15/11/2010

Immortalità dei catastrofisti demagogici

Dopo essere stati smentiti più volte nella storia anche recentissima della civiltà ‘Occidentale’, ora le ‘menti sottili’ dedite al catastrofismo ci ammoniscono che la ‘bomba demografica’ anticipata negli anni 1970 (la paventata sovrappopolazione mondiale e associata catastrofe di stampo malthusiano) non s’è concretizzata ma ha dato il passo a quella opposta degli anni 2070 (una paventata decrescita esponenziale con altri più temibili conseguenze per l’umanità).

Dopo il recente crollo nella farsa del man-made-global-warming gli ecoterroristi ci annunciano ora altre ragioni per cui occorre affidare loro la programmazione dello sviluppo industriale.

La madre dei cretini è sempre incinta ed i suoi pargoli non imparano mai prudenza per le loro affermazioni nella storia della civiltà ‘Occidentale’.

Il buon senso invece ci insegna che il progresso della tecnologia e della scienza forniscono soluzioni appropriate alle concrete condizioni ed esigenze della società.

Non si possono estrapolare le crisi di domani alla luce dei rimedi di oggi mentre si può sempre riproporre la demagogia ecoterrorista per proporsi a posizioni parassitarie come ‘consigliori’ del principe che cerca sempre nuove ragioni per imporre il suo governo dall’alto alla luce della programmazione dei redditi e (ciò che è più patetico) dello sviluppo industriale.

Il brutto è che in genere il buon senso liberale è bilanciato da un quasi altrettanto grande ed acritico peso di elettori la cui pavidità e fiducia nell’autorevolezza dei sapienti è sollecitata dal senso comune che gli stessi sapienti trasmettono grazie a scuole e media ‘organici’ agli interessi illiberali delle oligarchie di governo.

Il risultato è la costante opposizione tra governo del popolo, per il popolo e dal popolo e governo su sudditi di regimi etici e autoritari.

Sembra che non ci si possa liberare dall’assidua schiatta dei pessimisti che non nutrono alcuna fede né per il progresso scientifico, né per la creatività individuale che da sempre ne ha impiegato le scoperte per inventare applicazioni utili a garantire alla società costante crescita di benessere, aumento di libertà civili e il progresso etico che caratterizza la nostra civiltà ‘Occidentale’ (greca-romana-cristiana).

Gli stessi demagoghi catastrofisti tuttavia dimostrano la loro malafede assumendo due posizioni incoerenti nei confronti della scienza e delle soluzioni tecnologiche.

Da un lato essi pretendono di affermare in termini inconfutabili la presenza di un pericolo previsto in modo ‘scientifico’ dalle elite accademiche al loro servizio. Inoltre pretendono di saper contrastare la minaccia con un impiego delle conoscenze ‘scientifiche’ capace di implementare una ‘programmazione’ dello sviluppo tecnologico adeguata a rimuoverne l’incombere.

D’altro lato invece gli stessi demagoghi paventano l’avvento dell’innovazione tecnologica emergente dalla libera ricerca accademica o industriale e pretendono di essere capaci di inventare a loro volta linee di guida per generare l’innovazione.

Un profondo orgoglio che dovrebbe trasmettere alla pubblica opinione fiducia nelle loro capacità di guidare perfino la nascita del nuovo quando proprio da loro emana la sfiducia nella scienza se lasciata libera di svilupparsi.

Su queste deboli basi logiche si fonda la pretesa di programmare lo sviluppo dell’economia industriale.

D’altronde da queste considerazioni discende una conferma della differenza paradigmatica su cui si fondano le due prevalenti strategie di governo della società civile.

Il primo paradigma privilegia il potenziale creativo individuale nella fiducia che esso sia una dote attribuita a ognuno dalla natura indipendentemente dal livello di istruzione o dalla formazione professionale, elementi che affinano il modo in cui la creatività individuale può essere proposta nelle relazioni sociali aumentandone i campi di impiego tecnico ma non agevolando il principale ostacolo al successo che risiede nel buon senso e nella disponibilità ad adeguare le proprie alle altrui esigenze. Una dote che non dipende dall’educazione che si riceve in famiglia al di là della fascia sociale o di censo. Questa visione della società e dell’accoglienza che essa riserva ai singoli membri sostiene che tutti ricevono pari opportunità ponendo ognuno in competizione con gli altri per offrire le proprie prestazioni al servizio delle esigenze esistenti agendo su una negoziazione di remunerazione liberamente valutabile come adeguata dal potenziale acquirente. È il gioco di domanda ed offerta in un mercato realmente libero a definire il prezzo delle singole professionalità disponibili. È il prezzo a stabilire la scala di valore dei singoli operatori. Un valore che non si fonda su elementi astratti ma sulla capacità dei potenziali acquirenti di saper valutare complessivamente il mix di carismi ed abilità in cui si sostanzia ogni specifico rapporto di domanda/offerta. Nel mix possono figurare, accanto gli elementi più connessi all’abilità strettamente professionale, anche elementi umani e relazionali che vanno a comporre la qualità delle prestazioni (assertività, empatia, ostinazione, determinazione, puntualità, comunicativa, etc.). Secondo questo paradigma nel corso della vita ciascuno riceve prima o poi pari occasioni di farsi stimare e di essere valutato per il proprio valore complessivo di valore per la società in cui opera. Purché il mercato in cui opera risulti adeguatamente libero e dinamico.

Il secondo paradigma nega l’intrinseca pari capacità di ogni individuo di saper evidenziale le proprie doti naturali nel corso delle relazioni sociali sul libero mercato e ne paventa il rischio di soccombere ai più forti, ai più avidi, ai più astuti, ai più beneficiati per censo o classe sociale. Questa visione della società nega che il mercato in cui operano i singoli professionisti sia realmente libero. Il mercato è sempre polarizzato in modi più meno palesi per agevolare la carriera di qualcuno a detrimento della carriera di altri. Anche se tale scelta significasse rinunciare a maggiore arricchimento o a minore impoverimento complessivo, tuttavia la tutela dei privilegi di casta e di censo prevale sull’interesse complessivo della società. Il compito del governo della società, ne deriva quindi, è quello di garantire la parità ai suoi membri indipendentemente dal loro stato di partenza. Ciò viene condotto all’iniziale imposizione di uguaglianza di istruzione e formazione professionale a cura di istituzioni uniche e gestite da un unico operatore super partes in quanto al di fuori delle pressioni del mercato (lo stato). Un tipo di imposizione illiberale ma mitigata comunque dall’accettazione che sia la competizione a selezionare i migliori ed a creare quindi la gerarchia di benessere e reddito. La competizione viene valutata con indebita, inevitabile intromissione di criteri stabiliti dallo stato che definisce i programmi dell’istruzione e della formazione professionale. Una valutazione che distorce i valori attribuiti dal libero mercato inquinando i criteri che animano le libere scelte individuali su aggregazione statistica a posteriori con elementi dettati da ideologie astratte. Criteri ideologici che devono quindi affermare la legittimità della loro egemonia sulle scelte di libero mercato grazie all’’eccellenza’ di chi le ha concepite (evitando però quasi sempre di praticarle).

L’eccellenza degli ideologi può essere quella religiosa tipica dei fondatori di ogni religione oppure deve essere l’eccellenza delle conoscenze scientifiche maturate dai fondatori di ogni scuola artistica o professionale. Si tratta in entrambi i casi di una classica manifestazione delle scuole esoteriche che assumono il carattere di sette. Da Buddha, Confucio, Pitagora, Esculapio, Ippocrate, Socrate, Platone, Aristotele, Cristo, Campanella, Maometto, San Francesco, San Bernardo da Chiaravalle, Martin Lutero, San Tomaso di Loyola fino ai Testimoni di Geova, ai Mormoni ed a Scientology le dottrine sociali che sono state proposte si ispirano alla libera adesione destinata a premiare gli adepti in una loro vita post mortem. Si tratta quindi di proposte che possono ispirare i cittadini ad aderire a comportamenti virtuosi senza coartarne la libera scelta di peccare.

Esiste invece un secondo gruppo di sette che tendono a imporre l’adesione alle loro dottrine sociali sul piano secolare. Dal marxismo, al nazional-socialismo, ai vari fascismi che conculcano le libertà individuali quelle ideologie pretendono di imporre i loro criteri di scelte ‘politicamente corrette’ fondandone la superiorità sui superiori valori scientifici che un sinedrio di menti eccellenti ha maturato e continua ad affinare sulla base di errori accumulati sul piano dell’applicazione pragmatica ai comportamenti sociali. Errori commessi in piena buona fede ed infatti tutti ‘perdonati’ agli eccellenti responsabili (sempre soggetti ad errare in quanto ciò ‘humanum est’) dietro debita auto-critica e periodo di decantazione o rieducazione.

L’eccellenza delle dottrine quindi è direttamente ancorata all’eminenza delle menti sottili che le hanno fatte maturare nell’ambito di sinedri detentori del ‘meglio del meglio’ delle conoscenze. La loro creatività può prevedere ciò che sia meglio per le masse di menti pensanti meno istruite e nobili cui sono destinati oculati programmi di educazione e rieducazione permanente e di adesione a programmi di sviluppo destinati in modo inderogabile a realizzare la felicità e a distribuirla senza alcun privilegio tra i sudditi. Pari felicità a ciascuno secondo panieri di beni e servizi privi di ridondanze consumistiche, edoniste e dissipatrici di risorse umane ed ambientali. Colonie, ospedali, scuole, università, colonie, centri turistici tutte realtà massificate che eliminino dalla società il rischio dell’invidia sociale. Chi non aderisce a questa visione eticamente corretta è considerato stravagante, ostile e potenziale fonte di dispersione di ricchezza a detrimento del contributo che è versato dai suoi concittadini. Questa minaccia alla pace sociale deve essere reinserita negli schemi della ‘ortodossia’ dottrinale con ogni mezzo sempre suggerito dal sinedrio dei migliori.

Una società di questo tipo si fonda su una gerarchia di conoscenze professionali definita a tavolino e divisa in specifici ruoli. Prende corpo una schematizzazione nominalista della carriera sociale – il cursus honoris scientifico. Una gerarchia nominalista che definisce il ‘senso comune’ legittimato dall’ideologia.

Ora chiunque sia dotato di ‘buon senso’ capisce invece che poche sono le menti eccellenti, i maestri, i capi mentre molti sono i loro discepoli animati da emulazione, invidia, gelosie. In ogni campo delle conoscenze. Essere discepolo ‘ricercatore’ al servizio di uno scienziato non trasforma di per sé al passare del tempo quel discepolo a sua volta in uno scienziato. Gli scienziati devono necessariamente essere in grado di ‘divulgare’ in modo inequivocabile le loro intuizioni innovative oltre a saperle concepire sulla base di individualissimi atti creativi. I ricercatori che popolano le scuole condotte dai pochi scienziati devono a loro volta educare i futuri ricercatori ‘divulgando’ a loro beneficio gli aspetti più consolidati delle loro conoscenze nei corsi di istruzione superiore. Le conoscenze devono essere ‘divulgate’ anche nelle scuole primarie e secondarie per assicurare una società di individui in grado di comprendere la crescita del progresso scientifico e tecnologico prima di affidare alle loro scelte elettorali la responsabilità di decisioni potenzialmente delicate. ‘Divulgare’ è un compito permanente d’ogni comunicatore sociale nell’industria mediatica, di edutainment e della stampa

sia generalista che specialistica. Tutti gli addetti hanno necessità di essere adeguati sia come formazione di base che come formazione permanente, senza la quale la ‘divulgazione’ diventa demagogia creativa. Solo i più stretti cronisti si possono permettere il semplice uso dei mezzi di rilevazione tecnologici degli eventi di cui sono testimoni (guerre, manifestazioni, incidenti, catastrofi, epidemie, attentati, delitti, etc.).

La morale è che nella società liberal-democratica occorre curare in modo particolare a ogni cittadino una formazione permanente di qualità assicurando a tutti la fruizione di una ‘divulgazione’ adeguata sul piano scientifico. È intollerabile strumentalizzare la realtà industriale che anima il progresso civile per inadeguate capacità divulgative dei comunicatori sociali (insegnamento, formazione, media).