16/04/2008

Dogmatismo anti-Occidentale del ‘politically correct’

 

Credo che un indice dello scadere del dibattito politico in Occidente oggi sia identificabile nel ‘politically correct’. Un concetto che introduce forme di ‘censura’ preventiva ed esclusione dal dibattito di ogni idea che risulti ‘indecente’ e quindi indegna di ricevere attenzione mentre attribuisce una maggiore dignità alle idee che risultano ‘ortodosse’ con quel concetto. Il danno al dibattito dei problemi reali che affliggono la vita sociale è enorme in quanto vengono ‘soppresse’ dalla circolazione certe informazioni mentre ne vengono ‘dogmatizzate’ altre indipendentemente dalla loro accertata credibilità ‘scientifica’. Viene contravvenuto nel linguaggio e nel dibattito il principio della ‘falsificabilità’ che ci permette di distinguere le ‘ipotesi’ dalle ‘ideologie’. Ciò comporta in politica l’egemonia di proposte demagogiche e nella ricerca scientifica l’egemonia del ‘consenso’ rispetto a quello del ‘suggestivo’. Un esempio storico in campo scientifico si è manifestato a metà del 1800 allorquando le ‘suggestive’ proposte di Faraday sulla realtà dei ‘campi’ rispetto alle ‘forze’ (portate da Maxwell alla piena dignità di innovativa teoria scientifica ed altrettanto innovativo linguaggio matematico rispetto all’‘ortodossia’ newtoniana che dominava allora nel mondo accademico), vennero rimaneggiate da Lorentz per ricondurle ai concetti e agli strumenti del calcolo infinitesimale di Leibnitz. Lo ‘scientifically correct’ prevalse sulla ‘libertà di ricerca’ e comportò un ritardo d’oltre mezzo secolo nell’innovazione scientifica e tecnologica. Abbiamo già riportato quel caso in un precedente documento. Esistono poi analoghi casi eclatanti nella recente storia politica mondiale di idee imposte come ‘scientifiche’ tramite l’uso del concetto di ‘politically correct’. Ne è emblematica in politica l’egemonia, dapprima, e le costanti ‘tolleranze’ che fino ad oggi ha ricevuto il ‘socialismo scientifico’ (che a una vera critica scientifica avrebbe condotto all’esclusione del ‘comunismo’ dallo scenario globale ben prima del ‘crollo del muro’ a Berlino) rispetto alla totale stigmatizzazione imposta alle azioni attuate dai ‘fascismi’ ed alla ‘soppressione’ dalla pubblicazione di ogni documento che potesse nuocere a quel trattamento di totalmente ‘a-scientifica’ critica storica. Si ricordano i casi di già affermati scienziati ed accademici emarginati e perfino condannati al carcere per le loro ‘teorie provocatorie’ (una vera e propria ‘caccia alle streghe’ del ‘politically correct’ nel 2000). In campo scientifico grazie al concetto di ‘politically correct’ si è consolidata sin dagli anni 1970 una stretta cooperazione tra politica ed ‘accademici ortodossi’ (compensati con finanziamenti e incarichi di prestigio a spese del contribuente) in diverse materie. La ricerca di stato è divenuta prioritaria rispetto a quella privata in molti Paesi trasferendo il rischio delle scelte dall’industria privata (che può fallire e deve comunque rientrare dei costi in competizione sul libero mercato) al contribuente (addossandogli sia l’inefficiente allocazione delle risorse che caratterizza lo stato sia la sua impossibilità di ‘fallire’ se fallisce nelle scelte di nomine e di finanziamenti). Un caso attuale è quello dell’eco-terrorismo che non ha alcuna base scientifica né nel suo manifestarsi né nelle sue cause eventuali ma viene perfino elevato dall’accademia mondiale alla dignità massima di credibilità con l’attribuzione del Premio Nobel ad un politico (peraltro fallito) sulla base di conclusioni difformi tra cui viene data dignità ‘scientifica’ sulla base di un criterio assolutamente anti-scientifico (la maggioranza dei consensi) a quelle favorevoli alle aspettative politiche rispetto a quelle contrarie. Se le ipotesi di Copernico, Galileo, Maxwell, Einstein o Bohr si fossero dovute affermare ‘a maggioranza’ di consensi saremmo ancora al sistema Tolemaico o allo ‘spazio-tempo’ Newtoniano. Ma esiste un’ancora più subdola azione del ‘politically correct’ che è pericolosa per la sopravvivenza della civiltà Occidentale in quanto incide sullo stesso dibattito politico in Parlamento e tra l’elettorato. Il ‘politically correct’ ci interdice l’uso di taluni vocaboli chiaramente comprensibili e ci impone invece l’uso sostitutivo di altri più equivoci ma la cui legittimità ‘scientifica’ è sostenuta dalla filosofia del ‘pensiero debole’ e del ‘relativismo’. Ciò al fine di promuovere supposte dosi di maggiore ‘tolleranza’ tra ‘diversi’ che in tal modo vengono semplicemente ‘raggruppati’ come minoranze cui lo stato, con provvidenze fiscali, si fa carico di garantire trattamenti a-misura delle specifiche esigenze. Una sorta di asilo d’infanzia ove un paterno tutore elargisca pari dosi di compensi e impedisca che si rischino frustrazioni nel corso dell’interagire tra ‘soggetti’ dotati di diverse doti ma uguale diritto a ricevere gratificazione. Una benevola elargizione di felicità indipendente dai meriti personali. L’opposto di quanto descrive una comunità di adulti che sono responsabili individualmente di riuscire a guadagnarsi la altrui stima in funzione delle dimostrate personali prestazioni basate sul proprio peculiare profilo di doti umane e abilità professionali. Pur nell’ambito di ogni possibile, umano ‘pregiudizio’ da vincere come prova e gratificazione del personalissimo successo. Un emblematico esempio di ‘stigmate’ attribuita ai vocaboli da parte della grammatica ‘politically correct’ che conduce a sviluppi mistificanti nella semantica è l’avere assegnato un’accezione preconcettualmente negativa alla parola ‘negro’. A parte l’assoluta assenza di qualsiasi contenuto ‘scientifico’ anche secondo i criteri usata dalla genetica nella classificazione delle ‘razze’ di animali la definizione di ‘negro’ si riferisce solo a una gamma di colorazioni della pelle. Esistono drammatiche diversità tra chi si può ragionevolmente definire ‘negro’ (somali, watussi, hutu, bantù), così come ne esistono nella gamma di chi può essere a ragione chiamato ‘caucasico’ (tibetani, nepalesi, iraniani, pakistani, scandinavi, anglo-sassoni, mittle-europei). Comunque non si capisce la ragione di sostituire un termine di così generica classificazione con altri molto meno caratterizzanti come quello di ‘colorato’ poi abbandonato (per il suo attribuire un ‘colore’ - ritenuto ‘stigma’) per il termine ‘afro-americano’ col risultato pateticamente comico di definire ‘afro-americano’ perfino Nelson Mandela il presidente del Sud Africa che non può di certo soffrire di alcun complesso di inferiorità per il suo stato di Natura di Negro. Ben più dignitoso e di successo rispetto ai suoi concittadini Bianchi. Così vale per Louis Armstrong, per Sammy Davis Jr., per i tanti artisti negri e per intellettuali e politici negri come Condoleezza Rice, Colin Powell e perfino Farrakhan e tanti altri orgogliosi della loro appartenenza razziale invece di nasconderla dietro una terminologia ‘suggerita’ da demagoghi bianchi di pelle ma ‘nigger’ di spirito (da Ted Kennedy a tutti coloro che ghettizzano i negri per sfruttarne lo stato di ‘minoranza handicappata’ raccogliendone il voto a sostegno di illiberali programmi di ausilio statale e di asservimento dei più diseredati. Altre strane forme di abuso illiberale del concetto di ‘politically correct’ si possono reperire nell’attribuzione di ‘stigma’ al significato ‘statistico’ (quindi fondamento di ogni analisi scientifica) di ‘normale’. Si pretende di attribuire un valore ‘relativo’ anche al concetto di ‘normale’ per estendere quell’attributo anche a minoranze quali gli ‘omossessuali’ la cui frequenza statistica nelle abitudini della popolazione non è affatto ‘normale’. Si pretende altresì di rifiutare ogni miglioramento dei programmi educativi a-misura dei più ‘diversi’ profili delle modalità di apprendimento che caratterizzano gli allievi ‘normali’ rispetto a quelli ‘diversamente dotati’ (più ‘veloci’ o più ‘tardi’ lungo i programmi educativi standard attuali). Obbligando con ciò tutti gli allievi indiscriminatamente a seguire identici programmi didattici col risultato di annoiare i più dotati (handicappandone la crescita) per imporre un’omogeneizzazione improbabile tra ‘diversi’ profili umani che hanno mille altri modi ‘informali’ (e magari illegali) per riconoscersi e per rivendicare il diritto a manifestare orgogliosamente la propria diversità naturale.

 

Consenso democratico: Chiesa e Radicali

 

Sono patetici i tentativi ricorrenti di delegittimare un’istituzione bimillenaria come la Chiesa di Roma che ha sempre goduto di altissimo prestigio morale in ogni epoca ben oltre le sue occasionali commistioni tra ruolo religioso e ruolo temporale e ben al di là dei confini di simpatia geo-politica. I missionari e le conversioni al cattolicesimo hanno dimostrato la spontanea adesione di nuovi adepti appartenenti ad ogni tipo di ceto sociale sin dal tempo di Paolo e Agostino fino a Magdi Cristiano Allam dei giorni nostri. Conversioni non di comodo ma che anzi esponevano i conversi a subire persecuzioni fisiche o intellettuali come quella di Allam oggi da parte di un’intellighenzia scettica, materialista, atea, relativista o semplicemente intollerante di qualsiasi potere che potesse sottrarre consenso alle dottrine egemoni e ortodosse. Anche la Chiesa e’ caduta in questo paradosso di conflitto tra missione religiosa che richiede la libertà di poter diffondere il vangelo in ogni regime (date a Cesare quel che e’ di Cesare e date a Dio quel che e’ di Dio) e gestione dei mezzi necessari per sostentare la missione e la sua continuità sul piano geo-politico. La commistione tra le due sfere ha condotto a fratture interne alla Chiesa stessa e legittimare forme di repressione delle eresie con mezzi incompatibili con lo stesso messaggio evangelico. Sono però patetici i tentativi portati dai detentori del pensiero laicista di sinistra (radical-liberale direbbero negli USA) per rivendicare la loro visione del mondo come l’unica in grado di garantire una guida ortodossa alla civiltà Occidentale. In particolare in Italia sono i ‘radicali’ e i filosofi del ‘relativismo’ a rappresentare i residui di una malattia che ha afflitto l’Umanesimo e Illuminismo a partire dalla frattura della Rivoluzione Francese. Si tratta di una sindrome di ‘anti-occidentalismo’ che ha bisogno di dichiarare la propria egemonia ed ortodossia in forme altrettanto ‘dogmatiche’ di quelle di qualsiasi altra religione. Tuttavia in analogia con le fasi paradossali di cui si e’ fatta menzione relativamente alla commistione tra sacro e profano che hanno travagliato la Chiesa di Roma, questo preteso diritto all’ortodossia e all’egemonia secolare e’ tanto più grave di conseguenze nefaste quanto più esso si propone come strumento atto a ‘garantire la felicità’ non alla fine dei tempi bensì durante la vita terrena. L’unica ad essere dichiarata ‘reale’ in modo dogmatico da atei, materialisti e scientisti. Ciò rinnega ogni base di quel buon senso e di quella ragionevolezza che hanno costruito con umiltà e con grandi sacrifici e sofferenze la nostra civiltà Occidentale liberal-democratica. Se, infatti, e’ la Chiesa a godere di maggiore consenso nella pubblica opinione per le sue proposte di etica sociale ed economica e per i suoi rifiuti di soluzioni imposte da leggi dello stato ma ritenute disumane, non possono essere certamente i liberal-radicali a escludere dal diritto di legiferare e di giudicare sulla base del consenso dei credenti censurandone l’intromissione nella sfera riservata a Cesare. Si tratta di ridurre il ruolo di Cesare ad amministratore tecnico privo di ogni metro di valutazione delle priorità tra scelte alternative, dei reciproci pesi tra alternative e dei criteri sulla cui base possano essere legittime le scelte. Un tale metro di valutazione è necessario e si può solamente scegliere tra il ‘minimo comune multiplo’ tra istanze ideali di assoluto pari valore (relativismo) oppure il ‘massimo comune denominatore’ che deve limitare le scelte considerate legittime da quelle ritenute a torto o a ragione stravaganti dalle poche minoranze che si ritengono ‘compatibili’ col sistema istituzionale liberal-democratico. E’ questa compatibilità che deve risultare chiara e ferma se si vuole governare responsabilmente lo sviluppo della civiltà soprattutto in un’epoca turbolenta e aperta al nuovo come quella attuale. Chi non ha il coraggio (come la Chiesa di Roma) di riapprendere senza tradirli i valori fondanti della sua missione (trascendente o secolare che essa sia) non ha diritto di ricoprire ruoli ‘esecutivi’ pur essendo garantito dalla stessa civiltà Occidentale del diritto di ricoprire ruoli di ‘legislativo’. E’ anche per questo motivo che non e’ compatibile con la civiltà’ Occidentale un ’giurisdizionale’ che assuma il ruolo di legiferare (in modo indiretto e non criticabile e quindi istituzionalmente ‘irresponsabile’) interpretando la legge scritta. E’ ciò che sta avvenendo nel mondo occidentale sia in Italia che negli USA (con i poteri esorbitanti i diritti legislativi attribuiti dalla costituzione agli Stati per ciò che concerne la possibilità di introdurre ‘emendamenti’ alla carta fondamentale). E’ uno dei segni che occidente non sia un attributo geografico ma un concetto geo-politico di adesione allo spirito umanista e illuminista della civiltà liberal-democratica. È stato il ‘liberalismo’ ad ammorbidire da sempre nel progresso storico ogni forma di ‘integralismo’ nelle attività sia scientifiche, sia tecnologiche, sia economiche senza tuttavia ‘proibire’ ai protagonisti di nutrire fede in Dio né la ricerca di Dio in ogni campo di impegno umano tramite il libero uso della ‘ragione’ e dell’’ascetismo’. E’ ciò che sostiene il professor Ratzinger come base della ricerca scientifica nelle facoltà di filosofia chiedendo che non se ne escluda quella branca che da prima delle università si chiama teologia. I rischi temporali dovuti alle diversità di fede religiosa (o atea) sono stati risolti dalla liberal-democrazia con la separazione tra Chiesa e Stato e non con l’esclusione della Chiesa dal diritto di pensare e di convertire chiunque aderisca liberamente alle sue riflessioni e proposte di comportamento sociale. Della frattura dell’Illuminismo iniziata con la trasformazione della ‘regione’ umanista in Ragione assolutista da parte della Rivoluzione Francese e’ emblema la frattura che e’ avvenuta da allora nella ‘libera muratoria’. Negli USA e nel Regno Unito la Massoneria ha conservato il simbolo della Bibbia come ispiratore di una convivenza tra ‘fratelli’ diversi sul piano religioso ma ‘uguali’ su quello secolare e comunque tutti ‘religiosi’ nel senso della ferma fede in un Dio unico, personale e trascendente che e’ comune alle tre fedi del Libro musulmani, cristiani e ebrei. In Francia e nei suoi proseliti radical-liberali la Bibbia e’ stata sostituita sull’altare dal ‘Libro Bianco’ simbolo di un Dio Ragione che in linea di principio nega ogni ‘trascendenza’ e superstizione a quanto non sia spiegabile alla luce della Scienza. E’ una forma di idolatria della mente umana e del suo progresso che alimentano le forme di dogmatismo e intolleranza sia scientifica che politica che abbiamo avuto il privilegio di sperimentare sulla nostra pelle in Francia nel primo ‘800, in Germania col nazional-socialismo e nei Paesi comunisti fino al ‘crollo del muro’ inaugurato da tre protagonisti pienamente Occidentali: Margaret Thatcher, Karol Wojtyla e Ronald Reagan. In barba ai digiuni di Giacinto Pannella o alle obiezioni dei vari filosofi del ‘pensiero debole’.

se sono realmente compresi i problemi sono semplici nella loro descrizione, sono le soluzioni a poter essere semplici o complesse a seconda del contesto in cui vengono collocate e delle rigidità strutturali e culturali con le quali le si vogliono affrontare. Soprattutto in epoche caratterizzate da ‘cambiamenti’ esogeni massicci e da turbolenza del contesto geo-politico come quella attuale e in modo particolare per Paesi obbligati a riconfigurare il proprio ruolo nazionale nel contesto della globalizzazione forzata dell’economia, i problemi debbono essere descritti nella loro semplicità rifiutando qualsiasi rigidità di formulazioni ‘politically correct’ e debbono essere affrontati con ‘spirito leggero’ pur di collocarli con coraggio nella prospettiva più favorevole alla loro soluzione. Le soluzioni proponibili possono risultare facili o complesse in funzione della rigidità culturale ed organizzativa con le quali le si affrontano e si gestiscono. Le rigidità possono derivare da reali carenze di flessibilità e adattabilità dei comportamenti del corpo sociale. Cosa inesistente in Paesi che, come l’Italia, hanno dimostrato di saper affrontare con coraggio ed accettazione i molti cambiamenti interni dell’economia post-bellica che hanno mutato la struttura dei comparti produttivi e i loro apporti relativi alla produzione del reddito nazionale (da 70% rurale al 70% industriale-terziarizzato) e, anche in precedenza (nel corso di una lunga epoca di lento sviluppo industriale) ha dimostrato un coraggio e intraprendenza con l’accettazione di massicce fasi di emigrazione che hanno visto gli italiani assumere immediati ruoli di protagonisti nei Paesi scelti. Più spesso le rigidità e le resistenze all’adattamento derivano invece da vincoli imposti dalle tradizionali (e vecchie) strutture secondo le quali si struttura il ‘potere decisionale’ nel Paese in tutti i suoi più diversi comparti. Si tratta delle ‘istituzioni’ (statali o private) che raccolgono le istanze sociali, amministrative e produttive in crescente grado di ‘obsolescenza’ e che quindi mentre un tempo erano ‘legittimate’ dal loro valore aggiunto alla produzione di reddito risultano di tendenziale crescente ‘inutilità’ rispetto alle nuove esigenze e aspettative che le rende ‘parassitarie’, benché ancora ‘legali’, rispetto alle ‘legittime’ nuove esigenze del Paese. È lo scollamento tra ‘Paese Legale’ e Paese Reale’ a creare quelle ‘resistenze’ al cambiamento frapposte dalle vecchie lobby che impediscono la conversione degli assetti produttivi su schemi più redditizi a varare le soluzioni più semplici ed efficaci. Ciò obbliga il Paese approcci meno convenienti per tutelare i legittimi interessi ‘conservando’ assetti istituzionali incompatibili con le esigenze del cambiamento. Appesantendo le possibilità dello sviluppo con costi parassitari e difficoltà aggiuntive rispetto a quanto sarebbe necessario per cogliere le nuove opportunità di crescita qualora le si affrontassero con maggiore libertà e coraggio. Statisti del calibro di De Gasperi, Einaudi e Mattei in Italia nell’immediato dopoguerra seppero farsi carico di proposte semplici e capaci di decollare grazie alle sole risorse autonome nazionali con l’apporto di risorse estere sempre disponibili ad investire in intraprese caratterizzate dalla crescita di redditività. La carica di ottimismo intrinseca alle proposte semplici ma coerenti con le aspettative sociali e con le prospettive del mercato sono in grado sempre di assicurare il successo a tali scelte coraggiose. Le energie psichiche a tutti i livelli che tali scelte sanno mobilitare costituiscono il ‘valore aggiunto’ del Paese al successo delle soluzioni attivate. Il ‘sogno’ si traduce in ‘realtà fattuale’ senza richiedere guida e programmazione da parte dello stato che è sempre inadeguato a sostenere le esigenze del ‘domani’ coi suoi ‘servizi’ a-misura della realtà di ieri. È come le guerre che vedono sempre eserciti addestrati agli scontri sulla base di dottrine vecchie e che vengono quindi sconfitti spesso grazie a innovazioni geniali e semplici che disorientano i rigidi schemi coi nuovi apporti di efficacia, efficienza e flessibilità operativa. Politici ‘pessimisti’ del calibro di Moro sono destinati a essere sconfitti non tanto dai loro interlocutori tradizionali verso i quali sanno gestire con maggiore abilità e intelligenza le negoziazioni ma dalla storia che è destinata a ‘sorprenderli’ con i suoi inattesi sviluppi tecnologici o politici nello scenario più ampio di quanto essi non possano sperare di esercitare controllo. È per questo che statisti anche apparentemente ‘sempliciotti’ come la Thatcher (contro il sindacato dei minatori) o Blair (con l’accettazione delle politiche di mercato) nel Regno Unito, Schroeder (con la svolta di Bad Godesberg) in Germania o Reagan (col licenziamento in tronco dei controllori del traffico aereo e con l’iniziativa strategica – guerre spaziali) negli USA hanno saputo prendere semplici iniziative politiche che sono risultate fertili di conseguenze nazionali ed estere ben al di là del pianificabile.