12/11/2009

Geopolitica e Fatti

 

La geopolitica è una scienza multidisciplinare che tratta sistemi complessi in cui l’uomo, con le sue capacità di adattamento al nuovo, costituisce l’elemento di cui non è possibile rappresentare i comportamenti con modelli di carattere “prescrittivo” ma solamente “qualitativo” per ciò che concerne la prevedibilità.

Non è quindi possibile costruire una modellistica degli scenari geopolitici diversa da quella che viene adottata in tutte le discipline che studiano sistemi caotici in equilibrio critico come descritto da Ilya Prigogine. Si tratta di una matematica definita “qualitativa” per contrappunto alle tradizionali matematiche “quantitative” applicabili ai più semplici sistemi fisici e ingegneristici. Renè Thom e Per Bak hanno sviluppato degli esempi illustri di queste teorie matematiche come indicato nella bibliografia. Ciò che domina nel determinare i comportamenti dei sistemi in cui l’elemento umano predomina è la psicologia sia dei singoli che quella che manifestano gli aggregati sociali.

Gli scenari geopolitici e le loro dinamiche sono il gioco meno scientifico tra quelli che in genere vengono usati dai politici per accaparrarsi l’attenzione della pubblica opinione e per guadagnarsene il consenso a sostegno di loro linee strategiche di governo.

È un gioco multidisciplinare che quindi si presta in modo facile sia alla mistificazione degli “ipse dixit” scientifici, sia al wishful thinking ideologico ed alla demagogia più illiberale per cercare di contrastare l’inevitabile sviluppo dell’autonomia del mercato industriale.

Questo rischio è sempre sterile in quanto, prima o poi, le ragioni intrinseche al potenziale di crescita del sistema industriale travolgono ogni paradigma che ne intralci le aspettative di sviluppo.

Si è sempre trattato di tentativi che si sono ridotti a pure fasi di rallentamento dei processi dello sviluppo e sempre a spese di una fiscalità illiberale imposta nel tentativo di conservare privilegi ormai puramente parassitari.

Ciò che invece condiziona l’evoluzione dello scenario geo-politico, sono dei “fatti” che non è possibile falsificare. Fatti tra i quali figurano elementi proattivi (gli uomini) al fianco di altri reattivi (le strutture – o istituzioni private e pubbliche) che hanno a loro disposizione altri elementi (le “tecnologie”) che consentono, con le soluzioni alternative che esse consentono di progettare, di mediare dagli assetti e interessi economici e sociali di oggi a quelli futuri lungo l’arco della transizione recando il minimo di attriti interni al sistema, che corrispondono al più conveniente possibile rapporto tra costi e benefici portati dall’innovazione in piena coerenza con la storia del progresso della civiltà ‘Occidentale’. Ogni scelta infatti che introduca nel gioco geopolitico della negoziazione, resistenze o accelerazioni ideologiche, è destinata a fallire ed a costituire una fonte di attriti esogena al sistema produttivo e causa quindi di inutili sprechi aggiuntivi di risorse. Quindi di temporanei rallentamenti nella crescita del progresso civile.

In ogni epoca gli elementi proattivi (gli uomini) sono motivati a produrre ispirati da due criteri di peso e di priorità reciproca molto diversi: il più dominante è la “avidità”, quello mitigatore è la “coscienza”. Entrambi liberamente valutati, scelti e rispettati da ogni individuo. Il primo è attivo in ogni istante per l’ambizione a livelli sempre maggiori di benessere che obbliga tutti a flussi di cassa sempre maggiori. E corrisponde al piano produttivo e professionale della vita industriale.

Il secondo è attivo in modo sporadico solo nelle occasioni in cui la coscienza riesce a influenzare i comportamenti futuri dei singoli agendo tramite i loro “sensi di colpa”. Questo è il piano etico e morale della vita religiosa.

In ogni epoca inoltre gli elementi reattivi (gli istituti) sono motivati ad agire per assicurare continuità al corso dei cambiamenti imposti dal contesto ambientale e si ispirano a due criteri di peso molto diverso nella dinamica che caratterizza gli istituti privati rispetto ai pubblici (che spesso sono di stato): la conservazione del proprio potere “nel” sistema e la espansione del proprio potere “sui” nuovi sistemi (mercati). Criteri entrambi commisurati alle aspettative nutrite dal mercato e alle proprie capacità competitive. Gli istituti privati risultano i più dinamici ed innovativi e condizionano quindi i pubblici ad adeguarsi alle aspettative emergenti. Hanno quindi sempre un ruolo di traino verso un progresso civile e non-ideologico.

In ogni epoca, infine, gli elementi passivi (le tecnologie) consentono agli istituti di progettare in modi alternativi flessibili soluzioni diverse per guadagnarsi sul campo il consenso necessario per legittimare e conseguire i propri fini. La scelta tra le soluzioni alternative possibili per dare soddisfazione alle aspettative emergenti sul mercato (cioè nel sistema sociale in crescita) avviene tramite una negoziazione (lobbying) che travolge gradualmente i vecchi confini geografici e sociali della legittimità giuridica e giurisdizionale rendendo inevitabilmente obsolete, quindi, le vecchie istituzioni pubbliche che, pur potenzialmente prevalenti nella conservazione, per non perdere la propriaa legittimità politica, sono obbligate ad adeguarsi al progresso che è condizionato da un mercato di confini sempre più vasti. Ogni resistenza al progresso si traduce in tutela di privilegi passati ed in negazione di aspettative future.

Le istituzioni private sono quelle che riescono a soddisfare le avidità individuali e, così facendo, a produrre la crescita del reddito complessivo del sistema sociale coinvolto.

Le istituzioni pubbliche sono quelle che “educano” gli individui a moderare le proprie avidità assumendo tipi di comportamento più compassionevoli verso i meno dotati.

Tra le istituzioni pubbliche figurano quelle statali che possono imporre ope legis e manu militari l’adesione a comportamenti di solidarietà con strumenti fiscali e altri anche più coercitivi e illiberali e figurano quelle religiose che si limitano ad un’opera di “conversione” dei fedeli su comportamenti compassionevoli contribuendo a “carità” erogate con partecipazioni “missionarie”.

Oggigiorno i protagonisti del cambiamento degli assetti della futura governance nello scenario geopolitico globale sono caratterizzati da diversissimi gradi di credibilità sia nel ruolo da loro svolto attualmente che nel loro calo o crescita tendenziale di credibilità.

La Chiesa di Roma sembra, tra le istituzioni religiose, quella più credibile come punto di riferimento di criteri etici nelle scelte di tutti i Paesi (anche di quelli islamici) nella prospettiva dei prossimi cinquant’anni. Altre istituzioni religiose le si potranno forse affiancare ma in posizione gregaria quale “faro morale” per l’umanità a legittimazione delle scelte politiche.

I gruppi industriali multinazionali, d’altronde, hanno ormai consolidato l’irreversibile globalizzazione e forse potranno trasferire le loro sedi legali in Paesi di maggiore convenienza ma non dovranno modificare le strategie di sviluppo economico che hanno innescato per pure ragioni di fattibilità tecnologica, di convenienza finanziaria e di maturazione delle aspettative presso un mercato globale di produttori e di consumatori. Le loro capacità di lobby sono ormai esterne a tutti i vecchi Stati Nazione ma sono pragmatiche e flessibili.

Le istituzioni statali sono ormai impotenti ad opporsi alla globalizzazione e sono quindi costrette a negoziare il proprio ruolo nella governance del futuro scenario geo-politico.

Ciò ci conduce a dover identificare, tra quelli odierni, quali siano credibili tra i protagonisti del domani.

L’Asia (Cina e India/Pakistan) per il loro numero di consumatori e produttori, sono destinati a restare uno dei principali interlocutori anche domani per l’Occidente (USA, UE, Commonwealth, Giappone) che, per le sue capacità di innovazione del know how scientifico e tecnologico, sarà destinato a restare a lungo il loro partner privilegiato e insostituibile..

Le aree intermedie a quei due grandi blocchi che sono caratterizzate da popolazioni e livelli industriali secondari come livello e tasso di crescita (Russia, Sud America, Africa) sono destinati a scegliersi ruoli secondari nell’ambito di uno dei precedenti o a restarne fuori nel ruolo di fornitori di materie prime concentrandosi sullo sviluppo interno protetto politicamente.

Una volta ridotto lo scenario geopolitico ai pochi interlocutori dotati di “credibilità” (Vaticano, Occidente, Asia), occorre però riflettere sui loro livelli, trend e stabilità future.

Il livello di solidità dell’Occidente (USA, Commonwealth, UE) e la sua stabilità politica futura sembrano nutrano grande credibilità per i prossimi cinquant’anni (come la credibilità e stabilità della Chiesa di Roma).

L’Asia vede due interlocutori tra loro incompatibili dal giorno della divisione di quel subcontinente in India e Pakistan che potranno forse negoziare nuove dinamiche relazionali entro ruoli di peso diverso all’interno di quel gruppo per negoziare con la Cina forme accettabili di protagonismo politico che la Cina non ha interesse di agevolare. Queste negoziazioni e interferenze sono già in corso in quella regione geopolitica e permette una verifica relativa alla stabilità politica interna ai tre Stati Nazione coinvolti e alla stabilità nelle loro mutue relazioni. È poco credibile che India e Pakistan riescano a stabilire un’unica strategia politica regionale e sono troppo fragili di fronte a destabilizzazioni indotte dall’esterno dalla Cina. La Cina presenta tassi di sviluppo interno che le imporranno fasi lunghe e drammatiche di destabilizzazione istituzionale e di riassestamento degli equilibri tra poteri sociali interni e diversità etniche e culturali molto diverse. Ciò rende la Cina poco credibile in quanto a stabilità politica entro archi temporali comparabili a quel cinquantennio che è invece garantito ai suoi interlocutori attuali Occidentali. Il suo ruolo potenziale nel lungo termine le impone tipi di iniziative internazionali sostenibili rispetto alle risorse che le saranno necessarie per conservare una stabilità politica. Mentre il suo ruolo di lungo termine le è garantito dalla massa del suo mercato interno e dalla stabilità dei suoi interlocutori Occidentali, dovrà negoziare una gradualità delle sue ambizioni future sia sul piano globale che su quello regionale in Asia. Queste sue ambizioni legittimate dalla massa dei consumatori potranno risultare critiche per colpa delle diverse fasi di instabilità e di carenza delle risorse necessarie a sostenerne il peso per cinquant’anni almeno. Nel corso dei prossimi cinquant’anni insomma gli unici stabili e credibili negoziatori del Nuovo Ordine Globale saranno gli Stati Occidentali pur interessati ad aiutare l’Asia a trovare una sua nuova stabilità nello sviluppo industriale e negli assetti politici sia interni alla regione che nei confronti del resto del mondo.