10/10/2009

Estinzione dei simboli di stato ottocenteschi

Le onorificenze non si devono meritare, non vale poi il rifiutarle diceva non ricordo chi se Flaiano, .

Da sempre gli establishment al governo dei vecchi Stati Nazione hanno fatto un uso solo strumentale delle onorificenze. Esse erano attribuite per cooptare i maverick e disinnescarne la minaccia agli interessi delle istituzioni più consolidate. È successo in ogni epoca. Così la corona britannica faceva uso dei comandanti più intraprendenti rilasciando licenze per la guerra da corsa coerenti con la tutela degli interessi coloniali delle varie compagnie commerciali e degli istituti assicurativi e bancari ma ne arrestava l’operare al di fuori delle istituzioni impiccando chi rifiutava la sottomissione alla corona accettando l’onorificenza di baronetto che discriminava i Drake dai Morgan. Così il mondo delle banche d’affari italiano offrì a Sindona oltre al riconoscimento di salvatore della lira, l’onorificenza di ingresso nel club Mediobanca ove Enrico Cuccia gli offrì di entrare prima di spingerlo alla nota escalation criminale a seguito del rifiuto dell’offerta da quel maverick che era. Così il mondo accademico ha ghettizzato geni innovatori nei secoli per la loro mancata sottomissione formale alle gerarchie istituzionali. Tesla rifiutò ben due premi Nobel in quanto riteneva di essere stato indebitamente nominato a condividere quella onorificenza con due non-aventi diritto perché solo emuli delle sue scoperte consolidate anni prima sul piano scientifico sperimentale. Edison gli aveva comperato i brevetti sulla produzione di energia elettrica in corrente alternata mentre Marconi aveva usato le tecniche di Tesla per trasmettere nell’etere deboli segnali elettromagnetici del telegrafo senza fili. Così Joe Kennedy accettò l’onorificenza di ambasciatore degli USA presso la corona britannica dopo aver accumulato ricchezza e potere in modo “criminale” col proibizionismo mentre Al Capone da vero maverick o Lucky Luciano non accettarono la sottomissione al potere costituito dopo avere negoziato con esso veri e propri scambi di affari (nomine di governatori, capi della polizia e perfino presidenti oppure sostegno alla tutela dei porti USA da sabotaggi nazisti e sostegno all’invasione alleata della Sicilia).

Kennedy diede origine alla nota dinastia di criminali nullafacenti e pericolosi per l’incolumità del mondo occidentale. A Lucky Luciano venne concessa la sola immunità con deportazione nel suo paese d’origine. A Capone venne organizzata una soppressione in carcere-a-vita per evasione fiscale (un peccato che ai tycoon e a politici come i Kennedy è stato abbondantemente condonato con pene ben inferiori). Sulla sua traccia Sindona, prima di essersi coinvolto con la criminalità organizzata come ultima ratio per recuperare quanto stava subendo, venne condannato nell’arco di una settimana, alla detenzione a 25 anni per scopertura nella sua acquisizione della Banca Franklin con la sua Banca Unione dalla quale senza alcuna ragione apparente e senza alcun preavviso o rientro concordato erano stati improvvisamente ritirati i fondi IRI!

La linea che divide i criminali dai padri della patria è sottile e passa attraverso la concessione/accettazione delle onorificenze. I più orgogliosi maverick possono sopravvivere in paesi liberi come gli USA ma hanno una vita dura e rischiosa in Italia. Enrico Mattei convertì la missione di liquidare l’AGIP che l’establishment gli aveva affidato nella creazione di un vero e proprio impero multinazionale solo in quanto, da vero tycoon e maverick, avviò un processo inverso di acquistare partiti politici (come Al Capone in Illinois) per dettare le leggi che gli erano necessarie invece di acquistare onorificenze dal sistema politico ancora destabilizzato in quei primi anni del dopo-guerra e in quanto, fortunatamente, la materia prima necessaria alla sua azienda si trovava all’estero e risultava assolutamente preziosa per tutto il comparto produttivo del Paese.

Dopo queste premesse per creare il contesto della considerazione cerco di commentare l’attribuzione a Obama del Nobel per la Pace.

Le elite radical-chic del passato avevano creato quelle onorificenze per riuscire a influenzare politicamente le relazioni internazionali. Ciò sia in campo scientifico che in campo letterario, economico e politico. I premi Nobel erano il simbolo dell’eccellenza nelle varie discipline del pensiero ma soprattutto aprivano ai detentori le porte dei più prestigiosi club in cui influenti personaggi sviluppavano le linee di azione da indicare ai legislatori dei propri Paesi. Vaccinazioni, tecniche chirurgiche, protesi, scoperte fisiche, processi chimici si dimostravano campi in cui le intuizioni giovanili, espresse con l’anti-conformismo di chi non rischia ancora di perdere un suo status, erano riscontrate vere sul piano sperimentale pochi anni dopo. Uno spazio aperto da Nobel (un tycoon e maverick) ai maverick della scienza (non del “mondo accademico”). Quindi Einstein non venne premiato per la sua teoria della relatività (era in realtà già stata intuita e codificata da Maxwell) ma per le sue scoperte in statistica quantistica. Così Fermi non venne premiato per la fissione controllata ma per altre sue scoperte nella stessa materia statistica quantistica. Shockeley ricevette il premio per avere dimostrato vera la sua teoria dell’effetto del campo di giunzione.

Successivamente l’establishment si è appropriato di quello spazio offerto ai maverick (“schegge impazzite”) della scienza ed hanno trasformato il premio in una cooptazione politica nell’establishment dirigente del sistema industrializzato “Accademia”. Macchinari sempre più costosi e complessi sono diventati necessari per decidere quali direzioni dovesse seguire la ricerca e le “tecniche sperimentali” hanno sostituito il peso delle “intuizioni teoriche” nell’attribuzione dei premi. Molti Nobel sono stati attribuiti a capaci ingegneri che hanno concepito esperimenti complessi (e inaccessibili se non finanziati appositamente) a prova di esistenza d’una particella già ben descritta anni prima da un fisico teorico con sola carta e matita. Il merito del Nobel doveva essere del fisico teorico, non di chi aveva concepito la complessa e costosa esercitazione sperimentale.

In campo umanistico (letterario, economico e politico) l’attribuzione aveva già da prima scelto una strada di più diretto sostegno alle scelte di governo delle istituzioni di governo della società.

La letteratura premia personaggi emblematici del “politically correct” (magari nascondendo le motivazioni dietro concetti “puramente tecnici” – che in quelle materie sono assolutamente assenti). Sengor è africano ed ha inaugurato la trasposizione scritta della letteratura del suo  paese. Dario Fo è rappresentativo dell’ancora viva tradizione del teatro popolare a-canovaccio e irriverente ma colto proprio del medioevo italiano. Altri letterati sono stati premiati per cooptare nell’”accademia” esponenti di etnie in via di sparizione o escluse dal criterio di “cultura”.

L’economia attribuisce i premi a studi di sempre maggiore dettaglio e scarsamente verificabili se non come interpretazioni statistiche della realtà nelle sue manifestazioni più “locali” e quindi irripetibili. La famigerata crisi del ’29 non è riuscita a codificare che la famosa teoria keynesiana che è invece da più parti dichiarata la causa meno probabile del rilancio di un’economia distrutta da puri fattori psicologici. Lo stesso la presunta “crisi” attuale rientra rapidamente non appena i comportamenti del mercato rigettano le fughe emotive di origine psicologica.

La politica infine attribuisce i premi a quegli esponenti che nulla hanno fatto e che nulla possono fare a fronte delle iniziative da loro dichiarate per puri fini demagogici elettorali per cooptare quegli homines novi che potrebbero essere utili qualora si allineassero ai desiderata dei “salotti buoni” (o club esclusivi). Così Al Gore viene premiato sia col Nobel per la sua previsione “scientifica” (sostenuta da uno studio costosissimo e non condiviso ma con una adesione “a maggioranza” dei partecipanti alle indicazioni finali – un criterio quello di condivisione “a-maggioranza” che rappresenta la negazione del valore scientifico degli studi) non tanto del “global warming” (che la terra esperimenta ciclicamente sotto le variazioni dell’attività solare) ma del “fatto” che l’incerto “global warming” sia attribuibile a cause umane! Una vera follia se non fosse per il suo abbinamento a un altrettanto insipido premio Oscar attribuito al filmato di Al Gore non per il successo commerciale ma per la sua adeguatezza ad essere diffuso divulgativamente per raccogliere consenso sulle decisioni di programmi di intervento ambientale finanziati a spese dei contribuenti e dei produttori.

Obama è la rivelazione eclatante finale di quest’impiego dei premi Nobel. In piena globalizzazione occorre che gli USA promuovano e pilotino programmi di intervento industriale a sostegno delle visioni deliranti di Al Gore e ne promuovano su base globale l’adesione da parte di quei paesi che fino ad oggi sono in reciproca e drammatica opposizione. Occorre promuovere una collaborazione politica mondiale alimentata da un flusso di danaro dalle tasche dei contribuenti del Nord verso i “governi” del Sud (non verso i loro “sudditi” in quanto occorre rispettare la sovranità interna di ogni paese indipendentemente dal regime che li governa). Questo “criterio” è l’opposto di quello pragmatico ma selettivo che ha ispirato la politica dei presidenti USA di ogni colore politico fino ad oggi. Occorreva quindi stabilire con Obama una sorta di intesa politica che promette carote a sostegno delle sue fasi critiche interne (le sette sorelle finanziano Al Gore) e minaccia bastoni qualora proseguisse nell’impegno militare in Asia.

È la morte dei vecchi criteri di attribuzione delle onorificenze ai maverick utili al paese in quanto l’economia globale non ha paesi privilegiati e quindi occorre che tutti i “migliori” (chi è “laureato dal Nobel”) concorra a guidare dall’alto della sua saggezza illuminata i sudditi globali che ignorano ciò che incombe e come poter evitare le minacce (ipotetiche, catastrofiche e “a-maggioranza”). Stiamo sull’orlo di un cratere di reazione politico-istituzionale che toglierebbe la libertà alle generazioni future: laissez faire è sempre la carta liberale!