13/01/2011

Generalizzazione: premessa necessaria per valutazioni politiche

Occorre rimuovere una delle maggiori banalità introdotte nel ‘senso comune’ dalla cultura del ‘politically correct’ nel dibattito di temi di interesse politico; che cioè non si ‘debba fare d’ogni erba un fascio’.

Mentre sul piano delle relazioni private e in quelle giurisdizionali il concetto fa parte integrante del ‘buon senso’ che guida l’applicazione delle leggi a casi che non possono essere che ‘individuali’ e le scelte di fiducia al grado di affinità (l’intensità di ‘Wahlverwandschaft’) che ciascuno riscontra in piena libertà decisionale nei singoli soggetti con cui entra in relazione ‘hic et nunc’, lo stesso concetto non è applicabile sul piano del dibattito politico (legislativo, esecutivo ma anche nell’adesione volontaria a circoli culturalmente ‘settari’).

La ragione dell’assoluta inadeguatezza del concetto imposto al ‘senso comune’ di non poter classificare tra ‘noi’ e ‘loro’ e quindi di non poter strutturare la discussione dei temi di un diffuso interesse pubblico sulla suddivisione in ‘gruppi sociali’ viene strumentalmente localizzata nell’uguaglianza di diritti stabilita da ogni costituzione liberale come principio ispiratore e legittimante il ruolo delle istituzioni.

L’esistenza di quel concetto ispiratore non può tradursi in obbligo applicativo indipendente dalla sua pratica fattibilità né dalle conseguenze che ne potrebbero discendere. In politica, la prudenza e la gradualità devono rendere credibile il raggiungimento di un grado di parità di diritti che, se adottata in assoluto, risulterebbe puramente utopica. Chiunque non riesca a definire con chiarezza la distinzione tra ‘loro’ e ‘noi’, non può arrogarsi il diritto di ‘rappresentare’ politicamente gli interessi di alcuna ‘parte’ per negoziarne le aspettative la stessa base della convivenza politica e delle regole della liberal-democrazia si fonda sulla chiara definizione delle opposte esigenze che giustificano il negoziare accordi progressivi e mediazioni decisionali a nome dei diversi ‘gruppi sociali’ la cui caratterizzazione ‘statistica’ deve essere chiara – pur accettando che, al loro interno, possano esistere soggetti eterodossi in proporzione statisticamente minoritaria.

Senza basi di dati statistici aggiornati costantemente, la politica scade in pura speculazione filosofica come è sempre avvenuto a ‘giustificazione’ delle teo-crazie (dalle ‘reducciones’ paraguayane agli ayatollah odierni) e dei totalitarismi ‘scientisti’ (dal ‘giacobinismo’ di Robespierre al ‘socialismo’scientifico’ di Karl, il primo dei sei fratelli Marx). Il ‘compromesso’ è l’anima della politica che si serve di carote e bastoni per raggiungere eque mediazioni tra aspettative di segno opposto che si contendono linee di azione cui necessitano risorse sempre inadeguate a soddisfare la loro elencazione completa per essere ‘incarnate’ nella realtà sociale. Creare i ‘tabù’ di valori astratti ed assoluti sostituisce alla ‘politica’ la sterile dialettica accademica oppure scatena le più sterili e violente rivendicazioni il cui costo si traduce sempre nel peggioramento della qualità di vita dei ‘loro’ (la più diseredata ‘manovalanza’ rivoluzionaria) a beneficio dei ‘noi’ (i più ‘illuminati’ Philippe Egalité in grado di ‘guidare le masse’ verso orizzonti luminosi – che restano sempre all’orizzonte).

L’altro concetto che viene assunto strumentalmente e demagogicamente dal ‘senso comune’ per escludere la classificazione in ‘gruppi sociali’ dei singoli soggetti è quello della ghettizzazione ‘razzista’ che discenderebbe dall’etichettare gli individui grazie a caratteristiche che essi presentano rispetto agli esistenti gruppi.

La classificazione nei gruppi discende da rilevazioni di riconosciuti comportamenti ed aspettative contingenti che identificano singoli gruppi sociali. Ciò non vieta a singoli appartenenti a quel gruppo sociale di aderire a comportamenti diversi ed affini a quelli di altri gruppi ma, statisticamente, consente di poter affermare che le peculiarità di ogni distinto gruppo sociale risiedano nei comportamenti ‘preferenzialmente’ rilevati presso i soggetti che lo compongono.

Solamente dopo avere potuto classificare i tipi di comportamento e di aspettative presenti in distinti gruppi sociali si possono studiare soluzioni tecnologiche e normative che agevolino i vari gruppi a partecipare con concrete pari opportunità alla vita economica, sociale e politica della società civile.

Tra quelle soluzioni ne figureranno talune che aiutino a superare specifiche difficoltà incontrate ad un inserimento, altre che disincentivino comportamenti considerati incompatibili con la cultura liberal-democratica (già prevalente o auspicata in maggioranza), altre infine che puniscano comportamenti lesivi del bene comune (e conservate non ostante il divieto) e accompagnino la sanzione con misure di ‘educazione civile’ in carcere.

Senza una adeguata classificazione dell’incidenza dei disagi, successi e fallimenti presente nei gruppi più vari non possono essere studiati rimedi che mirino ad adattare i vecchi programmi di prevenzione, di formazione e di sostegno alle esigenze dei gruppi meno abili o più esposti per renderli più idonei a sostenere la competizione sul mercato.

È uno dei criteri fondativi della ripartizione della popolazione in gruppi per livello di IQ dopo avere scoperto che tra i gruppi più affetti dall’inadeguatezza dei programmi educativi figura proprio quello dei più ‘dotati’.

Riconoscere che il tasso di criminalità affligge diversamente i gruppi che convivono in una società, aiuta a studiare diversi approcci di sostegni personalizzati ai diversi profili di comportamento umano e culturale che caratterizza i gruppi stessi.

Se in una società si rileva che certi crimini sono commessi dagli appartenenti a specifici gruppi culturali si può indagare meglio sulle ragioni che spingono i membri di quella comunità a trasgredire laddove altri gruppi culturali di analoghe condizioni sociali ed economiche invece risultano più ottemperanti alle regole.

Affermare che i ‘rom’ siano uguali ai ‘filippini’ sul piano umano e legale non è errato ma non aiuta a capire per quale ragione i furti, la prostituzione e lo sfruttamento dei bambini con l’accattonaggio risultino troppo statisticamente frequenti tra i primi rispetto ai secondi.

Le statistiche sostengono il ‘buon senso’ accumulato sulla base di esperienze occasionali. Ci si dovrebbe chiedere per quali ragioni si preferirebbe affidare le chiavi della propria casa o incaricare dei servizi domestici un ‘filippino’ meglio che non un ‘rom’. Certamente ciascuno potrebbe trovarsi a conoscere ‘quel’ singolo ‘rom’ che dimostra un’assoluta correttezza di comportamenti o un singolo ‘filippino’ che si mostri invece propenso a comportamenti scorretti, tuttavia, dovendo condurre una ricerca di personale in modo astratto con avvisi commerciali sul giornale locale, nessuno darebbe pari ‘pregiudiziali’ preferenze alla risposta di un ‘rom’ rispetto a quella di un ‘filippino’. Non si tratta di ‘razzismo’ ma di prudenza fondata sull’esperienza statistica che, purtroppo, ‘a causa di pochi, affligge tutti gli appartenenti ad un gruppo’ (tanto più se i ‘pochi’ non risultino statisticamente così inferiori ai ‘pochi’ di altri gruppi nella competizione).

Se un politico dovesse proporre leggi che imponessero un’indiscriminata assegnazione obbligata di personale domestico a seguito di richieste di personale solleverebbe reazioni di giustificata impopolarità. Ciascuno è libero di assumere decisioni contrarie al ‘buon senso’ statisticamente sostenuto per aderire a suo rischio a scelte aderenti ad un ‘senso comune’ fondato sul solo ‘politically correct’ utopico ed astratto, ciò che non è consentito è obbligare altri ad addossarsi il rischio del senso comune ‘politically correct’ ope legis.

Riconoscere che il profilo umano e intellettivo del sesso femminile risulta diverso da quello maschile non è in contraddizione col fatto che occasionalmente si individuino soggetti maschili caratterizzati da profili di tipo ‘femminile’, né può essere considerato un elemento per trarre conclusioni che classifichino il sesso maschile ‘migliore-peggiore’ di quello femminile; se si rilevassero diverse prestazioni in specifiche discipline, la distinzione potrebbe consentire di scoprire che i programmi educativi in quelle specifiche discipline, che in passato sono stati studiati per popolazioni statisticamente ‘maschili’, non sono altrettanto adatti ad educare i soggetti ‘femminili’ e che, quindi, devono essere riveduti ed adeguati alle diverse aspettative e modalità che i soggetti ‘femminili’ pongono relativamente ai processi dell’apprendimento.

Si tratta della premessa necessaria per migliorare i programmi educativi sulla base di conoscenze maggiori e descritte con criterio ‘scientifico’.

Ciò è elementare da comprendersi, ma la demagogia suggerisce di non accettare quest’approccio ‘scientifico’ a sostegno della scienza politica per affidare i propri dibattiti all’emozionalità ispirata da visioni dottrinarie di religioni secolari o trascendenti; una pura ispirazione all’utopia filosofica di stampo bizantino, teocratico.

Vietare la classificazione ‘statistica’ degli eventi e dei parametri sociali di rilevanza in gruppi identificabili non aiuta la chiarezza e comunicabilità diffusa delle negoziazioni, dei compromessi, dei costi e dei benefici in cui si incarna la governance di ogni sistema industria-istituzioni.