10/12/2010

2011: anno delle celebrazioni
Nel 2011 dovremmo celebrare il 2764 dalla fondazione di Roma e quindi della civiltà ‘Occidentale’, o il 1535 dal crollo dell’Impero Romano (la prima versione della globalizzazione) e nascita degli Stati Nazionex o il 22 della nascita della ‘globalizzazione’ (nuova era universale greco-romana-cristiana con l’inglese come nuovo ‘latino’) ma non sarebbe altrettanto ‘storico’ celebrare il 150 dell’istituzione dello Stato Nazione in Italia.
Infatti come è facile vedere dall’elenco frettolosamente raccolto e riportato in un documento separato della rubrica, l’Italia e la sua civiltà presenta una sicura continuità culturale simbolizzata da Roma e dalla lingua universale (il latino) che, al contrario delle altre nazioni, in Italia si è lentamente trasformato nella lingua ‘volgare’ dei molti dialetti provinciali senza perdere continuità ‘nazionale’ rispetto alla lingua madre. I ‘volgari’ delle altre nazioni, al crollo della ‘globalizzazione’ di Roma Imperiale, si sono affermati come ovvio elemento unificatore nazionale che, solo in qualche caso, ha conservato relazioni più o meno superficiali con la lingua della cultura universale.
in Italia il carattere nazionale non è  nato con lo Stato Nazione, nè la culltura italiana (come quella tedesca) ha coinciso con l’estesione territoriale dello stesso ma è nato e si è consolidato in riconosciuta continuità con quello ‘latino’ consolidandosi lentamente nei secoli dopo il crollo di Roma, nello stesso ambito geopolitico e prima ancora della deposizione di Romolo Augustolo. Il carattere di ‘Italia’ non è mai dipeso dall’esistenza nè dall’efficienza di uno Stato Nazione di pari denominazione. Parimente, il contributo alla governance e all’evoluzione della geopolitica soprannazionale delle singole ‘nazioni’ non è dipesa dalle iniziative siluppate dagli Stati Nazione che hanno condotto soprattutto iniziative belliche promosse da interessi mercantili, dapprima, industriali successivamente che sono sempre stati generati dalla evoluzione industriale indotta dal progresso scientifico e tecnologico con una circolazione di cultura soprannazionale in lingua latina fino a tutto il 1700. Una circolazione di cultura portata in particolare misura da soggetti italiani (e tedeschi) ‘al servizio’ dei mecenati ‘occasionalmente’ al vertice di potentati territoriali insediati nella penisola o al suo esterno con l’uso del latino o del volgare o di altro gergo a seconda del caso. Magari l’applicazione dell’innovazione tecnologica e sceintifica poteva avere un profittevole impiego bellico e non solo una gradevole applicazione artistica.
Anche in campo scientifico, tecnologico ed artistico l’egemonia delle varie ‘nazioni’ non è dipesa mai dall’esistenza di un corrispondente Stato Nazione. Italiane sono le soluzioni artistiche, architettoniche, commerciali o strumentali create da Firenze, Siena, Venezia, Genova e tedesca è stata l’egemonia, fino ad oggi, nell’industria pesante e di precisione indipendentemente dallo specifico principato che è stato solo la culla occasionale in cui la comune e peculiare cultura tedesca ha prodotto gradualmente un’egemonia sul mercato geopolitico dell’epoca al di la dei confini cha mai hanno coinciso con quelli della ‘nazione tedesca’.
L’unico ruolo svolto dagli Stati Nazione è stato quello di perseguire, sotto loro egemonia militare, una stabilità di mercato mercantile e industriale che spesso ha intralciato la crescita generale della nazione a beneficio di ristretti gruppi industriali tutelati da fiscalità e dogane protezioniste.
La stabilità alla circolazione soprannazionale delle idee, delle persone e dei beni e servizi un tempo garantita dall’entità soprannazionale dell’Impero è stata ostacolata spesso dall’esistenza stessa di uno Stato Nazione coi suoi protezionismi a privilegi di oligarchie corporative mentre non ha mai ostacolato la circolazione al di fuori dei ristretti confini ‘provinciali’ dei Principati che hanno continuato a costituire la realtà politica in Italia e in Germania fino alla metà del 1800.
Il costo dei tentativi degli Stati Nazione di stabilire un’egemonia ‘nazionale’ sul mercato geopolitico globale nelle varie epoche è solo stato di dissanguare gli stessi Stati Nazione senza ovviamente riuscire a conservare un’egemonia scientifica, tecnologica e industriale che continuava a nascere, a diffondersi ed integrarsi grazie a contributi ‘locali’; spesso di ‘nazionalità italiana o tedesca.
Il ‘merito’ dei conflitti per l’egemonia tra gli Stati Nazione è stato quello di imporre un avvicendamento della lingua nelle relazioni internazionali; il castigliano, il francese e l’inglese; senza poter sostituire il latino che è sempre restata la lingua egemone nelle scienze esatte e in quelle umane fino alla fine del 1700.
L’egemonia tedesca e italiana è sempre restata costante in tutto il periodo fino alla nascita anche in Italia e in Germania di Stati Nazione e resta ancora oggi egemone in epoca della globalizzazione; come testimoniano le molte soluzioni tecnologiche di chiara ‘marca’ italiana e tedesca. Fino a Fermi, Oppenheimer e Von Brown.
La letteratura e ogni altra forma di espressione del pensiero in Italia ha conservato costante continuità con la civiltà di Roma e le sue manifestazioni ‘dialettali’ sono sempre state ritenute ‘ovviamente’ espressione della cultura italiana. Anche dopo il crollo dell’unità politica al crollo dell’impero romano d’occidente, l’Italia è stata sede di un’unica produzione culturale che ha continuato a maturare le dotte elaborazioni delle oligarchie del sapere accademico per estendersi all’uso quotidiano nel privato dei dialetti da parte anche delle oligarchie nelle relazioni interne alle loro città.
Paradossalmente anche la nazione tedesca ha avvertito solo in data molto tardiva l’esigenza di costituire lo Stato Nazione. La nazione tedesca infatti, benché fosse dotata della lingua ‘volgare’ più aliena al latino (che era l’infrastruttura primaria d’uso universale nella prima versione storica della ‘globalizzazione’ - realizzata tramite imposizione delle istituzioni statali di Roma), aveva assunto il ruolo di garantire continuità storica all’Impero nel contesto geopolitico globale di allora con la costituzione del Sacro Romano Impero di Nazione Germanica che formalmente si dissolse nel 1806 con la contesa tra Napoleone e Imperatore sulla sovranità in Italia! Quell’eredità conservò alle molte ‘provincie’ di lingua tedesca la stessa sorte politica dell’Italia, una fertile e ricca messe culturale di stati autonomi (tutti ‘tedeschi’) che accettavano la legittimità della autorità imperiale ricoperta occasionalmente ma stabilmente da un protagonista di vario ‘casato’ (carolingio, ottone, salico, svevo o amburgo). L’unificazione della ‘nazione tedesca’ non fu mai necessaria e quando avvenne fu genesi di drammatici traumi in tutta Europa e nel mondo tra il 1866 e il 1945. L’unica esigenza che esigeva una unità amministrativa in ‘Germania’ era quella sollecitata dall’irreversibile industrializzazione il cui sviluppo sollecitava già allora l’abbattimento in tutta Europa di tutti i confini ‘nazionali’ eretti dagli Stati Nazione. Infatti la serie di guerre intestine che hanno dissanguato l’Europa non impedirono ai gruppi industriali (metallurgia, chimica, metalmeccanica, trasporti, energetica, etc.) e finanziario-assicurativi di fornire i loro servizi a ogni belligerante. Come è sempre stata tradizione in tutta l’epoca degli Stati Nazione.
Si è trattato della stessa esigenza imposta all’abbattimento dei confini degli Stati Nazione oggi dalla crescita industriale che ancora nel 1800 non aveva maturato il proprio potenziale ed esigenze di politica economica sulle basi di un’estensione del mercato soprannazionale globale come quella odierna che è maturata infatti solo dopo che l’epoca degli Stati Nazione è terminata nel sangue e nel fallimento delle ideologie che dava legittimità allo Stato Etico e alle sue provvidenze paternaliste dello Stato Sociale di bismarckiana memoria.
Sia gli italiani che gli stranieri hanno sempre percepito l’Italia come sede di un’unica cultura in continuità con quella di Roma Universale. Ciò rafforzato anche dalla Chiesa di Roma che ha conservato la lingua e la sede istituzionale delle origini.
La circolazione delle persone e delle idee ha continuato a privilegiare l’Italia rispetto alle altre nazioni. Infatti mentre le elite accademiche e professionali continuarono a usare il latino per produrre progresso scientifico nelle diverse discipline tecniche e umanistiche come in ogni altra nazione appartenente alla civiltà ‘Occidentale’, gli italiani – come illustra la letteratura e l’arte italiana – hanno continuato ad avere il privilegio unico di poter circolare sviluppando le loro professioni una volta adottati i dialetti in cui si frammentò ed arricchì l’’inglese’ di allora.
L’unità politica-istituzionale in Italia non divenne mai l’elemento unificante in quanto la nazione restò ‘unificata’ dalla comune cultura che, già ai tempi di Roma Imperiale era frammentata in amministrazioni cittadine e provinciali caratterizzate da forti autonomie. Roma agiva amministrativamente solo come una sorta di governo federale centrale che curava i servizi fondamentali come in tutto l’Impero. Le comunità locali restarono sempre dotate di grandi dosi di autonomia amministrativa come in ogni altra parte dell’Impero. Ciò sin dai tempi della graduale conquista dell’unità territoriale da parte di Roma. Le popolazioni sottomesse diventavano più una sorta di alleati che non soggetti politici analoghi alle ripartizioni amministrative francesi – ad esempio. L’unità di Italia era garantita dalla comune lingua latina nella vita quotidiana. I mari e le montagne aiutarono l’Italia a conservare questa peculiare unitarietà linguistica e culturale anche di fronte alle continue invasioni ‘barbare’ che di dimensioni ridotte e a dosi omeopatiche nel tempo, consentirono la completa assimilazione linguistica. Quella culturale fu agevolata anche dalla disparità tra la cultura dei residenti e quella degli invasori secondo il detto: ‘Graecia capta, ferum victorem coepit’.
Senza necessità di una unità amministrativa-istituzionale, con la comune lingua e cultura nazionale, con la continuità morale della Curia in Roma papale, l’Italia nei secoli ha prodotto cultura ricca di apporti peculiari della diversità ‘provinciale’ che si è consolidata e protratta nei secoli coi Comuni e con le Signorie. Mentre il resto dei territori ex-imperiali dovettero affannarsi a costruire una loro legittimità nazionale e ad imporne la diversità e la relativa superiorità rispetto alle nazioni circostanti che ne contendevano le ricchezze territoriali, l’Italia restò organizzata in ridotte molteplicità territoriali di dimensione provinciale federate tra loro in modo da conservare limitate autonomie locali senza temere eccessi di prevaricazione da parte dei vicini. Il Papa e la Curia conservarono una sorta di ruolo di agone politico in cui avvenivano i complotti e gli accordi di pseudo-stabilità tra poteri che ricevevano occasionalmente minacce solo dai sovrani esteri o dall’Imperatore di nazione germanica. L’unicità culturale e linguistica vigente in Italia aiutò a formare naturali alleanze attorno alla Chiesa di Roma dei comuni e dei principi che vivevano il loro comune interesse nazionale rispetto a invasori ormai incomprensibili coi loro gerghi nazionali – anche se ‘inquinati’ da forti dosi di latino (le nazioni ‘neo-latine’).
Gli Stati Nazione furono problema naturale per tutte le nazioni tranne che per quella italiana che non ne avvertì alcuna esigenza neanche nei più alti e sensibili pensatori. La consapevolezza della superiorità della istituzione Imperiale integrata da quella Ecclesiale era così forte che le menti più elette della nazione furono negli fosse) e il potere religioso rappresentato dal Successore di Pietro (di qualunque nazione egli fosse).
Nel frattempo la civiltà ‘Occidentale’ continuava ad avere il suo faro più creativo e fertile in Italia – come la breve e frettolosa rassegna di protagonisti della cultura ‘italiana’ dimostra. La cultura prodotta da questi protagonisti era italiana e l’Italia è sempre stata percepita la sede in cui quella univaììtaria cultura veniva prodotta. In modo indipendente dalla frammentazione geo-politica che ha caratterizzato l’Italia nei secoli.
Lo Stato Nazione in Italia non fu mai percepito come esigenza fino a tutto il risorgimento nel cui ambito infatti furono molte le voci di uan riounificazione amministrativa di carattere federale addirittura sotto il Pontefice – fatto che avrebbe contrastato con uno dei principi fondanti della civiltà ‘Occidentale’ la separazione tra ‘ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio’.
La riunificazione di centocinquant’anni fa è stata forse necessaria per garantire un sistema amministrativo centrale che fosse adeguato alle esigenze dell’industrializzazione del paese ormai in competizione sui mercati internazionali già all’inizio del 1800. Essa non ebbe alcun significato per la stragrande maggioranza delle comunità ‘locali’ che non percepirono dell’unificazione che aspetti marginali e non sempre benefici.
Oggi, al concludersi dell’era degli Stati Nazione conclamata dal successo della ‘globalizzazione’ industriale, ormai la governance proviene di nuovo dal contesto geopolitico soprannazionale (non ancora consolidato) costituito da un’unica lingua egemone e da un unico sistema industriale in cui circolano liberamente merci, individui e idee - in piena analogia con ciò che garantì a suo tempo Roma Imperiale. Dopo soli cento e cinquanta anni l’Italia (penultimo Stato Nazione di civiltà ‘Occidentale’; l’ultimo essendo Israele) ha chiuso la sua legittimità. Una legittimità mai realmente percepita dai cittadini (l’emigrazione è restata la scelta principale per le masse di diseredati e poer le elite professionali più ambiziose e restie di porsi al servizio di oligarchie nazionali sempre dominate da elite culturalmente mediocri) che infatti sono stati sempre i primi e più caldi sostenitori dell’abbattimento dei confini geopolitici (Comunità Europee, MEC, UE). Una percezione che si è protratta dopo l’unione nazionale fino ad oggi – anche nei brevi periodi in cui il ‘governo centrale’ ha dimostrato buone capacità di servizio utili per la crescita del benessere diffuso (come in meno di dieci anni della ‘destra storica’ nell’800, in parte del ‘deprecato ventennio’ mussoliniano, nei cinque anni scarsi in cui DeGasperi/Einaudi riuscirono a stimolare il ‘miracolo economico’. I rimanenti centocinquanta meno trentacinque anni delll’unità d’Italia sono deprecabili esempi dell’ignoranza pessiquedale dei vertici politici e della loro avidità clientelare e personale – come nella peggiore delle tradizioni dei Principati, Signorie e Cardinalati-secolarizzati della storia d’Italia.
Si può anche aggiungere che, durante l’unità d’Italia, sono stati personaggi molto ‘anomali’ a caratterizzare i brevi periodi di ‘buon governo’ rispetto a tutti i politici ‘standard’ circolanti in Italia dal crollo dell’Impero Romano. Inoltre, in ogni periodo dell’unità della nazione come Stato Unitario, il benessere è stato prodotto da personaggi tradizionalmente analoghi ai ‘capitani di ventura’ in ogni epoca al servizio dell’Imperatore – Enrico Mattei in analogia con Eugenio di Savoia, Silvio Berlusconi in analogia con Filippo Strozzi, Luigi Sturzo in analogia con Niccolò Machiavelli. Alcide DeGasperi era un italiano educato politicamente come suddito dell’Impero Austro-Ungarico e fu infatti letteralmente perseguitato dai ‘machiavellici’ complotti di corte democristiana in cui fiorirono i ‘Principi Valentino’ di borgiana memoria e sostegni episcopali. L’Italia è stata ‘arricchita’ dalla munificenza delle occasionali ‘dinastie principesche’ di varia natura che, secondo la più consolidata tradizione si sono scontrate con lotte sanguinose arroccate dietro ideologie tutte di carattere ‘guelfo’; i ‘neri’ dietro la dottrina sociale cristiana DC, i ‘bianchi’ dietro la dottrina sociale euro-comunista PCI. la lotta ideologica in precedenza era stata condotta dietro le bandiere dei ‘liberali’ o dei ‘socialisti’ che, tutte dovettero abbandonare il loro integralismo anti-clericale dei Carducci, dei Garibaldi e dei Mussolini per poter accedere alla legittimità consacrata da Santa Madre Chiesa; garante della tradizione politica italiana.
Una volta abbattuto l’ostacolo della legittimità trans-regionale, il ‘governo di Sua Maestà’ potè annullare lo stile complottardo e di congiura tradizionale nel conseguimento degli equilibri politici imponendo legittimità istituzionale alla ‘terza via’ (malattia sempre verde in Italia) fascista in cui lo Stato Etico assunse il ruolo di arbitro tra i due ‘partiti’ che avevano insanguinato le città del Bel Paese; i capitalisti-liberali ed i dirigisti-socialisti.  Il ‘deprecato ventennio’ fu fertile di effetti infrastrutturali che hanno creato ciò di cui l’economia industriale del paese ormai aveva bisogno; ferrovie, energia, scuole, sistema bancario, sistema assicurativo, trasporti marittimi, trasporto aereo, previdenza sociale, pubblica sicurezza, giustizia civile e societaria, etc..
Caduto il fascismo, illiberale anche se fertile di effetti positivi, se ne condannò la memoria con uno dei più classici riti della Roma Imperiale (la damnatio memoriae) che giunse all’illiberale interdizione della stessa ideologia ‘fascista’ dalla dialettica politica e alla totalitaria esclusione degli ex-fascisti dalla partecipazione alle scelte parlamentari con l’artificio dell’’arco costituzionale’. Il primo elemento illiberale è poi quello che si richiama oggi alla ‘Carta di Verona’ negli accordi che la globalizzazione impone di adottare per i nuovi accordi industriali sia tra Fiat e sindacati metalmeccanici in Italia, sia tra Fiat e sindacati auto motive negli USA oggi; la ‘socializzazione’ o partecipazione delle maestranze ai benefici ed ai rischi di impresa – in oiena analogia con ciò che la Germania ex-nazional-socialista ha ormai da tempo accettato nella contrattazione industriale. Il secondo fattore para-totalitario dell’arco-costituzionale ebbe il perverso effetto di causare un duplice trauma di legittimità politica; rifiuto della continuità istituzionale coi primi due periodi monarchici fascisti e coeerente incompatibilità di legittimità politica alla carta costituzionale stessa negoziata tra i due interlocutori ispirati ideologicamente da due conflittuali dottrine sociali illiberali e dirigiste (la marxista e la cristiana) un volta crollato il ‘muro di Berlino’ ed affermatasi l’egemonia capitalista-liberale globalizzata dall’industrializzazione. I ‘bianchi’ avevano perduto la loro occasione di legittimarsi alla guida del Paese con una Bad Godesberg precedente il 1989. I ‘neri’ continuano ad avere una legittimità ‘locale’ (come in ogni altra parte del nuovo contesto geopolitico ‘globale’) fondata sul ruolo che la Curia di Roma ha conservato nei millenni sul piano morale e che il nuovo Governo Imperiale soprannazionale le ha assicurato nella emergente governance nella quale risulterà certamente potenziata la dualità tra la sfera delle competenze di Cesare e quella delle competenze di Santa Madre Chiesa. La nuova governance imperiale offre infatti ruoli a entrambi legittimati dal paradigma istituzionale della civiltà ‘Occidentale’ in cui la separazione e la divisione dei poteri inizia proprio dal riconoscere dignità e rispetto alle due sfere; quella dei reati (sfera di Cesare) e dei peccati (sfera del Pontefice). È emblematica l’acrimonia con cui la Chiesa di Roma viene oggi combattuta e la sua crescente popolarità come unica voce morale soprannazionale cui guarda l’opinione pubblica che soffre delle scelte di politiche pragmatiche, libere da criteri dottrinari, pur beneficiandone del benessere economico.