolo in Italia e che contrasta con il fatto che non-ostante la (o proprio grazie alla) assistenza erogata dallo Stato i “minus habens” siano, una volta emigrati, tra le personalità che conseguono i maggiori successi personali e imprenditoriali e che, non ostante le assistenze erogate (o proprio a causa di esse) dallo Stato, l’unica attività industriale che si è sviluppata nel “mezzogiorno” è quella illegale e spesso controllata dalla criminalità organizzata. Un comparto di industria che, in Paesi più liberali, si è riuscita in parte e gradualmente a integrare tra le attività legali pur essendo nata nell’illegalità più drammatica gestita da spregiudicati (ma eccellenti sul piano manageriale) personaggi del sud-Italia; magari illetterati ma dotati di risorse intellettuali e relazionali di tale eccellenza da imporre allo Stato dei Paesi ospitanti la scelta di come recuperarne le attività alla legalità. È la storia del sindacato negli USA così come quella dell’industria dello spettacolo e quella che ha condotto dal mondo della criminalità organizzata degli anni di Al Capone fino alla legalizzazione di vendita di alcoolici, prostituzione, gioco d’azzardo e alla creazione dello stato del Nevada. Passando attraverso fasi intermedie di cooperazione e negoziazione di interessi tra lo Stato e l’industria del crimine organizzato che hanno gradualmente condotto a legalizzarne gran parte del giro d’affari. Dalla fine della legge illiberale di Andrew Volstead del 1919 che promosse le fortune di veri tycoon dell’industria del crimine (Joseph Kennedy e Al Capone sono solo due esempi dei più noti) la “mafia” ha gradualmente potuto convertire le sue attività in attività legali. Inizialmente con accordi negoziati in periodi di emergenza come la tutela dei porti USA da sabotaggi nazisti, successivamente con altrettanto sotterranei accordi negoziati per agevolare la vittoria nel secondo conflitto mondiale come sostegno nell‘invasione della Sicilia e poi nel dopo-guerra con accordi sotterranei (limitazione del furto di merci nei principali scali USA) o più trasparenti (vedi il sostegno del sindacato al partito democratico nelle campagne elettorali o la graduale crescita di Las Vegas) che condussero l’organizzazione criminale a investire in attività legali dell’economia di mercato. Anche in attività più strettamente criminali come la falsificazione della moneta esistono storici esempi di accordi tra Stato e eminenti “professionisti-imprenditori” del crimine organizzato che hanno condotto i migliori falsari a lavorare a beneficio dell’interesse comune della società civile. Non solo nel campo dei falsi monetari ma anche in quello dell’arte o degli attuali hacker esistono esempi di collaborazione consolidatasi tra criminali e Stato o compagnie di assicurazione. Perché non vedere le opportunità offerte al Sud “inquinato” dal crimine organizzato da un sistema bancario sano e strettamente connesso al territorio che offre enormi occasioni di sviluppo industriale grazie alla sua collocazione geografica e geo-politica ed al suo clima e patrimonio di risorse umane e naturali?

Questa potrebbe essere la vera scommessa di un sistema bancario privato strettamente collegato al profilo del mercato internazionale e alle opportunità che esso offre al territorio del Sud; un territorio perfettamente noto proprio alle organizzazioni oggi criminali. Da un lato occorrerebbe cioè accrescere la lotta al crimine organizzato mentre dall’altro offrire opportunità alla conversione delle loro odierne attività dall’elevata remunerazione, ma a rischio insostenibile, in attività legali di minore livello di redditività ma compensate da assenza di rischi se non quelli derivanti dai comuni investimenti industriali. Un rischio d’impresa molto ben noto proprio alle banche locali e ai vertici del crimine organizzato. Sarebbe una conversione immorale ma di grande beneficio sia per la riduzione del crimine che per il decollo dell’economia di quella metà di Italia che è dotata dalla Natura di risorse climatiche, ambientali, culturali e di collocazione geografica privilegiata oltre che d’un patrimonio di intelligenze umane tra le migliori in Europa. Anche i Lucky Luciano,  Meyer Lansky e Joseph Kennedy nostrani potrebbero concorrere allo sviluppo autonomo dell’economia del “mezzogiorno” se dovessero convincersi sulla convenienza a investire i capitali del crimine - a rischio crescente - in attività legate a un territorio per loro familiare tramite un sistema bancario “locale” ma imprenditorialmente sano.

Può sembrare una strategia industriale priva di inibizioni morali, in realtà il pragmatismo non-ideologico del capitalismo liberista ha proprio questa come caratteristica di “superiorità” rispetto ad ogni altro regime politico; l’assenza di scopi etici nelle scelte industriali. D’altronde altri regimi caratterizzati da scopi più “etici” non solo conducono a maggiori tassi di autoritarismo ma generano maggiore povertà, minore livello di competitività e, inoltre, non riducono la dimensione dei prodotti e servizi “immorali” ma li confinano solo nelle mani della criminalità organizzata monopolista del “mercato nero” (spesso l’unica forma di “libero mercato” esistente nei Paesi a regime ideologicamente etico.