15/10/2010

‘Il costo del progresso della civiltà umana (‘Occidentale’)

Le ‘anime belle’ piangono sempre sulle morti ‘inutili’, su quelle ‘innocenti’ e sulla partecipazione dell’Italia alle ‘guerre’ cui si partecipa non ostante la costituzione repubblicana nata dalla ‘guerra civile’ lo proibisca esplicitamente.

Ora sulle morti ‘inutili’ vorremmo chiedere una semplice verifica condotta con ragionamenti astratti ma applicabili ad ogni epoca. Analogamente occorrerebbe chiedere di condurre una verifica sulle morti ‘innocenti’ e sulle ‘guerre’ che sono ‘rifiutate’ in modo apodittico da poderose ‘menti sottili’.

Non esistono morti ’inutili’ in quanto il progresso matura solo ‘osando’ ai limiti dell’audacia in ogni comparto della scienza e della tecnica. Osare significa affrontare consapevolmente i rischi della ‘precarietà’ di cui si nutre la vita se aspira a scoprire nuovi limiti e maggiore qualità di vita invece di vegetare attendendo l’ineludibile esito finale. Rischiare significa valutare le ragioni per cui si accetta di correre i rischi. Ciò significa porsi in modo consapevole o inconscio il problema dei valori e dei principi meritevoli e di difenderne la sopravvivenza contro qualsiasi altra scala di valori e di principi considerati incompatibili con essi. L’orgoglio per i valori e principi che ispirano l’intraprendere è il prerequisito per nobilitare le scelte di affrontare i rischi. Qualsiasi altra percezione di indifferenza tra valori e principi è ciò che si chiama ‘relativismo’ e conduce all’accettazione pura ‘esistenziale’ del passare del tempo verso obiettivi lungo un processo privo di criteri sulla cui base fondare la scala delle priorità tra valori ed i loro pesi relativi. Questa mancanza di convinzione filosofica conduce al nihilismo che priva di ogni valore il ‘progresso’ il cui sviluppo resta attribuito a una successione di scelte di valore paritetico e cause stocastiche (materialismo ateo) oppure a una causa ‘provvidenziale’ (il disegno intelligente). In ambo i casi l’uomo rinuncia ad assumersi la responsabilità delle decisioni personali rinunciando ai meriti senza tuttavia potersi liberare delle colpevoli omissioni; almeno se si vuol continuare a deprecare le morti ‘inutili’ e ‘innocenti’ o l’impiego della ‘guerra’ come mezzo di azione diplomatica.

La diplomazia espropriata della guerra risulta sterile. Negoziare sulla sola offerta di ‘carote’ senza l’alternativo uso di ‘bastoni’ rende poco credibile qualsiasi discussione competitiva. Eliminare dalle relazioni la competizione è possibile solo in due casi; un’abbondanza di risorse da regalare a chiunque le desideri per migliorare il proprio benessere oppure una rinuncia incrollabile a qualunque risorsa che non sia necessaria alla pura sopravvivenza. Il primo caso è quello dell’uguaglianza fondata sul criterio di ‘ciascuno dia secondo la sua abilità, ciascuno riceva secondo i suoi bisogni’ di marxiana memoria e il secondo è quello del Paradiso Terrestre oppure della Chiesa Escatologica. Entrambe soluzioni destinate a restare luminosi traguardi cari alle anime belle ma sterili sul piano applicativo nel corso del progresso umano. Il primo caso dell’ideologia marxista è fallito spontaneamente dopo aver insanguinato la storia con gulag rieducativi nel disperato tentativo di forgiare l’uomo a misura del modello (un criterio che è la confutazione del presunto carattere ‘scientifico’ di quella religione secolare). Il secondo caso della dottrina cristiana ha sempre fallito quando ne è stata tentata l’applicazione pratica perfino nell’ambito delle comunità monastiche ma resta valido come strumento critico dei comportamenti umani lungo il percorso di morti e guerre che ha infiorato la civiltà ‘Occidentale’; la religione cristiana infatti ha avuto successo come complemento dell’arroganza individualista riuscendo ad attenuare i lati più aggressivi e violenti nella crescita del progresso. È stata quest’integrazione e autonomia dei due protagonisti che ha costruito la consapevolezza dei limiti della ‘guerra’ e la compassione per l’avversario su cui s’è formata la diplomazia, la Croce Rossa, gli Enti Caritatevoli, la Carta dei Diritti Umani e tutto ciò che costituisce la superiorità della nostra civiltà ‘Occidentale’ su qualsiasi altra manifestazione culturale oggi.

Vediamo di proporre la riflessione su fatti del passato e che, non potendo essere modificati, permettono di valutare i costi d’una possibile azione correttiva solo sul piano filosofico proprio dei dibattiti ‘teorici’ dei giuristi, dei politici e delle carte costituzionali (emendabili e migliorabili; nella civiltà ‘Occidentale)’.

Vorremmo sapere quanti sarebbero oggi in condizione di rinunciare alle ‘piramidi’ d’Egitto, ai ‘giardini pensili’ di Babilonia o alle strutture architettoniche che fanno parte, in modo ‘tramandabile’ al di la dei limiti delle singole generazioni della nostra cultura, pur di ‘salvare’ i milioni di vittime che hanno contribuito alla realizzazione di quei beni dell’umanità dalla morte per maltrattamenti e infortuni sul lavoro.

Vorremmo sapere anche chi salverebbe la vita ai trecento delle Termopili o a Canne o alla Missione di ‘el Alamo’ accettando le conseguenze della vittoria della parte avversa, in nome della tutela nella storia dei principi e valori della civiltà ‘Occidentale’.

Vorremmo sapere quanti salverebbero oggi la vita delle tante vittime di cui è infiorato il progresso della civiltà ‘Occidentale’ rinunciando a realizzare le infrastrutture tecnologiche (strade, acquedotti, terme, ferrovie, industrie, borse valori, etc.) sulle quali essa si è consolidata, costruita e diffusa nel mondo con la sua attuale globalizzazione che sta diffondendo i principi e i valori che la caratterizzano.

Ciò ci conduce direttamente a valutare quanti sarebbero oggi convinti sostenitori dell’esigenza di salvare da morte gli ‘innocenti’, in modi diretti e indiretti, inevitabili nelle guerre (bambini, donne, malati, anziani) tra i convinti sostenitori del diritto ad abortire per selezionare i potenzialmente sani a discapito dei tarati (rinunciando ai capolavori di Beethoven sordo per tare genetiche dovute ai genitori luetici) o tra i sostenitori dell’eutanasia selezionando chi sta vivendo vite ormai non più ‘degne’ d’essere vissute (contraddicendo ogni intervento umanitario nei casi di cronaca destinati a morte certa) o tra i sostenitori del diritto all’aborto selettivo dei feti femminili per prevenire le conseguenze negative che la demoscopia avrebbe sul benessere complessivo dei paesi sovrappopolati (rinnegando le stesse ragioni che hanno legittimato la guerra armata contro i regimi autoritari fondati su eugenetica e eutanasia e le ragioni della costante guerra verbale contro i regimi irrispettosi della dignità femminile – le mutilazioni e le lapidazioni tra altre forme di contravvenzione ai valori e principi della nostra civiltà ‘Occidentale’).

Ciò ci conduce altrettanto direttamente a valutare quanti sarebbero oggi convinti di rifiutare la guerra accettando che si diffondano inciviltà sostenute da regimi fondamentalisti e aggressivi su piano militare ed ispirati da principi e valori opposti a quelli che caratterizzano la civiltà ‘Occidentale’; che è maturata solo con una sanguinosa storia di guerre armate vinte contro i regimi che, all’interno ai confini del mondo ‘Occidentale’, hanno inquinato lo scenario politico o che, esterni ai confini del mondo ‘Occidentale’, ne hanno minacciato l’egemonia e l’integrità.

Nessuna ‘morte’ e nessuna ‘guerra’ è restata inutile ai fini del progresso umano. Oltre ad essere state la fonte di enormi progressi scientifici e tecnologici (con le loro ricadute in applicazioni civili) esse hanno consentito di maturare ulteriori livelli di consapevolezza sull’uso della forza e di rendere più efficace l’uso di diplomazia. Sia nelle relazioni interne all’’Occidente’ (relazioni sindacali, giustizia, lotte politiche), sia nelle relazioni internazionali (rispetto dei trattati, Società delle Nazioni, Nazioni Unite).

Sono state le ecatombe di Hiroshima e Nagasaki a costruire la lunga pace all’insegna del MAD. È stato il crollo dei totalitarismi meno umani del Nazional-Socialismo e del Comunismo a costruire l’attuale cooperazione al comune sviluppo industriale cui partecipa l’’Occidente’, coi paesi ex-comunisti e Cina in via di ‘occidentalizzazione’.

In definitiva occorre osservare la realtà della nostra natura umana sia al livello individuale sia su quello di gruppo prima di lasciarsi andare alla scrittura dettata dalle anime belle. A entrambi quei livelli siamo soggetti a pulsioni avide accanto ad altre solidali che esercitano contrastanti effetti sulle nostre decisioni e comportamenti di uomini liberi e responsabili. Decisioni che ci spingono a intraprendere competizioni ispirate dal rischio per migliorare la nostra qualità di vita o che ci ispirano a cooperazioni di gruppo per tutelare la qualità di vita già raggiunta. Ispirazioni che animano i nostri comportamenti più temerari e quelli più prudenti che richiedono mezzi di azione diversi. ‘Armati’ quelli utili nello scontro coi ‘nemici’ e l’ambiente ostile. ‘Diplomatici’ quelli necessari all’incontro cogli ‘alieni’ suggestivi anche se ostili solo in modo potenziale.

Aspirare ad una umanità priva delle pulsioni sollecitate dalla competizione, dall’avidità, dal narcisismo non è possibile. Aspirare a costruire una civiltà in cui, pur esistendo entrambe le pulsioni, prevalgano i meccanismi della diplomazia su quelli della guerra è coerente con il monito della Chiesa di Roma e coi traguardi che hanno caratterizzato la crescita della civiltà ‘Occidentale’.

Occorre insomma liberare la politica dai più demagogici e partigiani slogan, dalla ‘guerra levatrice della nuova società’, alla ‘guerra sola igiene del mondo’, all’irenismo più acritico del ‘siamo tutti fratelli’ che non voglia tenere conto dei Caino e dei Bruto e conviene rientrare nell’umanesimo più pragmatico della nostra civiltà ‘greco-romana-cristiana’ che suggerisce con grande prudente saggezza che, se si vuol conservare la pace occorre sorridere ma decisi a ritorcere ogni minaccia.

Esiste in tal senso una serie di slogan pienamente coerenti coi principi e i valori dell’unica civiltà che sia riuscita a convertire ogni etnia e cultura fatalista o ‘razzista’ fino all’attuale competizione non armata sullo scenario della globalizzazione industriale. Dal ‘si vis pacem para bellum’, a ‘chi pecora si fa il lupo se la mangia’, al ‘non indurre in tentazione’, alla ‘prudenza auriga virtutum’, a ‘vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’, al ‘fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’.

Comunque esplicitare a puro fine esorcistico su una carta costituzionale il ‘rifiuto della guerra’ è solo uno sterile esercizio retorico che costringe a ridicole e patetiche giustificazioni dialettiche delle inevitabili contravvenzioni a quel virtuoso ma sterile proposito; invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati dell’URSS, guerre di liberazione, azioni di ‘peace keeping’, azioni di ‘pace enforcing’ e ogni altra dizione che la demagogia riesce a concepire per non dover cancellare quell’imprudente e patetica affermazione.