11/02/2011

L’Italia nel contesto della globalizzazione

La globalizzazione industriale sta procedendo a ritmi quotidiani e costringe il mondo industriale di ogni paese a pretendere dalle istituzioni nazionali di competenza cambiamenti legislativi e organizzativi che agevolino la competitività del sistema stato-industria nazionale nel mercato globale.

Tutti i paesi sono costretti a questa revisione istituzionale, qualcuno reagisce più tempestivamente grazie al suo peso industriale che gli assegna un ruolo primario (Cina, USA) nella conduzione del processo economico nella sua estensione oltre i vecchi confini geo-politici, altri paesi privi delle risorse necessarie a svolgere ruoli di comprimari ma ambiziosi di ricavarsi spazi di egemonia in ambiti ‘regionali’ (Germania, Russia, India) si organizzano per adeguare le proprie istituzioni alle emergenti opportunità di inserimento dell’economia nazionale nella competizione globale tramite consolidamento di relazioni gerarchicamente collegate con il paese-guida più adeguato a negoziare ruoli da protagonisti. Infine i paesi meno industrializzati e più poveri si organizzano per agevolare che i partner più sviluppati privilegino di investire sul loro territorio risorse e produzioni accettando di partecipare allo sviluppo in ruoli da gregari come un’insostituibile opportunità di crescita del prodotto nazionale e del benessere interno.

Mentre tutti i paesi stanno quindi accelerando l’adeguamento delle istituzioni dei propri Stati Nazione per poter cogliere al meglio e per primi le opportunità offerte dalla internazionalizzazione industriale, l’Italia si è rinchiusa in uno sterile gioco di patetica resistenza contro il cambiamento delle sue istituzioni politiche ed amministrative. Questa stasi è stata organizzata attorno ad una farsa mediatica che pretende che dapprima si dia soluzione ad un’impasse filosofica nella tipica tradizione dialettica retorica bizantineggiante; ‘ripulire l’arena politica da protagonisti che sono presunti come indegni di vincere e guidare il cambiamento’.

Il gioco si è avviato con l’ostracismo a Bettino Craxi che aveva osato di attentare ad una carta costituzionale nata sterile e ottocentesca nella sua prima parte, mai pienamente applicata nella seconda parte, malamente e variamente interpretata sul piano giurisdizionale e, da ormai oltre trent’anni assolutamente inadeguata non solo rispetto alle esigenze esogene imposte dalla globalizzazione ma perfino rispetto alle stesse opportunità offerte dalle nuove tecnologie per alimentare la crescita industriale e del reddito nazionale.

Si è cercato di organizzare la ‘resistenza’ creando la visione di ‘intoccabilità’ della costituzione repubblicana, (una costituzione che, d’altronde, non è mai stata sottoposta alla verifica di legittimità tramite referendum approvativo a suffragio universale) e dietro questo ‘tabù’ si sono arroccate le ‘ridotte’ di ogni corporazione e di ogni ideologia ottocentesca.

La ‘prima parte’ della costituzione (che stabilisce i grandi principi filosofici che ne hanno legittimato la negoziazione) è ‘interpretabile’ in modo equivoco in quanto la negoziazione della sua stesura è stata frutto di tre parti politiche tra loro incompatibili; la marxista che si ispirava a una dottrina ottocentesca (e che la Storia ha condannato dapprima alla condanna come regime illiberale ed, in seguito, al ludibrio nel 1989), la ‘para-fascista’ (che si ispirava all’altrettanto illiberale dottrina sociale ‘dirigista’ di etica cristiana e strumenti keynesiani di ‘programmazione dei redditi’ dall’alto), la liberale che era rappresentata da pochi intellettuali e priva di ogni altro sostegno se non quello proveniente dagli USA che, col ‘piano Marshall’, alimentavano la ricostruzione industriale e, coi sindacati e i consulenti della Casa Bianca, cercavano di indirizzare le nuove istituzioni repubblicane (CISL, UIL, Confindustria, etc.) istituzioni ancora affollate da protagonisti abituati al protezionismo, allo statalismo ed al corporativismo più oligarchico dell’economia industriale. Tra i molti esponenti che si ispiravano al protezionismo corporativo figuravano Valletta, Costa e Mattei, invece tra i pochi esponenti del mondo intellettuale più ‘moderno’ figuravano Einaudi ed Ossola mentre tra i molti altri di questo ininfluente gruppo figuravano De Gasperi e La Malfa; il primo avviò il ‘miracolo economico’ ma fu costantemente contrastato nelle sue politiche dal blocco marxista e dal suo stesso partito popolato da intellettuali corporativi e ‘para-fascisti’ (Fanfani, Dossetti, La Pira, Moro), il secondo riuscì a garantire col suo partito un accettabile ‘spirito liberale’ nelle relazioni con la finanza mondiale ottenendo il monopolio dei dicasteri del tesoro e delle finanze (i più importanti per quelle relazioni internazionali) accettando la contro-partita di conservare il partito a dimensioni ridotte e ispirato da un’ideologia liberale ma ottocentesca che gli avrebbe permesso di aderire in politica nazionale a programmi politici sia molto liberisti che keynesiani ed accettabili dai referenti esteri.

La ‘seconda parte’ della costituzione (mai legittimata da referendum approvativo a suffragio universale) è dedicata ad indicare le linee della struttura e delle finalità delle istituzioni statali. Questa parte conservò sul piano narrativo le stesse istituzioni vigenti in epoca fascista e regime corporativo sostituendo lo strapotere del ‘partito unico’ (il PNF di mussoliniana obbedienza) con l’altrettanto illiberale strapotere dei fondatori (l’’arco costituzionale’) garantito dall’assenza di personalità giuridica sia ai partiti che ai sindacati; i ‘partiti’ per consentire la loro illiberale ‘alimentazione finanziaria’ dalle due potenze che si contendevano l’egemonia sullo scenario europeo della guerra fredda, i ‘sindacati’ per giustificare l’altrettanto illiberale cancellazione del ‘potere esecutivo’ dal processo di ‘governo del paese’ avocando al ‘potere legislativo’ quel ruolo ottenuto ‘concertando’ le scelte condivise sia dai partiti che dai sindacati (datoriali e prestatoriali) – il ‘gioco para-fascista’ era realizzato dietro la veste mimetica della costituzione repubblicana antifascista!

Infatti non fu più urgente istituire su piano operativo la Camera dei Fasci e delle Corporazioni (pur cooptata nella costituzione scritta alla voce CNEL) in quanto il parlamento era stato convertito in sterile sede delle decisioni di pubblico interesse assunte in sedi private e insindacabili perfino dal ‘potere giurisdizionale’.

Abbiamo visto sfiorire il ‘miracolo economico’ nello spirito para-fascista di questa costituzione e abbiamo assistito al graduale decadimento della competitività industriali italiana sui mercati esteri conservando un accettabile consenso politico interno a spese di un debito nazionale di dimensioni terzo-mondiste finché il crollo del muro di Berlino ha scatenato il processo della globalizzazione industriale che ha obliterato ogni potere reale delle vecchie istituzioni degli Stati Nazione – non solo di quelle italiane.

La ‘seconda liberazione’ è stata finalmente portata agli italiani – nuovamente dagli USA sede del capitalismo liberista. Dovremmo erigere monumenti e intitolare piazze a ‘Wall Street’ dopo avere dimenticato di erigere monumenti ai marines morti in Italia o intitolare piazze al Generale Marshall e al Presidente Truman – si sono viste invece abominevoli piazze intitolate all’Unione Sovietica, a Stalin, a Lenin ed al Che Guevara!

Oggi siamo giunti al punto in cui una coalizione reazionaria di ‘masochisti perdenti’ garantisce un ‘narciso vincente’ (Berlusconi) di immarcescibilità politica in quanto costretta a ispirare le sue battaglie dietro l’astio ‘personale’ che non può essere condivisa come ‘categoria politica’ dall’elettorato meno ‘ideologicizzato’.

L’astio viene letto dall’elettorato italiano più comune (quello interessato ai derby del calcio) come dettato da invidia sociale o dal rancore degli sconfitti e quell’elettorato legge le lotte politiche condotte da quegli astiosi (‘rosiconi’) contro le proposte governative come suggerite da ‘conservazione di privilegi’, nella migliore delle ipotesi, o, nella peggiore, come invidia di quegli stessi astiosi (‘gufanti’) per i successi costanti del ‘narciso’. Garantendogli il ‘mito dell’invincibilità’.

Tutto ciò per bloccare la riforma formale e concordata delle istituzioni ormai obsolete e inapplicate che la realtà della competizione globale imporrebbe per aiutare il sistema industria-stato italiano a crescere in spirito di libero mercato proprio del capitalismo-liberista imperante nella civiltà ‘Occidentale’.

Al passare del tempo inoltre la coalizione dei ‘masochisti perdenti’ vede ridursi gradualmente il consenso nazionale dei giovani (che non si sindacalizzano) e delle PMI (che non si sono mai legate alle corporazioni) e del ceto medio professionale (concentrato sulle economie ‘locali’ in cui cresce il consenso per la Lega Nord e il ‘federalismo’ (o la ‘secessione’ una volta consolidatasi l’Unione Europea).

Ciò mentre i grandi gruppi industriali italiani o sono già insediati altrove (Pirelli) o sono autonomi (ENI) da sempre o in via di ‘delocalizzazione’ graduale e accelerata fino al recente caso Fiat in cui Marchionne ha potuto smontare una delle più reazionarie istituzioni (FIOM-CGIL) per, eventualmente, trasferire negli USA la sede direzionale (HeadQuarters) del gruppo metalmeccanico!

Oltre ad essere ‘masochisti’, ‘gufanti’, ‘invidiosi’ e ‘perdenti’ sembra che i superstiti del mito para-fascista della costituzione repubblicana siano anche afflitti da miopia politica (o imbecillità mentale – nel senso più etimologico di ‘imbecillis’ o ‘in-baculum’ ovverossia debole nelle proprie ginocchia e quindi necessitante di appoggio ad un bastone (baculum) che, in questo caso, sarebbe l’astio verso il ‘narciso vincente’).

Mi sembra che l’Italia politica  e ‘legale’ stia dando dimostrazione all’Italia ‘reale’ di uno spettacolo nella più genuina tradizione della farsa atellana, ben prima della dignità rivestita dal teatro di Tespi e teatro popolare di cui Fo è odierno rappresentante insignito giustamente del premio Nobel. L’Italia ‘reale’ è sempre ben viva e si limita a ‘sopportare’ l’Italia legale … com’è sempre avvenuto dalla caduta dell’Impero globale di Roma.