15/04/2011

Globalizzazione o Neocolonialismo?

I recenti sviluppi dell’interventismo francese nelle aree tribali del mondo di suo interesse industriale sono da leggere come dettati da due diverse ragioni: 1) quella delle ragioni elettorali interne alla Francia e, 2) quella dettata dalla ricerca di una nuova stabilità che garantisca la governance del sistema industriale globale.

Il primo gruppo di motivazioni sono state suggerite al barcollante Sarkozy per raggiungere l’obiettivo della rielezione ad un secondo mandato presidenziale che gli è attualmente precluso dal rischio che il ballottaggio dopo il primo turno elettorale lo veda escluso per lo scavalcamento ‘a destra’ di Marina Le Pen, figlia di Jean Marie. Per evitare la nefasta esclusione Sarkozy ha assunto i comportamenti ‘napoleonici’ (sempre popolari nello Stato Nazione più ‘colonialista’ dell’era degli Stati Nazione inaugurata dal crollo della prima versione della globalizzazione dell’epoca di Roma Imperiale) di intervento armato unilaterale a tutela degli interessi industriali del suo paese. Queste motivazioni hanno compattato il consenso diffuso attorno al sistema più ‘protezionista’ del mondo ‘Occidentale’ - il ‘colbertiano’ industria-stato francese. S’è trattato d’un gruppo di motivazioni consapevoli (razionali, machiavelliche e para-fasciste) che hanno imposto il loro ruolo egemone sullo scenario internazionale grazie all’ancora inesistente stabilità di un sistema istituzionale che presieda a garantire stabile e credibile governance al sistema industriale globalizzato. All’attuale seconda versione della globalizzazione, manca ancora insomma un sistema istituzionale che, in corso di costruzione, vede proprio l’impossibilità dei suoi protagonisti politici principali (USA e Cina) di concordare le proprie posizioni sui vari scenari geo-politici ‘locali’ (Libia) o ‘regionali’ (Africa, Medio Oriente). Per le stesse ragioni le istituzioni di ordine gerarchico inferiore (UE, NATO) si trovano prive d’una solida guida politica che possa prevalere sulle iniziative assunte unilateralmente dagli Stati Nazione membri – sollecitati da necessità di garantire stabilità in politica interna.

Il secondo gruppo di ragioni quindi risulta espresso in forme non ancora consolidate e formulato in modo così vago da prestarsi ad un uso spesso demagogico sui vecchi scenari politici nazionali. Per queste ragioni i principali protagonisti politici – come Barack Obama - si trovano costretti ad aderire a iniziative unilaterali come quella di Sarkozy per non subirne danni politici al prestigio personale sia in campo internazionale che nazionale; per non farsi ‘scavalcare’. L’assenza di consolidati riferimenti di interessi nell’emergente nuova governance, impedisce ai principali protagonisti sulla scena globale (USA e Cina) di poter agire di conserva ed agevola le iniziative più opportuniste dei protagonisti di secondo e terzo livello gerarchico mentre agevola la destabilizzazione dei regimi meno competitivi che hanno minori capacità di tamponare lo stato di transito dalle vecchie relazioni internazionali al loro nuovo assetto a misura della globalizzazione.

È evidente che le iniziative opportuniste che si sviluppano in questa fase di transizione siano intraprese per dare soddisfazione agli interessi nazionali più in difficoltà e cerchino di appagare le aspettative della pubblica opinione di conservare vecchie certezze ed abitudini ormai non più sostenibili nel nuovo contesto industriale caratterizzato dalla competizione sul mercato globale. Si tratta quindi di iniziative che inevitabilmente sono tinte di nazionalismo e di neo-colonialismo e che alimentano un regime para-fascista e storicamente non più compatibile con la governance politica soprannazionale di un sistema industriale i cui interessi hanno necessità di relazioni politiche e istituzionali stabili a dimensione globale.

La sequenza di iniziative alimenta sé stessa ed intralcia il progresso del nuovo ordine globale agganciando le più opportuniste esigenze anche presso i principali protagonisti anch’essi sottoposti, in modo prioritario, a pressioni nazionali dettate da lobby ormai obsolescenti ma sulle quali risiede ancora la loro stabilità di ruolo di leader politici. Obama deve finanziare le banche e gli interessi più sindacalizzati oltre che limitare la libera circolazione di capitali, merci e persone in senso unilaterale. Così come deve opporsi a un’immigrazione che rischia di sottrarre occupazione negli USA a fasce operaie ormai non più economicamente competitive nelle vecchie fasi produttive in impianti manifatturieri che le industrie nazionali ed estere preferiscono insediare in paesi a redditi individuali troppo bassi per poter accedere a un decente mercato di consumi; avviando con ciò una partecipazione al mercato globale in un ruolo caratterizzato da pari opportunità di crescita del benessere e della qualità di vita.

Opporsi alla nuova governance globale presenta tre opposte conseguenze deteriori.

La prima è che la collocazione sul piano internazionale delle risorse finanziarie disponibili in assenza della maggiore stabilità delle regole, alimenta il progresso dell’industrializzazione e la conseguente diffusione del reddito individuale in tutti i paesi a ritmi più ridotti di quanto sarebbe possibile in presenza di una credibile governance. Questa potrebbe quindi rendere più rapida la crescita del benessere economico al Sud, senza che il Nord veda diminuire il proprio aumentando l’affidabilità dei programmi di industrializzazione e quindi convincendo sempre maggiori porzioni di risorse ad abbandonare gli investimenti ‘speculativi’ (alte rendite in tempi rapidi) per alimentare programmi di sviluppo di lungo termine (barattando margini di rendita con allungamento del periodo di ritorno sugli investimenti programmati).

La seconda conseguenza deteriore è data dall’allungamento della fase di protezionismo e neo-colonialismo da parte di tutti i paesi industrializzati in competizione reciproca e nei confronti dei paesi da essi ritenuti lo ‘spazio vitale’ per prolungare la competitività del proprio sistema stato-industria. Un tentativo deteriore per l’estensione dei contenuti liberal-democratici in ogni paese, Sud e Nord, e sterile per ciò che concerne la conservazione di passate grandeur godute dal Nord nell’epoca degli Stati Nazione che, ormai gradualmente abbandonati dai principali gruppi industriali che hanno creato la globalizzazione, trovano consenso politico sono grazie a lobby corporative nazionali di apparati industriali residuali in crescente difficoltà economica a meno di non integrarsi all’emergente nuova struttura globale della cooperazione industriale del lavoro. La fase di sopravvivenza delle governance nazionaliste dissipa crescenti risorse reperibili solo aumentando una fiscalità che sollecita le industrie più sane ad abbandonare il paese in un processo ciclico vizioso che sottrae consenso ai leader politici nazionalisti costretti quindi gradualmente ad assumere gli atteggiamenti classici dei regimi autarchici e autoritari (Venezuela, Cuba, Corea del Nord, etc.).

I leader dei paesi maggiormente responsabili della globalizzazione industriale, anche se temporaneamente sollecitati ad assumere decisioni di resistenza al fenomeno, ricevono per primi crescenti e massicce spinte ad abbandonare quelle politiche controproducenti per la crescita del reddito nazionale e globale proprio da parte dei gruppi industriali più internazionalizzati. La gerarchia del G2 resta sempre la stessa anche se ritarda il consolidamento gerarchico degli accordi di governance globale.

La terza conseguenza negativa del ritardo all’accettazione della globalizzazione sul piano politico, è relativo alla sicurezza e alla qualità di vita. Infatti il ritardo nell’avvento di una nuova governance globale capace di stabilizzare gli investimenti industriali sul lungo periodo, oltre a rallentare l’abbandono di posizioni di tipo ‘speculativo’ del comparto d’industria finanziario come visto, conserva integre le diversità di regime politico sulle quali si fondano i ‘paradisi fiscali’. Come detto, una credibile, nuova governance globale accelererebbe l’offerta di credibili e stabili opportunità di investimenti industriali di lungo respiro dissuadendo da investire in offerte speculative. Un’associata più partecipata lotta internazionale alla criminalità, agevolata dal nuovo consenso politico globale, spingerebbe il crimine organizzato ad abbandonare vecchie attività illegali, troppo rischiose, ed a riciclare quelle risorse finanziarie - finora sottratte all’economia industriale - su investimenti garantiti dallo sviluppo industriale; accelerando la crescita di benessere e di qualità di vita ovunque.