12/12/2009

Governance demagogica o liberale?

Stiamo assistendo a un vero e proprio “assalto alla diligenza” della governance globale prima ancora che essa abbia assunto lineamenti istituzionali definiti e stabili.

I demagoghi politici più astuti e lungimiranti sanno che, qualsiasi saranno le istituzioni cui verrà affidato il compito di governare la stabilità sistemica nel corso della crescita dell’economia industriale globalizzata e del suo consolidarsi nelle società di nuova industrializzazione, occorrerà poi definire le proposte alternative sui criteri che dovranno guidare le politiche della governance.

Quelle politiche si ispireranno inevitabilmente a due classici ed opposti criteri del liberismo o a quello del dirigismo e programmazione dello sviluppo.

Per raccogliere le risorse necessarie a programmare interventi di “solidarietà” su base globale occorrerà che esse possano almeno inizialmente essere raccolte fiscalmente nei Paesi più industrializzati (il Nord). Infatti in quei Paesi esiste non solo un reddito più elevato ma soprattutto un’efficiente organizzazione degli stati cui poter affidare la raccolta interna e il coordinamento della redistribuzione delle risorse a sostegno del finanziamento dei programmi meno remunerativi ma più importanti per dare credibilità alle politiche di dirigismo assistenziale.

D’altronde è al Nord che esiste un’efficiente e ben coordinata stampa internazionale che, oltre ad avere la capacità professionale di “addomesticare” l’opinione pubblica dei contribuenti potenziali, è anche da tempo immemore a sua volta “addomesticata” a propagandare le scelte delle elite di governo top-down assertive ai gruppi di potere industriale più capaci di sviluppare efficaci azioni di lobbying presso i parlamenti e gli organismi associativi già nutriti clientelarmente e parassitariamente dalla programmazione dirigista della crescita industriale interna ai vecchi Stati Nazione. Si tratta delle stesse elite corporative che l’attuale fase di globalizzazione dell’economia industriale ha maggiormente colpito negli interessi di “casta”.

Per creare adeguato consenso ed accettazione dei sacrifici fiscali che alimenteranno questa linea politica di governance dirigista dello sviluppo mondiale occorre che si realizzi una convergenza di azione tra i media e i leader politici più affini agli interessi dei gruppi industriali oligopolisti. Le azioni di questi due gruppi di protagonisti devono riuscire a sollecitare dosi adeguate di timore nei confronti delle novità cui lo scenario globalizzato esporrebbe le singole realtà “locali”. I vari argomenti di terrorismo mediatico che ci vediamo propinare con abbondanza negli ultimi tempi fanno tutti parte di questa strategia mirante ad assicurarsi le giuste “pole positions” in attesa che, definiti i lineamenti e le procedure della governance, la politica dia avvio al teatrino mirante a contendere porzioni succulente di “appropriazione” delle risorse fiscali del Nord.

Ogni tipo di terrorismo demagogico è buona allo scopo. Esse non potranno mai essere smentite in quanto solo ipotizzate da scenari di fantapolitica sostenuti da una stampa scandalistica e para-scientifica cui da credibilità la firma occasionale di “menti sottili” organiche al disegno illiberale. Qualora poi i programmi di prevenzione varati in grazia di questo consenso rapinato a suon di terrorismo ideologico non dessero frutti adeguati alle aspettative, si potrà sempre dire che: “immaginatevi cosa sarebbe successo in assenza della nostra azione preventiva!”. È la tradizionale strategia vincente fondata sull’ipse dixit degli esperti che “sanno cosa sia bene per l’uomo della strada”.

Abbiamo così assistito a vere campagne di epidemie prossime venture (dall’influenza aviaria a quella suina) di aumenti inarrestabili del prezzo del petrolio, di “crisi finanziarie” peggiori di quella del 1929, di esodi di massa di orde di affamati, infetti e violenti derelitti dai Paesi in perenne carestia, di crescente e inarrestabile terrorismo animato dai derelitti senza nulla da perdere, di global warming man-made imposto come verità scientifica e difeso dalle opinioni di pochi “negazionisti”. Per questo fine si sono mobilitate le lobby più radical-chic de-sinistra che hanno condotto all’attribuzione di due Nobel per la Pace a due esponenti salvifici e messianici della sinistra dirigista, Al Gore ed Obama Barack (mettendo quest’ultimo – più giovane e quindi meno disposto a danneggiare la propria credibilità e carriera futura – nelle condizioni di dire. “mi sento lusingato ma ritengo prematuro premiarmi come un Mandela o un Martin Luther King solo perché sono stato eletto Presidente degli USA anti-talebano”). Quella strategia è stata anche corredata dall’attribuzione ad Al Gore di un Oscar per il documentario che diffondeva su base globale lo studio delle Nazioni Unite che sosteneva quella menzogna totalmente a-scientifica e demagogica (come infatti è emerso dalla fuga delle e-mail truffaldine – una sorta di scoperta che anche gli “scienziati” possono essere tentati di corruzione e sono anch’essi “presi con le dita nel barattolo della marmellata”).

Occorre che l’opinione pubblica dei Paesi più industrializzati sappia essere ottimista e restare convinta delle grandi occasioni che la globalizzazione garantisce alle economie locali e al tessuto più dinamico e competitivo delle medie aziende a carattere familiare. Forti di questa solida opportunità futura, la opinione pubblica locale deve sapersi arroccare attorno ai leader politici meno demagogici, ideologizzati e dirigisti per sostenere iniziative pragmatiche fondate sulla responsabilità propria e dei partner “locali” che esistono anche nei Paesi in via di industrializzazione e i cui interessi risultano saldamente ancorati alla crescita del benessere locale in piena reciprocità.

Le politiche della governance dovranno allora adeguarsi e “servire” le esigenze concrete e credibili nate dalle scelte industriali più diversificate e diffuse sui mercati globali anziché essere asservite alle richieste dei soliti noti che preferiscono far pagare il prezzo delle loro scelte alla più ampia base fiscale ad a trattenere per sé la parte meno a-rischio dei benefici derivanti dai programmi finanziati dallo stato e dal para-stato.

Non è più tempo per affidare ai sinedri i rischi e le opportunità che ci offre il futuro globalizzato! È meglio controllare stretto i Bossi e i Berlusconi piuttosto che affidarci alle “illuminate” menti sottili che non sono neanche state capaci di “prevedere”: globalizzazione, carattere congiunturale della crisi che essa avrebbe indotto, intensità e durata della “crisi” stessa, maggiore efficacia del “laissez faire” alla Tremonti rispetto ai programmi interventisti e dirigisti “de sinistra” alla Obama o quelli protezionisti alla Sarkozy o alla Angela Merkel e che stanno preparando a Obama un futuro nero a meno che non si affidi ai criteri di politiche “conservatrici” che dovrebbero accettare il “fallimento” anche delle banche “too big to fail”. Intanto ci sarebbe sempre qualche banca più sana (vedi la Bank America fondata come Bank of Italy da Giannini a San Francisco!) che potrebbe assorbirne i correntisti (stakeholders) lasciando che gli azionisti (shareholders) invece falliscano (magari suicidandosi come avvenne nella crisi del 1929! Sono i rischi intrinseci alla scelta errata degli investimenti proprietari!).