16/03/2008

 

Il ‘politically correct’ come strumento anti-Occidentale

Credo che un indice dello scadere del dibattito politico in Occidente oggi sia identificabile nel ‘politically correct’. Un concetto che introduce forme di ‘censura’ preventiva ed esclusione dal dibattito di ogni idea che risulti ‘indecente’ e quindi indegna di ricevere attenzione mentre attribuisce una maggiore dignità alle idee che risultano ‘ortodosse’ con quel concetto. Il danno al dibattito dei problemi reali che affliggono la vita sociale è enorme in quanto vengono ‘soppresse’ dalla circolazione certe informazioni mentre ne vengono ‘dogmatizzate’ altre indipendentemente dalla loro accertata credibilità ‘scientifica’. Viene contravvenuto nel linguaggio e nel dibattito il principio della ‘falsificabilità’ che ci permette di distinguere le ‘ipotesi’ dalle ‘ideologie’. Ciò comporta in politica l’egemonia di proposte demagogiche e nella ricerca scientifica l’egemonia del ‘consenso’ rispetto a quello del ‘suggestivo’. Un esempio storico in campo scientifico si è manifestato a metà del 1800 allorquando le ‘suggestive’ proposte di Faraday sulla realtà dei ‘campi’ rispetto alle ‘forze’ (portate da Maxwell alla piena dignità di innovativa teoria scientifica ed altrettanto innovativo linguaggio matematico rispetto all’‘ortodossia’ newtoniana che dominava allora nel mondo accademico), vennero rimaneggiate da Lorentz per ricondurle ai concetti e agli strumenti del calcolo infinitesimale di Leibnitz. Lo ‘scientifically correct’ prevalse sulla ‘libertà di ricerca’ e comportò un ritardo d’oltre mezzo secolo nell’innovazione scientifica e tecnologica. Abbiamo già riportato quel caso in un precedente documento. Esistono poi analoghi casi eclatanti nella recente storia politica mondiale di idee imposte come ‘scientifiche’ tramite l’uso del concetto di ‘politically correct’. Ne è emblematica in politica l’egemonia, dapprima, e le costanti ‘tolleranze’ che fino ad oggi ha ricevuto il ‘socialismo scientifico’ (che a una vera critica scientifica avrebbe condotto all’esclusione del ‘comunismo’ dallo scenario globale ben prima del ‘crollo del muro’ a Berlino) rispetto alla totale stigmatizzazione imposta alle azioni attuate dai ‘fascismi’ ed alla ‘soppressione’ dalla pubblicazione di ogni documento che potesse nuocere a quel trattamento di totalmente ‘a-scientifica’ critica storica. Si ricordano i casi di già affermati scienziati ed accademici emarginati e perfino condannati al carcere per le loro ‘teorie provocatorie’ (una vera e propria ‘caccia alle streghe’ del ‘politically correct’ nel 2000). In campo scientifico grazie al concetto di ‘politically correct’ si è consolidata sin dagli anni 1970 una stretta cooperazione tra politica ed ‘accademici ortodossi’ (compensati con finanziamenti e incarichi di prestigio a spese del contribuente) in diverse materie. La ricerca di stato è divenuta prioritaria rispetto a quella privata in molti Paesi trasferendo il rischio delle scelte dall’industria privata (che può fallire e deve comunque rientrare dei costi in competizione sul libero mercato) al contribuente (addossandogli sia l’inefficiente allocazione delle risorse che caratterizza lo stato sia la sua impossibilità di ‘fallire’ se fallisce nelle scelte di nomine e di finanziamenti). Un caso attuale è quello dell’eco-terrorismo che non ha alcuna base scientifica né nel suo manifestarsi né nelle sue cause eventuali ma viene perfino elevato dall’accademia mondiale alla dignità massima di credibilità con l’attribuzione del Premio Nobel ad un politico (peraltro fallito) sulla base di conclusioni difformi tra cui viene data dignità ‘scientifica’ sulla base di un criterio assolutamente anti-scientifico (la maggioranza dei consensi) a quelle favorevoli alle aspettative politiche rispetto a quelle contrarie. Se le ipotesi di Copernico, Galileo, Maxwell, Einstein o Bohr si fossero dovute affermare ‘a maggioranza’ di consensi saremmo ancora al sistema Tolemaico o allo ‘spazio-tempo’ Newtoniano. Ma esiste un’ancora più subdola azione del ‘politically correct’ che è pericolosa per la sopravvivenza della civiltà Occidentale in quanto incide sullo stesso dibattito politico in Parlamento e tra l’elettorato. Il ‘politically correct’ ci interdice l’uso di taluni vocaboli chiaramente comprensibili e ci impone invece l’uso sostitutivo di altri più equivoci ma la cui legittimità ‘scientifica’ è sostenuta dalla filosofia del ‘pensiero debole’ e del ‘relativismo’. Ciò al fine di promuovere supposte dosi di maggiore ‘tolleranza’ tra ‘diversi’ che in tal modo vengono semplicemente ‘raggruppati’ come minoranze cui lo stato, con provvidenze fiscali, si fa carico di garantire trattamenti a-misura delle specifiche esigenze. Una sorta di asilo d’infanzia ove un paterno tutore elargisca pari dosi di compensi e impedisca che si rischino frustrazioni nel corso dell’interagire tra ‘soggetti’ dotati di diverse doti ma uguale diritto a ricevere gratificazione. Una benevola elargizione di felicità indipendente dai meriti personali. L’opposto di quanto descrive una comunità di adulti che sono responsabili individualmente di riuscire a guadagnarsi la altrui stima in funzione delle dimostrate personali prestazioni basate sul proprio peculiare profilo di doti umane e abilità professionali. Pur nell’ambito di ogni possibile, umano ‘pregiudizio’ da vincere come prova e gratificazione del personalissimo successo. Un emblematico esempio di ‘stigmate’ attribuita ai vocaboli da parte della grammatica ‘politically correct’ che conduce a sviluppi mistificanti nella semantica è l’avere assegnato un’accezione preconcettualmente negativa alla parola ‘negro’. A parte l’assoluta assenza di qualsiasi contenuto ‘scientifico’ anche secondo i criteri usata dalla genetica nella classificazione delle ‘razze’ di animali la definizione di ‘negro’ si riferisce solo a una gamma di colorazioni della pelle. Esistono drammatiche diversità tra chi si può ragionevolmente definire ‘negro’ (somali, watussi, hutu, bantù), così come ne esistono nella gamma di chi può essere a ragione chiamato ‘caucasico’ (tibetani, nepalesi, iraniani, pakistani, scandinavi, anglo-sassoni, mittle-europei). Comunque non si capisce la ragione di sostituire un termine di così generica classificazione con altri molto meno caratterizzanti come quello di ‘colorato’ poi abbandonato (per il suo attribuire un ‘colore’ - ritenuto ‘stigma’) per il termine ‘afro-americano’ col risultato pateticamente comico di definire ‘afro-americano’ perfino Nelson Mandela il presidente del Sud Africa che non può di certo soffrire di alcun complesso di inferiorità per il suo stato di Natura di Negro. Ben più dignitoso e di successo rispetto ai suoi concittadini Bianchi. Così vale per Louis Armstrong, per Sammy Davis Jr., per i tanti artisti negri e per intellettuali e politici negri come Condoleezza Rice, Colin Powell e perfino Farrakhan e tanti altri orgogliosi della loro appartenenza razziale invece di nasconderla dietro una terminologia ‘suggerita’ da demagoghi bianchi di pelle ma ‘nigger’ di spirito (da Ted Kennedy a tutti coloro che ghettizzano i negri per sfruttarne lo stato di ‘minoranza handicappata’ raccogliendone il voto a sostegno di illiberali programmi di ausilio statale e di asservimento dei più diseredati. Altre strane forme di abuso illiberale del concetto di ‘politically correct’ si possono reperire nell’attribuzione di ‘stigma’ al significato ‘statistico’ (quindi fondamento di ogni analisi scientifica) di ‘normale’. Si pretende di attribuire un valore ‘relativo’ anche al concetto di ‘normale’ per estendere quell’attributo anche a minoranze quali gli ‘omossessuali’ la cui frequenza statistica nelle abitudini della popolazione non è affatto ‘normale’. Si pretende altresì di rifiutare ogni miglioramento dei programmi educativi a-misura dei più ‘diversi’ profili delle modalità di apprendimento che caratterizzano gli allievi ‘normali’ rispetto a quelli ‘diversamente dotati’ (più ‘veloci’ o più ‘tardi’ lungo i programmi educativi standard attuali). Obbligando con ciò tutti gli allievi indiscriminatamente a seguire identici programmi didattici col risultato di annoiare i più dotati (handicappandone la crescita) per imporre un’omogeneizzazione improbabile tra ‘diversi’ profili umani che hanno mille altri modi ‘informali’ (e magari illegali) per riconoscersi e per rivendicare il diritto a manifestare orgogliosamente la propria diversità naturale.