09/12/2009

Paradigma Sviluppo

Prosegue la strana illustrazione della “crisi” come una sorta di evento apocalittico nel senso che essa abbia costituito l’evento finale di un paradigma liberista del capitalismo selvaggio che segna finalmente l’avvento di un nuovo paradigma non più fondato sulla crescita del PIL come indicatore unico del progresso umano.

Si è perfino ascoltato sui media più allineati al mondo industriale un dibattito relativo a prodotti editoriali in libreria con titoli accattivanti, grillini e demagogicamente solleticanti le aspettative politically correct della massa di disinformati lettori.

I libri di due giovani e simpatici autori cui auguro una associata e rapida crescita di reddito, riportano le loro analisi della “crisi finanziaria” di cui si è molto parlato nel corso del 2009 con valutazioni apocalittiche nel senso che prognosticano nel futuro un ripetersi accelerato di crisi ancora più drammatiche e frequenti qualora non venga abbandonato il paradigma della crescita del PIL come obiettivo primario del sistema del capitalismo-liberista. Una vera e propria esigenza insomma di porre fine al vecchio mondo per sostituirlo con uno nuovo in cui prevalga la austerità dei costumi individuali e l’avidità umana venga sostituita da un più etico costume di vita.

Si tratta di banalità che non meriterebbero di essere scritte da economisti seri né di essere diffuse da organi mediatici collegati a rappresentative istituzioni industriali. Ma si tratta del cedimento dei giovani e dei media alla tentazione di avere popolarità e audience solleticando le aspettative di ascolto nutrite da una massa che si attende soluzioni indolori dall’alto alla propria esistenza. Il welfare state ha creato queste aspettative che la globalizzazione inarrestabile e trionfante non potrà più soddisfare. Non prima almeno di avere gratificato l’avidità e la fame di PIL delle enormi masse di diseredati nel Paesi in via di sviluppo che fino a ieri erano escluse da pane e companatico che solo la civiltà industriale fondata sul paradigma del capitalismo-liberista può soddisfare.

È evidente che solo la crescita continua del PIL mondiale può soddisfare le aspettative di Cina e India (per non parlare di Brasile e parti civili del sud est asiatico islamico). È altrettanto evidente che occorre che USA ed UE concorrano abbondantemente a questo impegni di crescita del PIL globale per non isterilire la crescita. È altrettanto evidente che la crescita a due cifre del PIL di India, Cina e Brasile debba avvenire grazie alla graduale cessione a quelle economie di processi manifatturieri ad alta occupazione manuale che non sono più economici negli USA e in UE. È altresì palese che il processo di trasferimento dei processi maturi ai Paesi di nuova industrializzazione provochi temporanee situazioni di disagio sociale ed economico nel vecchi Paesi produttori che sono costretti a rivedere la catena organizzativa della produzione e distribuzione industriale su base mondiale modernizzando le fasi produttive residuali con tecnologie e know how che richiedono forti investimenti in ricerca applicata. Ciò avviene in ogni comparto industriale dai più tradizionali e maturi del tessile e dell’arredamento a quelli delle costruzioni civili, alle comunicazioni, all’estrattivo e raffinazione di materie prime, ai trasporti e logistica industriale, alla sanità alla sicurezza militare e criminale fino alla formazione professionale primaria e accademica.

Si tratta di processi di dimensione globale sia sotto il profilo geo-politico che sotto quello industriale che si sono a malapena avviati nel corso della presunta “crisi apocalittica” descritta dai due simpatici autori dei libri politically correct suddetti. Processi che hanno preceduto ogni consenso da parte delle autorità che nei Paesi più industrializzati erano in carico della governance di un sistema che vedeva come primari fruitori i soli Paesi a PIL più elevato mentre escludeva quelli a basso PIL che venivano fatti solo oggetto di contributi caritatevoli da parte dei costosi e parassitari organismi internazionali dell’ONU. Mai la scelta di avviare la fase finale della industrializzazione su base globale avrebbe avuto il consenso delle istituzioni di quei Paesi che avrebbero perso ogni possibilità di governance del nuovo sistema produttivo globale.

L’avvio positivo del processo di globalizzazione del capitalismo-liberista è stato innescato quindi al di la di ogni governance conservatrice di USA ed UE in modo virtuoso e cioè non solo senza creare inflazione ma anche per le finalità che si prefigge di estendere opportunità enormi e rivoluzionarie di crescita del PIL mondiale senza escludere da quel paradigma benefico i Paesi più derelitti e popolosi. Si tratta del primo, vero approccio evangelico dell’economia industriale. Non più migrazioni di massa dai Paesi indigenti verso pochi paradisi del benessere, ma spostare opportunità produttive nei Paesi più popolosi per elevarne il PIL senza umiliazioni caritatevoli ma gratificando le loro aspettative professionali senza traumatizzarne gli usi sociali.

La Chiesa di Roma dovrebbe per prima dare sostegno a questo enorme passo avanti della civiltà occidentale nel mondo invece di predicare austerità e accoglienza che si traducono inevitabilmente in scontri culturali e sfruttamenti illegali.

Ebbene questo trionfo finale del paradigma del capitalismo-liberista impone la conservazione della crescita del PIL fondata sull’intraprendente avidità degli imprenditori liberi di riorganizzare produzioni e distribuzioni industriali su scala mondiale. Liberi dai vincoli che oppongono al loro impegno le lobby dei centri che hanno il controllo della governance nei vecchi sistemi privilegiati di USA ed UE.

L’unico strumento a disposizione di questo enorme processo innovativo è stata la finanza che, grazie ai suoi strumenti creativi, ha saputo creare quei moltiplicatori monetari che hanno reso disponibili le risorse necessarie per avviare il processo. Tra quei prodotti finanziari creativi figurano i deprecati titoli spazzatura. Quei titoli si limitavano a spalmare il rischio differenziato di finanziamenti correnti in titoli di investimento il cui rischio risultava scarsamente prevedibile qualora fosse stato destabilizzato il contesto in cui erano stati progettati. Questo era il loro solo neo tecnico; peraltro incontrollabile sia sotto il profilo teorico (dato il loro carattere innovativo), sia sotto quello pratico (data l’assenza di procedure finanziarie di controllo). In pieno regime di liberismo selvaggio (ma molto tecnico e programmato) i titoli spazzatura sono stati “liberamente” scambiati sul mercato mondiale da avidi produttori dei titolo ad altrettanto avidi risparmiatori attratti dagli elevati rendimenti promessi. Le banche non c’entrano se non marginalmente come sportelli all’utente finale più diffuso. La massa di risorse finanziarie raccolta è stata adeguata a scatenare il processo virtuoso della globalizzazione. Al crescere delle ripercussioni del processo sull’organizzazione della produzione industriale, si è manifestata la necessità di regolamentare questo rivoluzionario flusso di capitali di rischio. Le vecchie istituzioni in carico della governance si sono scoperte totalmente inadeguate a controllare il fenomeno ed hanno sollecitato le vecchie istituzioni politiche ad adeguarsi alla nuova situazione. Ciò sta accadendo pur con difficili e dolorose negoziazioni di ruolo e di conservazione almeno temporanea di privilegi.

Il resto è fuffa demagogica. Sperare che il paradigma del capitalismo-liberista possa cedere il passo a paradigmi alternativi fondati sul contenimento della crescita del PIL e sulla sostituzione dell’avidità con altri più virtuosi elementi di stimolo ad alimentare il progresso e a soddisfare le aspettative di crescente benessere di masse umane che hanno ormai iniziato ad assaporare quel benessere di cui godono in modo privilegiato e riservato tutti i predicatori e le menti sottili politically correct catastrofiste e neo-malthusiane è non solo un obiettivo utopico ma perfino immorale sotto il profilo dell’etica civile e religiosa.

Sul piano civile la libertà e la responsabilità deve essere equamente attribuita sia a USA che UE che Cina, India e Brasile e il meccanismo che sta già offrendo tali equal opportunities al di la dei vecchi regimi è proprio il capitalismo-liberista animato dall’avidità universale.

Sul piano religioso la solidarietà e la dignità degli uomini pretende di offrire lavoro e non elemosine per gratificare le aspettative di crescita del benessere, mentre l’accettazione dell’avidità come motore primario delle motivazioni umane non nega anzi esalta il ruolo educatore della religione sui singoli e avidi peccatori per convincerli che non sia il solo benessere materiale quello capace di soddisfarne la ricerca di felicità.

Possiamo dire in definitiva che il progresso è creato solamente dalla spavalda e maramalda intraprendenza dell’avidità presente in ogni uomo che lo spinge a rischiare il certo per l’incerto suggerendogli un prudente uso della valutazione individualissima del rapporto tra ciò che egli espone a rischio anche della propria pelle e ciò che costituisce il premio di tale scommessa che costituisce l’essenza della “speculazione” nelle sue varie manifestazioni. Il progresso è stato e sarà sempre creato dall’audace intuizione dei pochi innovatori che si sono finanziati vendendo a prezzi di usura il proprio coraggio. Lo “speculatore” che li finanzia è anch’egli un lungimirante portatore di credito che essendo abilitato a raccogliere risparmio lo investe a tassi di rischio elevati per finanziare nuove opportunità di crescita del proprio reddito a tassi di valore aggiunto superiori di molto ai livelli già esistenti il cui rischio è valutabile e perfino assicurabile. Ciò avviene in ogni epoca e ogni comparto di industria. Dalla esplorazione di nuove terre e rotte commerciali alla ricerca pura sanitaria o fisica sono solo gli intraprendenti innovatori che spesso rasentano la spavalda temerarietà. Chi ne finanzia l’audace imprudenza è un altrettanto audace finanziere che investe si quel nuovo titolo azionario a rischio le risorse finanziarie che gli vengono affidate in grazia del credito di cui egli gode sul mercato del risparmio. Questa catena di avidità connette in piramide i piccoli risparmiatori attratti da margini enormi di guadagno ad affidare al finanziere che gode di adeguato credito ai loro occhi e il finanziere stesso all’innovatore audace e intraprendente che con quelle risorse mette a rischio la propria credibilità e spesso la propria vita per poter implementare le proprie audaci e minoritarie visioni geniali.

“Speculazione” ed ”avidità” individuali sono i due fattori che alimentano di risorse la crescita del progresso civile da sempre. Le banche e il sistema di gestione collettiva del credito nulla hanno a che fare con questa costruzione del progresso. Le banche, le assicurazioni che tutelano il credito ordinario sono gli strumenti che servono per tradurre in un secondo tempo il progresso scientifico realizzato dagli avidi speculatori in strutture tecniche ed organizzative idonee a estendere i benefici del futuro reso possibile in realtà fruibile oggi. Da Dante a Pound tutti hanno compreso che la civiltà umana è creata dall’avidità che pur creando il progresso alimenta lo sfruttamento ma tutti hanno celebrato l’eccellenza innovatrice dei creatori di credito che sono gli unici a finanziare le esplorazioni e le invenzioni più benefiche per l’umanità. I finanziamenti di regime sono utili solamente in situazioni di emergenza (spesso bellica) a sostenere applicazioni di ingegneria civile a bassissimo valore aggiunto. I Von Braun, i Fermi, gli Oppenheimer, la NASA, il NIH, la TAV, le Reti Satellitari sono le realizzazioni ingegneristiche finanziabili dallo Stato. I Pasteur, i Raman, i Tesla, i Marco Polo, i Cristoforo Colombo, i Salk, i Sabin, la Microsoft, la Apple sono invece le innovazioni rivoluzionarie che creano il futuro disorientando e spesso eludendo i controlli pre-esistenti di Stato sulla regolamentazione del commercio e della circolazione delle idee.