14/05/2010

Economia e Finanza: necessità di divulgare senza demagogia

L’elettore-risparmiatore-consumatore è sempre più coinvolto a esprimere le proprie scelte in un contesto in cui le politiche settoriali trattano materie sempre più specialistiche che riescono scarsamente ad essere capite anche per l’assenza di una stampa capace di garantire gli elementi essenziali che regolano ciascuna materia in questione. Inoltre è chiamato a esprimere le proprie scelte politiche a programmi di gestione del bilancio statale che propongono priorità di spesa e che si ispirano a criteri di valutazione delle cause ed effetti spesso drammaticamente difformi; tanto da confondere più che aiutare nel confronto tra i programmi.

L’economia è la disciplina cui tutti i programmi di spesa settoriali fanno riferimento per potersi appropriare delle risorse monetarie in cui si sintetizza il bilancio dello stato. Oltre a non essere una scienza esatta come dimostrano i costanti fallimenti degli esperti nelle loro previsioni. Questa scienza ha la tendenza da tempo a integrarsi con la psicologia sia sul piano dei comportamenti del mercato dei consumi (marketing aziendale) sia su quello dei comportamenti aggregati (modelli macroeconomici). Diversi premi Nobel sono stati di recente assegnati a studiosi dei comportamenti economici la cui materia accademica era la psicologia.

In assenza di un minimo di preparazione a capire gli aspetti essenziali dei comportamenti e delle relazioni che animano i sistemi economici è impossibile che l’elettore-risparmiatore-consumatore riesca a esprimere proprie scelte “responsabili” in un sistema istituzionale fondato sulla libertà.

La rubrica si propone di tentare in un prossimo articolo uno sforzo di divulgazione in questa materia che riesca a riepilogare i termini essenziale che sono al fondo di tutte le successive elaborazioni specialistiche che producono i programmi di proposte politiche di gestione dell’interesse comune da parte dei politici e dei loro intellettuali “organici”. Nella speranza di segnalare quantomeno l’esigenza del problema e la possibilità di adottare per scopo divulgativo non di parte materiale educativo che già esiste nelle scuole secondarie e alla università ma che viene malamente letto durante il percorso formativo ed è comunque rifiutato dai media in quanto “astruso” e “noioso” per i lettori. Senza una divulgazione adeguata l’elettore-risparmiatore-consumatore è destinato a rimanere vittima di demagoghi, truffatori e sofisticatori senza scrupoli. Oppure a confidare nell’”onestà” di chi deciderà per lui “deresponsabilizzandosi” totalmente e quindi distruggendo la liberal-democrazia.

Il mondo della finanza è scarsamente familiare ai risparmiatori che in genere fruiscono principalmente dei servizi bancari; anche quando adiscono a consumi finanziari di investimento dei loro risparmi.

Il mondo della finanza si divide in quello che presiede alla circolazione della moneta quale puro metro di valore tra beni e servizi disomogenei conservandone costante (non inflazionato) il metro-valore e in quello che invece presiede ad assicurare un valore aggiunto alla moneta tramite suoi trasferimenti di disponibilità in comparti diversi del mercato o in paesi diversi rispetto a quelli in cui essa viene parcheggiata a-risparmio. Infatti lasciare il risparmio parcheggiato invece di investirne le risorse a sostegno di investimenti di sviluppo è una rinuncia alla crescita complessiva del prodotto industriale e la rinuncia a poter remunerare i risparmi oltre il tasso di redditività che il sistema bancario può ottenere in assenza di inflazione investendone le risorse nei paesi e comparti industriali “maturi” (nei quali cioè ogni investimento ulteriore riesce a generare margini ridotti di valore aggiunto). Investire le risorse monetarie in paesi emergenti o in settori d’industria innovativi permette di ricompensare la parsimonia del risparmiatore con rendite maggiori di quelle più tradizionali. Qualora i paesi in via di sviluppo o i comparti industriali più innovativi presentassero aspetti di rischio moderati, il tasso di maggiore rendita sarebbe minore rispetto a quello necessario per convincere il parsimonioso risparmiatore ad assumersi rischi maggiori a fronte di margini di rendita maggiori. È il tasso di avidità che ispira il risparmiatore a suggerirgli l’acquisto di beni finanziari (hedge funds) altamente remunerativi. È un’opzione di libero mercato fondata sulla responsabilità personale.

Il mondo dell’economia è familiare quasi solo per gli aspetti più direttamente connessi alla produzione del reddito personale, familiare o aziendale per le relazioni della vendita sul mercato ma raramente ci coinvolge negli aspetti di relazione col mercato finanziario per l’innovazione tecnologica e organizzativa dell’offerta di prodotti e servizi che tutti offriamo al mercato per giustificare la continuità al nostro reddito personale (con l’adeguamento professionale), familiare (con la revisione dei ruoli e delle priorità dei consumi) o aziendale (con l’adeguamento dei prodotti offerti alle variazioni del contesto).

Il mondo dell’economia cura in sequenza logica e gerarchica ma strettamente connessa due aspetti la produzione e il consumo dei beni e dei servizi prodotti. In un mercato libero esiste una costante crescita di competizione tra produttori che ha l’accertato beneficio di ridurre i prezzi e di aumentare il benessere sia con una più diffusa fruizione dei beni e servizi sia con una maggiore redistribuzione del reddito prodotto. Conservare la competitività del sistema produttivo è quindi non soltanto una priorità dettata dalla logica che collega produzione e consumo ma anche una priorità imposta dal costante rischio di fallimento del sistema produttivo ai vari livelli in questione. Esistono due criteri che ispirano le politiche economiche il criterio che agisce sulla domanda dei consumi per aumentare il flusso di cassa verso le aziende che possono così curare l’innovazione delle loro tecnologie e organizzazione produttiva e il criterio che agisce sull’offerta di beni e servizi che siano più competitivi sul mercato per evitare che la domanda preferisca di rivolgersi a produttori esteri o per accelerare l’adesione di consumatori esteri all’offerta di beni e servizi nazionali. In entrambi i casi il ruolo produttivo dello stato è nullo o solamente passivo. Esso sottrae fiscalmente risorse preziose per modificare la domanda (Keynes) o per rilanciare l’offerta (Reaganomics). Inoltre l’aumento di trattenute fiscali da parte dello stato, ritardando la crescita del prodotto interno lordo, si traduce in minori introiti in quanto conduce a ritagliarsi fette percentualmente maggiori di torte di dimensioni complessive più piccole di quanto non potrebbero essere. Come suggerisce il “buon senso” dei nonni il 100% di zero è zero e che “se non produci non mangi” rispetto al “senso comune” della demagogia che vorrebbe suggerire il miracoloso “regala dei pesci, così i pescatori potranno ricevere i mezzi per produrre”. Keynes come Marx hanno suggerito una chiave di rilettura innovativa e provocatoria del sistema globale della storia e dell’economia nessuno dei due ha avuto conferme sul piano storico della validità delle loro idee qualora si traducessero in applicazioni pratiche. Marx ha ricevuto la sua sconfitta eclatante ma si continua invece a nominare Keynes come colui che salvò gli USA dopo il crollo del ’29 grazie alle politiche “keynesiane” del più fesso e autoritario dei Roosevelt. Ciò è storicamente una menzogna che gradualmente sta emergendo non ostante la “soppressione” delle evidenze storiche ormai datate dagli anni quaranta! Le politiche di FDR non rilanciarono l’economia ma ne ritardarono il recupero già avviato prima della sua prima elezione con proposte demagogiche e irresponsabili. Fu solo l’ingresso degli USA nel secondo conflitto mondiale (estorto da FDR in modo criminale con l’episodio di Pearl Harbor ma salutare per l’economia industriale) a rilanciare la produzione assorbendo per la prima volta nella storia americana (dopo il travaso massiccio dei negri dalle piantagioni del Sud alle miniere e ferriere del Nord) manovalanza femminile travasata dal lavoro domestico alle fabbriche con tassi di valore aggiunto di intervento dalla parte dell’offerta di beni innovativi e di quelli tradizionali. Tasso di valore aggiunto di misura incomparabile rispetto a qualsiasi tipo di intervento che si potesse concentrare su interventi a-debito dalla parte della domanda di beni tradizionali che potesse originare dalle abitudini dei consumi prevalenti nella società di allora.

Il mondo dell’economia dice che, se si vuol migliorare il reddito dei prestatori d’opera conviene agire sulle  industrie che, crescendo in volume di produzione, dovranno aumentare gli addetti e potranno retribuirli meglio. In questo impegno, lo stato deve comunque sempre ridurre l’ammontare di risorse che sottrae per via fiscale al mercato del risparmio, dell’investimento e del consumo.

Henry Ford nel 1929 scriveva sul New York Times: “quasi tutto in questo paese ha prezzi troppo alti.  L’unica cosa che dovrebbe costare molto in questo paese è l’uomo che lavora. Le paghe non devono scendere e non devono neanche restare al livello attuale; esse devono crescere. Ed anche ciò non sarebbe sufficiente di per se. Ci dobbiamo impegnare che gli aumenti salariali non vengano sottratti alla gente tramite aumento di prezzi che non corrispondano a maggiori contenuti di valore”. L’industriale anche avido ma non stupido deve prendere in debita considerazione la adesione al sistema di produzione-vendita-risparmio di tutti senza lasciare disoccupati che non possano partecipare al meccanismo e aumentando il reddito degli occupati che possano consumare o risparmiare ed investire in misura sempre maggiore. I demagoghi privilegiati e non produttori non partecipando con responsabilità diretta al meccanismo industriale sono altrettanto stupidi ed avidi ma inoltre indipendenti nel reddito personale dal pieno impiego o dai margini di reddito individuale che sia libero dall’avidità fiscale dello stato a spese del quale essi percepiscono un reddito immotivato.

Lo stato non è mai la soluzione, lo stato è IL problema.

Il mondo della politica infine frammenta le nostre reazioni alle scelte tecniche che ci vengono illustrate solo come audience passiva e le scelte di rappresentanza che ci coinvolgono in un ruolo attivo solo raramente e senza poterci essere preparati a valutare la credibilità e la coerenza dei programmi proposti dai candidati in ruolo politicamente passivo (che, in occasione delle competizioni elettorali, hanno il ruolo di “venditori di istanze politiche”).

Ciò che potrebbe assicurare una maggiore consapevolezza nelle nostre scelte quotidiane e occasionali ed una loro maggiore coerenza con le periodiche scelte elettorali, sarebbe una maggiore conoscenza degli aspetti tecnici senza la quale qualsiasi proposta di rappresentanza politica resta una pericolosa “cambiale in bianco” in quanto incontrollabile a posteriori e non valutabile rispetto alle altre a priori. Questa missione di crescita della conoscenza avviene sia tramite la scolarità tradizionale, sia tramite i media, sia tramite l’esperienza di vita che addolcisce la spigolosità delle più insofferenti ambizioni traducendole in sagge aspettative che siano più coerenti con la complessità del contesto e con i rischi derivanti da insostenibili accelerazioni.

Il tema centrale in ogni società complessa è quindi quello della “divulgazione” delle conoscenze tecniche che debbono porre l’elettore-produttore-consumatore-risparmiatore nelle condizioni di commisurare le sue scelte ed i suoi comportamenti alle ripercussioni che esse hanno sui meccanismi tecnici che regolano i corretti funzionamenti dei meccanismi in cui è organizzata la produzione del reddito lordo nazionale.

Qualora esistesse un mondo della divulgazione che, in continuità e responsabilità istituzionale dalla scuola secondaria, all’università, riuscisse ad adempiere al compito di informare in modo schematico ma corretto il consumatore sui meccanismi e sulle loro complesse interrelazioni, anche il mercato della politica sarebbe responsabilizzato e costretto a competere sulla base di proposte incentrate sull’assunzione di diverse scelte, priorità, pesi e gerarchie di obiettivi tutte correlate a diverse assunzioni di oneri, comportamenti, priorità e responsabilità verificabili. In altri termini anche il mondo della politica risulterebbe essere quello che è, cioè un settore “tecnico” il cui scopo è quello di agevolare la crescita del benessere a spese della crescita di oneri e perderebbe quindi la sua attuale aura di difensore degli oppressi contro l’avidità, la corruzione e la disonestà degli sfruttatori. Una posizione duale che talvolta cercano improvvidamente di assumere anche i partiti politici dal tempo del “partito della bistecca” di Tedeschi, al “partito degli onesti” dei Di Pietro oggi. Con la poco credibile e facilmente smentibile ipotesi che noi siamo buoni e loro sono i cattivi; chi non è con noi è contro di noi onesti e quindi deve essere rieducato.

Anche in politica perderebbero il loro posto personaggi che oggi sono al vertice solo in quanto possono trovare credito elettorale le offerte più incredibili e demagogiche.

Questo è il vero problema per cui in Italia non riuscirà a passare alcuna riforma istituzionale che avrebbe come risultato non tanto il calo di deputati e senatori ma soprattutto il filtraggio dei professionisti che oggi sono i falliti delle loro professioni (o non ne hanno neanche una) mentre domani dovrebbero essere in grado di sintetizzare aspetti altamente critici e complessi dei meccanismi produttivi per indicare le modifiche di comportamenti necessari e compatibili col recupero della competitività tra il sistema industria-paese in Italia e i rispettivi sistemi dei paesi cui siamo direttamente collegati grazie al mercato globale.