12/05/2011

Globalizzazione: promozione di bilanci virtuosi

La globalizzazione industriale costringe le vecchie corporazioni degli Stati Nazione a abbandonare i privilegi loro garantiti dalle istituzioni gestite in stili di governance top-down legittimati a ‘programmare lo sviluppo industriale’ alla luce del ‘welfare state’ bismarckiano e obiettivi ridistributivi del reddito prodotto.

Una governance autoritaria, dirigista e inevitabilmente oligarchica, illiberale, anti-democratica e lesiva del senso di responsabilità individuale su cui si fonda sia la stabilità del regime liberal-democratico, sia quella di ‘libero mercato’; fondamento dell’efficienza e competitività del sistema produttivo del capitalismo-liberista. Contrariamente alle obiezioni opposte dalle corporazioni ‘conservatrici’ colle loro resistenze ‘reazionarie’ al progresso generato dalla globalizzazione industriale, tutti possono riscontrare gli effetti positivi che questo processo rivoluzionario ed incontrollato (libero) di estensione delle dimensioni di produzioni e consumi oltre ogni vecchio confine geopolitico dell’epoca degli Stati Nazione ha generato non solo in termini di crescita del livello di benessere globale ma anche in termini di crescita delle libertà individuali e d’imposizione di livelli di maggiore rigore nella gestione dei bilanci sia privati che statali.

Tutto ciò è imposto alle vecchie istituzioni della governance dall’egemone protagonismo che le esigenze della crescita industriale impongono sulla redditività delle risorse finanziarie.

Le risorse finanziarie (non inflazionate) disponibili prima della globalizzazione hanno alimentato processi industriali altamente competitivi su un mercato che trascende ogni capacità di controllo da parte delle vecchie istituzioni nazionali e soprannazionali con le loro procedure protezioniste e ‘regolatorie’ di interessi ormai obsoleti. Una forma di emulazione del libero mercato assolutamente più vicina al reale di quanto non sia mai stato sperimentato nella storia ‘Occidentale’. Disponibilità di tecnologie, disponibilità di manodopera e di consumatori, capacità di abbattimento dei costi unitari, disponibilità di trasferimento di materie prime e risorse finanziarie, assenza pressoché totale di oligarchie ‘regolatorie’, assenza altrettanto totale di capacità protezioniste a tutela di presunti interessi ‘nazionali’ e creatività efficace della speculazione finanziaria ad agevolare il libero travaso del risparmio oltre ogni confine nazionale, comparto industriale o livello del rapporto rischio/ritorno.

L’investimento delle vecchie risorse disponibili sullo sviluppo di un mercato di produzione e consumi di una dimensione enorme rispetto ai vecchi standard geopolitici ha reso le risorse sempre meno adeguate a soddisfare tutte le nuove opportunità d’investimento. La scarsità delle risorse ha reso altamente competitivo l’impegno di appropriarsene. Ciò ha condotto a formulare proposte molto creative di remunerazione dei capitali per competere sulla capacità di appropriarsi di ammontare necessari alle più diverse esigenze di finanziamento.

La speculazione finanziaria ha svolto un ruolo egemone in questo processo di raccolta e travaso delle risorse che il risparmio pone a disposizione degli investimenti; soprattutto grazie al carattere pressoché ‘libero’ del mercato globale e grazie alla rodata creatività del comparto finanziario in assenza di vincoli conservatori dei vecchi ‘regolatori’ istituzionali.

L’efficiente competizione nell’appropriazione del risparmio ha reso disponibili le risorse sul mercato globale in cui si contendevano le risorse operatori caratterizzati da gradi molto diversi di solvibilità e di livello di ‘credito’ industriale. Gli investimenti industriali potenzialmente più redditizi presentano spesso livelli non ancora ben valutabili di rischio da parte dei risparmiatori. Gli investimenti meno produttivi devono offrire quindi livelli di remunerazione elevati per riuscire a competere nella lotta per l’appropriazione.

Questa mutua rincorsa tra operatori ad alimentare le proprie esigenze finanziarie sul mercato globale ha spinto tutti ad assumere nel breve termine comportamenti idonei a soddisfare le proprie esigenze senza poter agire sulla revisione strutturale dei propri processi interni. Ciò ha generato una serie di immediate adesioni alle offerte più rischiose di collocazione delle proprie scarse risorse sperando di moltiplicarne il valore e quindi l’adeguatezza rispetto alle proprie esigenze. Anche lo stato è ricorso a questi comportamenti di tipo ‘speculativo’ con il collocamento delle sue risorse in titoli a alti rischi e remunerazioni (hedge funds), o a proporre ai risparmiatori titoli ‘garantiti’ (bond argentini, greci, portoghesi) da sistemi statali incapaci di mantenere le promesse, oppure ancora ad investire la propria valuta nazionale in titoli esteri caratterizzati da alti livelli di remunerazione (Cina, UK, Germania, Francia su titoli di banche irlandesi, islandesi, greche, USA). Ciò ha condotto tutte le vecchie ed obsolete istituzioni degli Stati Nazione ad impastoiare i propri interessi finanziari nell’unico sistema finanziario globale dalla cui stabilizzazione dipende ora ogni speranza di consolidare una nuova governance soprannazionale che possa raccogliere consenso politico globale.

Soprattutto questa prima fase di ricorso ai nuovi servizi finanziari offerti alle aspettative ‘speculative’ degli operatori pubblici e privati si è tradotta in una sottrazione di risorse dai meno capaci di valutarne l’utilità (alla luce di un’attenta osservazione – questo il senso di speculazione) nella prospettiva di collocazione del proprio risparmio al sicuro ‘in attesa’ di migliori occasioni riservate dall’avanzare della globalizzazione alle proprie capacità operative e di preparasi a saperle cogliere nel momento debito. Quelle risorse finanziarie, sottratte agli apparati meno competitivi sul mercato (enti pubblici, aziende monopoliste, oligopoli protetti) sono state rese fruibili a beneficio di iniziative più redditizie delle loro intraprese da apparati più competitivi che osavano affrontare gli elevati, spesso inesplorati, rischi del nuovo mercato globale. Oggi conviene a tutti gli operatori pubblici e privati di ridurre al meglio possibile ogni tipo di ‘rischio politico’ che cioè derivi dal persistente tentativo delle lobby corporative dei morenti inefficienti e parassitari apparati pubblici e privati di ‘resistere, resistere, resistere’ all’avvento di un nuovo più redditizio e remunerativo anche se fonte di temporanei disagi ‘congiunturali’.

Terminata la prima fase di impiego ‘acefalo’ dei servizi offerti dalla ‘speculazione finanziaria’ si sono ottenuti tre risultati positivi: gli apparati meno competitivi sono in via di chiusura o acquisizione da parte di altri più idonei alle mutate condizioni ambientali (in un vero e proprio ‘darwinismo liberista’ – cfr. Fiat-Chrysler); gli apparati non cedibili né estintisi sono stati costretti ad avviare grandi riforme strutturali per rendersi compatibili coi bilanci interni (stati, aziende familiari, associazioni volontariali); gli operatori del comparto finanziario soprannazionale hanno dovuto migliorare le proprie capacità di ‘speculazione’ sulle effettive connotazioni del sistema globale alla luce delle reazioni da essi osservate alle originarie offerte (con una revisione delle stime di rischio/solvibilità dei singoli operatori industriali – pubblici o privati). Ciò ha condotto all’odierno stato delle cose alle soglie di un’inevitabile convergenza di tutti gli operatori attorno ad un unico obiettivo; disinnescare il rischio di destabilizzazione finanziaria del sistema industriale globale.

Attorno a questo obiettivo primario e condiviso oggi tutti i vecchi Stati Nazione convergono per modificare le vecchie istituzioni, criteri e procedure di governance soprannazionale.

Il crollo del dollaro coinvolgerebbe la stabilità del sistema industria-stato cinese le cui riserve sono in dollari e così avviene per il ‘salvataggio’ dei sistemi nazionali greco, portoghese, irlandese, islandese o spagnolo in UE senza il quale crollerebbe la stabilità dei sistemi più ‘creditori’ rispetto ad essi (Germania, Francia, UK). Altri sistemi (meno competitivi inizialmente) si sono indebitati molto meno sul mercato globale e possono ricevere minori ripercussioni negative dall’eventuale crollo di quei sistemi; ma sono talmente legati nei loro interessi produttivi agli stessi da risultarne comunque coinvolti in analogo seppure diverso grado.

Dopo la prima fase di stordimento istituzionale di fronte al prepotente e travolgente processo della crescita industriale globale, i nodi sono lentamente venuti al pettine ed ora il risparmio ha maturato una maggiore sensibilità di fronte alle offerte di collocamento delle risorse disponibili. Ciò ha affinato l’offerta di prodotti finanziari escludendo quelli caratterizzati da contenuti meno valutabili e riducendo i margini di redditività a livelli più coerenti con l’effettiva capacità dei singoli sistemi produttivi di garantirne il rispetto.

Questo processo sta avvenendo in modo assolutamente ‘libero’ con offerte distribuite su un mercato che è ancora altrettanto ‘libero’ da oppressive ed opportunistiche ‘regolamentazioni’ istituzionali.

La speculazione finanziaria offre opportunità di collocare il risparmio in ruoli di ‘attesa’ (materie prime e beni rifugio) ai più prudenti e lungimiranti operatori pubblici e privati interessati a finanziare la crescita e innovazione industriale (miniere di terre rare, giacimenti di idrocarburi, piantagioni di prodotti rurali, etc.) ma offre anche titoli mobiliari di operatori privati e pubblici i cui livelli di ‘credito’ vengono valutati con più cura e rigore.

La variazione nell’attribuzione di ‘credito’ ha costretto gli operatori in ogni comparto d’industria a cercare di recuperare la propria ‘credibilità’ agendo sulla riorganizzazione strutturale dei propri processi interni. Ciò che l’operatore fosse lo stato o i gruppi industriali; pena l’estinguersi di possibilità di approvvigionamento di risparmio sul mercato. Né la raccolta forzata di nuovo risparmio via fiscale, né via monopolista sono più possibili proprio grazie all’abbattimento di confini e privilegi più parassitari imposto dalla globalizzazione.

Come si vede, al graduale ma inesorabile, passare del tempo la globalizzazione consolida i suoi processi sul mercato soprannazionale in modo ancora ‘libero’ da opportunismi delle corporazioni conservatrici e riesce a costringere tutti gli operatori ad aderire a gestioni meno irresponsabili rispettando l’equilibrio dei bilanci con uscite che siano superiori alle entrate; in ogni comparto, stato o gruppo o azienda che sia.

Insomma si può riscontrare come il ‘laissez faire’ più prepotente e ‘libero’ riesca non solo a produrre una crescita senza precedenti di benessere ma, tramite la altrettanto ‘libera’ speculazione finanziaria, riesca ad indurre in tutti gli operatori (anche i più tradizionalmente monopolisti e finanziariamente irresponsabili) una gestione ‘virtuosa’ dei bilanci.

È il ‘miracolo’ conseguito dalla gestione del capitalismo-liberista in un realmente libero mercato che, pur ispirata dalla corsa competitiva all’avida appropriazione delle risorse de della loro redditività, si traduce in un assetto globale virtuoso di ottimizzazione delle risorse a beneficio della massimizzazione della crescita del benessere economico ovunque e per tutti.