11/02/2010

Costituzione del 1948: stimolo o intralcio al progresso civile?

L’unico periodo storico in cui lo stato in Italia ha costruito e consolidato in modo diffuso le sue istituzioni e strutture amministrative garantendo risultati percepibili e di efficacia duratura nei decenni, è stato il periodo in cui l’esecutivo prevaleva sugli altri poteri istituzionali costituzionali.

In quel periodo, oltre a costruire la rete tecnologica infrastrutturale e le istituzioni statali che hanno garantito la governance del sistema industriale nazionale in ogni epoca successiva e in tutti i comparti d’industria, si è consolidata una diffusa fiducia e credibilità dei cittadini nei confronti dello stato. Quel prevalente potere istituzionale ha obnubilato per un ventennio in gran parte l’efficiacia del sistema di check & balances che caratterizza i regimi liberal-democratici ed ha gradualmente istituzionalizzato un autoritarismo dell’esecutivo che nei regimi liberal-democratici è accettato solo in periodi di emergenza sotto forma di quella particolare “magistratura” che è la “dittatura a termine”.

Il ventennio si è concluso con un travagliato percorso che, avviato da un meccanismo liberal-democratico di sfiducia nell’esecutivo e della conseguente consegna delle dimissioni nelle mani del capo dello stato da parte del primo ministro di allora, si è poi dovuto sviluppare in periodo bellico con vicissitudini politicamente poco lineari che ha visto l’Italia passare in modi goffi dallo stato di alleato di ferro, al non-belligerante, a quello di Paese “occupato”, a quello di co-belligerante (ma traumatizzato internamente da una drammatica guerra civile) protraendosi fino al successivo rinascere di una sovranità limitata che fu imposto all’Italia da quegli eventi e soprattutto dall’incipiente consolidarsi della guerra fredda.

La costituzione del 1948, per l’incertezza sulla collocazione geopolitica del Paese tra i due blocchi (neutralità, NATO, Patto di Varsavia) e per reazione “illiberale” al timore di un riproporsi dello strapotere dell’esecutivo, ha sottratto ogni efficace capacità decisionale all’esecutivo imponendo che le decisioni politiche venissero assunte dal legislativo e sottoposte a una gerarchia di veti e controlli spinta all’eccesso e al di fuori di ogni prassi istituzionale liberal-democratica. Ciò unitamente alla limitata sovranità nazionale del Paese, ha fatto maturare delle prassi extra-istituzionali consolidatesi a surrogato della definizione legislativa degli organi che erano previsti dalla costituzione stessa ma che sono stati applicati solo formalmente con grande ritardo o non sono perfino mai stati applicati. Il consociativismo e il “compromesso storico” sono frutto di quella mancata applicazione di una costituzione che, formalmente erudita, è gradualmente scaduta nella più totale obsolescenza per due motivi. Il primo è la caduta del muro di Berlino che ha concluso la guerra fredda e il periodo di sovranità limitata del Paese. L’altro è il graduale avvento di un’economia industriale globalizzata che ha reso gradualmente obsolete le governance gestibili nel solo ambito dei vecchi Stati Nazione e che offre un contesto di aspettative e di opportunità di sviluppo che nulla hanno a che fare con le istituzioni studiate a tavolino dalle “menti sottili” che contribuirono alla stesura della costituzione del 1948 (quella nata dalla guerra di resistenza e mitizzata ancor oggi dai dibattiti che vogliano essere accettati come “politically correct”).

L’assenza di efficienza degli esecutivi e la totale inadeguatezza del legislativo a supplire la rapidità e organicità del suo carattere di “decisionismo”, hanno condotto al graduale logoramento di ogni istituto statale solido al tempo fascista ma inadeguato a servire le nuove esigenze del Paese Reale. Il logoramento e l’inefficienza istituzionale ha visto il nascere e il consolidarsi di prassi privatistiche (spesso “illegali”) che in sussidiarietà “liberale” dello stato inadempiente hanno fornito servizio al Paese Reale (finanziate spesso da elusione e evasione di una fiscalità famelica alla ricerca di bilanciare un debito e un deficit cronici). In quasi ogni comparto produttivo si è consolidata la prassi del prevalere del “privato” sullo stato. Dalle Radio-TV alla posta, alle ferrovie, alle strade, all’energia, alle banche, alle linee aeree. Il logoramento dello stato e delle sue competenze operative hanno logorato anche tutte le infrastrutture e lo stesso territorio lasciato a se stesso senza cura per la manutenzione/sostituzione necessaria per conservare efficienza funzionale a ogni sistema operativo complesso. Il logoramento di infrastrutture ha creato un diffuso stato di “emergenza” nel Paese. Dalle scuole, agli ospedali, alla viabilità, alle ferrovie ogni anno si evidenzia l’assoluta necessità di provvedere con celerità ed efficienza a interventi massicci in rinnovo della rete infrastrutturale. Impegni tipici degli esecutivi che vengono però resi “illegali” o inefficienti dalla rete di “diritti di veto” imposti dalla legislazione “consociativa” e dai controlli formali di una giustizia guidata dal criterio della prevalenza del legislativo e della sudditanza dell’esecutivo. Nelle situazioni di emergenza dettate da eventi naturali o da catastrofi industriali l’esecutivo deve intervenire con rapidità eludendo i troppi vincoli “legali” e si trova costretto a istituire organismi dotati di poteri “disomogenei” con i principi costituzionali (ma indispensabili per garantire efficacia agli interventi operativi).

È evidente che, la permanenza in vigore (pur solamente formale) di una costituzione vecchia e inadeguata a soddisfare le aspettative sociali ed economiche odierne, pone in stato di “illegale” ogni iniziativa istituzionale che cerchi di ristabilire efficienza al sistema Italia ed a garantire efficacia nell’esecuzione delle spese di bilancio. Ciò indipendentemente dal colore e convinzione ideologica dei governi e delle maggioranze parlamentari. Per uscire da questa situazione di drammatica “impasse” resa ancora più nociva per il Paese dalla travolgente globalizzazione e dalla sua nuova collocazione geopolitica internazionale, occorre uscire dall’ipocrisia di “intangibilità” della costituzione del 1948.

Oggi in Italia quella costituzione costituisce solamente un “intralcio” al progresso civile, industriale e sociale del Paese. Oggi gli eletti al parlamento (indipendentemente dalla loro ideologia politica) devono definire i criteri di una nuova costituzione che risultino invece di “stimolo” e di “sostegno” alle risorse che il Paese Reale sta prodigando da decenni in supplenza di una “politica” che è restata ancora ancorata alla guerra civile, guerra di liberazione, lotta partigiana, guerra fredda o qualsiasi altra fantasiosa denominazione possa essere studiata per conservare un “mito nocivo”.
Le guerre contro Cartagine sono ormai finite così come quelle per conquistarsi uno “spazio vitale”. La giustizia facendo il suo mestiere non fa altro che evidenziare ed esaltare la situazione di intollerabile crisi. Anche nello stesso interesse del giurisdizionale occorre superare la costituzione del 1948 adottandone una che separi le due funzioni, ne limiti lo strapotere e potenzi quello dell’esecutivo consentendo che anche in Italia le risorse sottratte dallo stato al contribuente diano evidenza del loro efficace impiego per recuperare credibilità allo stato e consenso politico alla liberal-democrazia.