14/05/2010

Nuovo Ordine Globale e Speculazione

La recente riunione tra i responsabili dei sistemi “industria-paese” nazionali dell’euro-zona ha avviato il processo di adesione del mondo europeo all’emergente governance globale.

Infatti dopo gli accordi in fieri sul piano istituzionale ma già in corso sul piano dei comportamenti politici in sede G2 occorreva definire in modo altrettanto informale una linea di comportamenti politici cui dovrà aderire in futuro ogni paese europeo indipendentemente dalla sua attuale partecipazione all’euro-zona o al suo passato ruolo nel contesto del sistema industriale più antico e frammentato ma complessivamente più influente sugli scambi mondiali per il suo complessivo livello di prodotto lordo, per la dimensione del suo mercato di consumatori, per la sua eccellenza culturale e per la sua influenza tra mondo industrializzato e aree in via di sviluppo.

L’accordo assunto ha rivelato l’impossibilità di giungere ad una integrazione politica tra i paesi europei. Ciò avrebbe significato l’accettazione di una gerarchia di diversi pesi sottoposta all’inevitabile leadership del duo Francia-Germania ma che avrebbe altrettanto inevitabilmente significato la perdita del Regno Unito e dei Paesi non ancora nell’euro-zona.

L’accordo è stato tuttavia sufficiente per disinnescare ogni timore che sarebbe sopravvissuto in merito alla diversità di rischi che corrono gli investimenti finanziari tra le diverse aree in cui è ripartita l’economia mondiale che mentre è già globalizzata sul piano industriale manca ancora di una credibile e prevedibile governance. Il perdurare dell’indecifrabilità della, seppur futura, governance avrebbe costretto i detentori di capitali a proseguire nel loro impegno di sfruttamento dei diversi margini di rischio e di opportunità offerte a trasferimenti di capitali fondati sulla pura previsione di rendita nel breve termine. La “speculazione” che può speculare solo sulla previsione di comportamenti “imprevedibili” dei sistemi di governance di sistemi industria-paese scoordinati tra loro pur essendo intimamente coinvolti in un processo produttivo globale.

L’accordo invece è stato assunto grazie alla mediazione di un paese (l’Italia) che è rappresentativo di molti altri non interessati a creare un’area intermedia tra USA e Cina sotto la guida del duo Francia-Germania pur essendo interessati a conservare l’adesione alla libertà di scambi industriali che non escludesse quelli con gli USA, quelli con l’Asia ma che rispettasse le diversità dei sistemi industria-paese interne all’Europa.

L’adesione infatti è avvenuta sulle linee di una strategia di governance della crisi nazionale della Grecia che costituirà immediatamente una rassicurazione capace di disinnescare i comportamenti “speculativi” e, per il futuro, costituisce un informale processo di governance in sede G20; ovverossia con la partecipazione degli USA alla stabilizzazione delle crisi congiunturali riverberate dalla globalizzazione sulla economia della Regione Europa. Infatti la partecipazione alla governance della Grecia è stata estesa al FMI invece di creare a ritmi accelerati un analogo Fondo Monetario Europeo ristretto ai soli paesi dell’euro-zona. L’accordo è stato sollecitato dagli USA che hanno partecipato tramite il loro peso nel FMI. L’accordo è stato costruito su una linea di risanamento che “responsabilizza” i singoli paesi che vi ricorressero con l’adesione a comportamenti virtuosi di bilancio statale; come sosteneva la Germania molto recalcitrante e che invece la Francia riteneva lesivo delle autonomie nazionali e delle politiche dell’euro-zona su cui essa sperava di poter accelerare la costruzione d’un’unità politica dell’UE. L’accordo ha visto anche l’adesione del Regno Unito che, rassicurato dalla partecipazione degli USA e dalla sconfitta dell’UE a guida del duo continentale, benché rappresentato da un governo nazionale ormai incaricato della pura “ordinaria amministrazione”, ha voluto manifestare il gradimento della soluzione (informalmente nell’ambito G20) che sarà apprezzata anche dal nuovo governo del Regno Unito (che sarà certamente più euroscettico di quello passato).

Ora abbiamo un accordo che disinnesca la “speculazione” e quindi stabilizza i mercati, che apre l’Europa a scambi più armonici con l’area-dollaro e coi mercati delle commodities e valutari che vi si riferiscono, che non esclude dallo sviluppo di scambi più stabilizzati gli USA, che costringe ogni paese in crisi congiunturale (anche estraneo all’euro-zona grazie alla partecipazione del FMI) che volesse realmente accelerare la sua partecipazione all’economia globale a ricevere sostegni utili ma impegnarsi ad aderire a politiche di bilancio che siano compatibili con gli interessi della governance globale nello spirito di una competizione di libero mercato.

Indipendentemente dalle considerazioni opportunistiche dettate dalla dialettica politica più partigiana si può dire che l’accordo imposto dalla serietà tedesca nella gestione del bilancio ha definitivamente estinto ogni ipotesi di costituire una unità politica soprannazionale capace di gestire l’UE come “terzo polo” tra i due blocchi protagonisti della negoziazione in corso tra Cina e USA (il G2). L’accordo ha stabilito inoltre una adesione di tipo confederale degli stati Europei a un processo di assimilazione ed armonizzazione industriale che permette una gradualità di sviluppo dei singoli sistemi industria-stato dei molti paesi aderenti. Una gradualità che si traduce in concreto in tre fasce informali di livelli di adesione: l’accettazione dei vincoli dettati dalla moneta unica; l’accettazione dei sostegni finanziari e di controlli che consentano ai paesi in maggiore difficoltà di sottoporsi a controlli soprannazionali per agevolarne il progressivo accostamento ai paesi più stabili ed entrare eventualmente nella moneta unica coi relativi vincoli comunitari, l’accettazione di nuovi paesi caratterizzati da minore compatibilità economica ma agevolati a partecipare all’area di libero scambio con l’UE senza necessariamente volervi aderire pienamente (Russia, Turchia, Egitto, Israele, etc.). Questo approccio rende possibile anche al Regno Unito di aderire alla moneta unica in quanto non pretende di preordinare l’unione politica a quella industriale, che potrà consolidare gradualmente e sotto il controllo delle singole sovranità nazionali, il raggiungimento di un’armonizzazione finanziaria tale da rendere inutile la conservazione di diversità valutarie. Una volta armonizzata l’economia industriale e quella valutaria, si potrà valutare quali spazi delle sovranità nazionali potrebbero essere più efficacemente devoluti a istituzioni soprannazionali passando da una confederazione di stati sovrani a una unione di stati federati.

Con questo approccio non dovrebbero più prevalere posizioni conflittuali tra l’UE e il duo USA/UK in temi di politica estera e di interventi NATO. Conflittualità che hanno spesso creato differenze di decisioni anche all’interno dell’UE. Questa diminuzione dei rischi di conflittualità diplomatica e militare favoriscono anche il processo di armonizzazione tra i comparti d’industria più strategici del sistema USA/UK e dei singoli paesi dell’UE. Per l’Italia questa scelta è altamente redditizia come dimostra la cooperazione in materia di sistemi militari, aeronautici, energetici e spaziali che ci hanno già visto distinguere la nostra politica industriale da quella francese e tedesca.

Le prospettive sono drasticamente migliorate per tutti i singoli paesi aderenti e affiancati all’UE, per la solidità e credibilità della tenuta del sistema complessivo industria-paese dell’UE anche se in assenza di una vera unità politica istituzionale costruita artificiosamente e a ritmi accelerati privi di adeguato consenso elettorale, per la riduzione di spazi alla speculazione di breve termine, per la riduzione di concorrenza tra USA e UE derivante da pure oscillazioni del cambio $/€ che non riflettano effettive differenze di efficienza dei due sistemi industria-paese.

È un successo politico internazionale raccolto dal cavalier Berlusconi che gli potrebbe preparare in futuro la elezione alla presidenza dell’UE con una autorevolezza personale che potrebbe arricchire quella ancora flebile delle istituzioni comunitarie.