16/04/2010

Buonismo e Programmazione dello sviluppo: inganni da “menti sottili”

La crescita per ragioni endogene esiste solo presso i sistemi “vitali” e cioè presso quei sistemi complessi nei quali esiste un potenziale di valore aggiunto apportato dalla innovazione creativa che può essere erogata solo dagli elementi dotati non solo di capacità reattive di adattamento alle trasformazioni “locali” imposte dal contesto ambientale ma di capacità proattive di creare nuovi apporti che modifichino l’ambiente di vita per conseguire obiettivi immaginati al di là di ogni necessità di adattamento a disagi esterni per soddisfare proprie aspettative di maggiore benessere.

Questo apporto di creatività finalizzato a gratificare obiettivi nuovi e in precedenza mai neanche ipotizzati, non è frutto quindi di una programmazione condotta a tavolino dall’analisi erudita dei problemi e delle loro possibili soluzioni alla luce dei già esistenti strumenti tecnologici ed organizzativi. L’apporto è frutto di una creatività individuale alimentata da un’altrettanto individuale percezione delle esigenze insoddisfatte e dei modi in cui esse possano essere gratificate hic-et-nunc; cioè sulla base delle esistenti disponibilità “locali” e coordinate dal personalissimo apporto del valore aggiunto della creatività del protagonista.

A ogni livello dell’intrapresa è il valore aggiunto individuale del protagonista a sollecitarne l’immaginazione facendogli percepire aspetti di disagio che nessuno prima di lui ha identificato pur soffrendone in modo non distinto, stimolandone la profusione di energia psichica finalizzata a concepire rimedi “proprietari” e, infine, nutrendone, verso il rimedio - frutto della sua creatività più fantasiosa, un’”avidità” tale da indurlo a rischiare non solo le sue fortune ma perfino la vita.

Questo meccanismo garantisce ai sistemi vitali l’apporto innovativo della creatività che è la caratteristica del più peculiare individualismo umano.

Molti sono gli esempi dell’avidità, molla del rischio fino ai confini dell’audacia più inconcepibile, nella storia del progresso. Esempi di un individualismo che spesso coincide con riconosciuti interessi umanitari ma che, anche in quei casi, è mosso da motivazioni squisitamente personali che mirano a gratificare un bisogno di diverso grado di composizione materiale, intellettuale o spirituale sulla scala dei bisogni di Maslow.

Ulisse, Marco Polo, Colombo, Pizarro, Koch, Tesla, i Curie, Fermi fino ai pionieri ed ai tycoon fondatori di imperi industriali da Mattei, Steve Jobs, Bill Gates e Zuckerberg oggi ma anche Gandhi, Schweitzer, Luther King e Strada sono animati da profonde convinzioni individuali che rendono fertili ma partigiani i rimedi umanitari da loro ingegnosamente concepiti.

La creatività innovativa di cui beneficiano i sistemi dotati del valore aggiunto della creatività umana apporta sempre un cambiamento rispetto agli equilibri consolidatisi fino alla loro apparizione. I loro apporti di maggiore benessere si riescono a percepire solamente dopo che si siano superati tutti i disagi che essi recano agli assetti in vigore in precedenza. Né le innovazioni, né i disagi e il nuovo potenziale apporto di benessere si possono “prevedere” né da parte degli stessi innovatori (che si concentrano infatti solo sulle gratificazioni che essi derivano dal successo episodico della loro soluzione – spesso infatti essi vengono defraudati della stessa proprietà dell’innovazione concepita come è il caso di Tesla), né dall’”accademia” che (essendo custode dell’ortodossia tecnologica e organizzativa degli assetti di ieri) generalmente non riesce neanche a capire come possa essere integrato l’innovazione nel patrimonio di conoscenze già acquisite (analogo fallimento dell’”accademia” è evidenziato dal caso Tesla).

La creatività innovativa (apportatrice di disagi immediati e di benefici solo differiti) si manifesta quindi in genere al di fuori delle norme che assicurano la governance del vecchio assetto tecnologico e istituzionale. La creatività si manifesta nell’ambito degli spazi di libertà che esistono in ogni sistema di governance o a causa dell’assenza di specifiche proibizioni (nei sistemi liberisti ove è permesso tutto ciò che non sia espressamente proibito) oppure nel “mercato nero” (che è “illegale” solo nei sistemi illiberali ove è proibito tutto ciò che non sia esplicitamente permesso dalla legge). L’innovazione legalizza insomma nuovi spazi di libertà grazie alla legittimazione che le soluzioni innovative ricevono da parte del libero mercato (esempi di questo modo di procedere della storia si possono riscontrare a diversi livelli economici e sociali – dalla stesura della linea ferroviaria Est-Ovest negli USA alla recente affermazione delle Radio e TV “libere” in Europa). L’”accademia” composta da “menti sottili” organiche alla conservazione dei vecchi assetti istituzionali subisce sempre il successo dell’innovazione industriale che la creatività, l’avidità e l’audacia dei “privati” riescono a convertire dal sogno di un Colombo alla creazione di un impero fondato sul successo e sul benessere commerciale o industriale.

Ciò che stimola la creatività dei più intraprendenti è l’ambizione personale che anima gli intellettuali che, liberi dall’indigenza, possono quindi dedicare le proprie energie psichiche a coltivare sogni e nutrirne la attuazione (il caso Hughes è emblematico oggi) oppure è l’indigenza che costringe la creatività anche degli illetterati più fantasiosi a concepire soluzioni adatte a soddisfare e tutelare i loro bisogni più materiali prima di potersi dedicare a estenderne i benefici su scenari di più ampia ambizione intellettuale o spirituale (il caso di Benjamin Franklin, di Abraham Lincoln, di Thomas Edison, di Andrew Carnegie, di John Rockefeller, di Henry Ford, di Walt Disney, di Sam Walton, di Ross Perot, ma anche di Al Capone così come quello di Joe e Rose Kennedy, di Ronald Reagan, di Arnold Schwarzenegger, di Ray Crok e quello di Ralph Lauren o di Coco Chanel sono tutti emblematici di motivazione, ambizione, concretezza, audacia, motivazione al successo – sia che il campo di applicazione originario sia legale o illegale e che gli sbocchi finali siano ristretti al crimine o estesi al sociale più legale).

Dopo questa premessa di considerazioni “storiche e filosofiche” si può affermare che i sinedri (“accademie”) di menti sottili non possano pretendere di governare il sistema legale e sociale di un Paese nell’ambito della loro “programmazione industriale” in quanto essi sono “organici” all’assetto istituzionale di ieri che quindi essi devono conservare e tutelare dal potere disgregante indotto dalle più “selvagge”, individuali innovazioni e in quanto essi, percependo l’individualismo più “libero” e individuale come minaccia alla stabilità, cercano di contrastarne ogni insorgere stigmatizzandolo di avido, egoista e in definitiva di illegale.

Non solo i sinedri detentori dell’ortodossia sono incapaci di “prevedere” le innovazioni sotto il profilo della epistemologia scientifica (altrimenti sarebbero motivati a crearle invece di limitarsi a valutarne gli effetti) ma essi non possono neanche “correggere” le innovazioni incanalandone la applicazione pratica (che essi isterilirebbero nell’ambito delle procedure e dei processi precedenti e ormai superati dalla stesse innovazioni se esse potessero ricercare i modi più produttivi di porsi al servizio del mercato – non di istituzioni obsolete) quindi la “programmazione” che resta praticabile da parte dei sinedri di menti sottili al vertice istituzionale è solo quella destinata a ammorbidire i disagi creati dall’avvento delle innovazioni sulle inadeguate istituzioni di ieri (aziende, associazioni, stato). Tale ammorbidimento dovrebbe consistere nel finanziare la revisione più possibilmente celere delle istituzioni e nel contemporaneo finanziamento del temporaneo disagio degli addetti al funzionamento delle vecchie istituzioni costretti a cambiare mestiere senza doverne subire i disagi in modo selettivo e locale.

Queste sono funzioni di programmazione che sono tipiche delle istituzioni assicurative (aziende e prodotti) e che raccolgono in modo diffuso porzioni di risparmio per alimentare un patrimonio di beni stabili (in genere immobili) la cui rendita dovrebbe finanziare la riorganizzazione istituzionale e dei redditi distrutti dalle innovazioni industriali.

Anche in questo ruolo di “programmazione” assicurativa i sinedri di stato non sembrano i più adatti a svolgere le proprie attività proprio in quanto essi risultano organici agli interessi delle lobby politiche che sono interessate a conservare gli assetti istituzionali minacciati dall’avvento delle innovazioni.

Infatti una “programmazione” eccessivamente prudente (programmi di ammortizzatori sociali prolungati e di copertura totale del disagio e finanziamenti agevolati prolungati e eccessivamente abbondanti) riuscirebbe a sottrarre in modo costante risorse finanziarie che sarebbero invece destinabili a sostenere l’innovazione del sistema produttivo (la sola causa del progresso economico e del benessere).

Insomma, programmare una fiscalità sul criterio della tutela totale e prolungata dei disagi istituzionali e sociali frena l’avvento del progresso industriale e conserva l’assetto istituzionale diminuendo l’avvento della democrazia liberale. Liberalizzare totalmente l’innovazione tecnologico-organizzativa limitando al minimo le risorse sottratte al finanziamento aziendale per alimentare i programmi assicurativi dello stato sociale ha come conseguenza un’elevata dinamica occupazionale e crescita del reddito complessivo disponibile sul mercato ma rischia di trascurare il disagio che viene a gravare su insiemi sociali locali e selettivi non responsabili delle cause del loro disagio.

Scopo dei programmi assicurativi dovrebbe essere proprio quello di “spalmare” i costi del disagio sulla più ampia popolazione di sottoscrittori di polizze il cui pagamento non dovrebbe essere auspicato dagli aventi diritto. Il reddito prodotto dalla capitalizzazione del patrimonio raccolto dalle assicurazioni sociali dovrebbe essere il minimo possibile per non rischiare di avere sottratto prudenzialmente eccessive risorse al sistema produttivo. Mentre i privati tendenzialmente aspirano a massimizzare le rendite a meno di non doverle ridimensionare rendendo competitive le proprie polizze rispetto ai concorrenti, lo stato dovrebbe riuscire a contenere al minimo le rendite e quindi a risultare più idoneo a gestire gli ammortizzatori sociali. Purtroppo lo stato è governato da sinedri il cui potere risiede nel gratificare le lobby che ne sponsorizzano la presenza al vertice dei programmi dello stato sociale. Ciò rende lo stato l’ente meno adatto a gestire qualsiasi tipo di “programmazione industriale” in quanto i suoi programmi non potrebbero essere controllati né sul piano istituzionale né dall’obbligo di rendersi competitivi sul libero mercato.

Si può affermare che lo stato non possa né programmare lo sviluppo industriale, né programmare i redditi, né programmare le tutele (ammortizzatori sociali e innovazioni istituzionali) necessarie nelle fasi di transizione dai vecchi assetti produttivi e quelli innovativi.

Le tutele assicurative potrebbero essere affidate a aziende private sotto il controllo di ristrette gerarchie ben remunerate di professionisti prelevati dall’industria e immessi pro tempore nei quadri di governo.

Il finanziamento dell’ammodernamento istituzionale dovrebbe essere affidato a un organismo centrale ma i tempi e il modo in cui attuare l’innovazione dovrebbero essere affidati agli enti periferici entro limiti di tempo e costo ben definiti sulla base di parametri standard capaci di penalizzare i meno efficienti e di premiare i più meritevoli.

Il principio del federalismo unito a quello della sussidiarietà più spinta del privato allo stato sono i due criteri che potrebbero realizzare uno stato liberale ed efficiente.