09/02/2010

Tendenze della Globalizzazione e NOG

L’era degli Stati Nazione che ci accingiamo ad archiviare, ha chiuso la fase iniziale della civiltà industriale che era stata avviata dalla Roma Imperiale con un Ordine Globale che aveva consentito a ogni nazione di partecipare allo sviluppo di una comune civiltà ‘Occidentale’. Una civiltà che consentiva liberi scambi di merci e persone grazie all’unica struttura giurisdizionale, unico sistema tributario, unica lingua, unica moneta, unico sistema di difesa e sicurezza, unica rete di acquedotti, unica rete viaria, unico sistema di standard industriali (dei materiali di costruzione e dei processi di fabbricazione di macchine militari, di mezzi di trasporto, di cave e miniere, di immobili civili, di natanti), unico sistema standard di istruzione (scolarità primaria, formazione vocazionale, formazione militare e para-militare, formazione giuridica, formazione sanitaria, formazione quadri amministrativi statali).

Insomma, la civiltà ‘Occidentale’ è nata con una missione “globale” che si è potuta consolidare nella realtà geopolitica di Roma Imperiale grazie alla rete di infrastrutture tecnologico-organizzative utilizzate da tutti gli abitanti del globo al di là di esclusioni politiche di appartenenza. Quella originaria missione ha generato un diffuso e universale consenso sociale che è perdurato ben oltre la caduta dell’Impero Romano e che ancor oggi costituisce la comune anima di legittimazione del sistema istituzionale liberal-democratico che è greco-romano-cristiano oltre che privo di connotazioni ideologiche e settarie di natura religiosa o filosofica.

La caduta di Roma Imperiale generò l’era degli Stati Nazione che, accettando la comune civiltà ‘Occidentale’ ereditata da Roma, promosse il progresso industriale più vivace stimolando l’avidità competitiva sui mercati nazionali nei quali prevalse la lingua “volgare” o quella che conviveva col latino (l’”inglese” dell’era iniziale) tra gli strati meno colti delle varie nazioni la cui partecipazione ai benefici degli scambi sul mercato globale in epoca romana era inevitabilmente più difficile. La competizione politica tra Stati Nazione si tradusse in ostilità militari che costrinsero i regimi nazionali a stimolare lo sviluppo tecnologico e la crescita economica prerequisito a sostenere una politica militare internazionale. L’espansione militare e quella mercantile hanno creato stimoli coerenti e banchi di prova per la nascita di strutture più sofisticate di servizi all’industria ed al commercio in ogni comparto di industria. Le “tecnologie” si sono moltiplicate in tipo e sofisticate nella loro struttura interna generando una crescita esponenziale di conoscenze scientifiche e tecnologiche “maturate” nella fase industriale manifatturiera del 1800. Quella fase dello sviluppo industriale ha abbattuto i privilegi di classe consolidando gradualmente la liberal-democrazia e l’accesso diffuso al libero mercato riducendo i monopoli e gli oligopoli. Il successo del capitalismo liberale ha invaso il mercato con sovrabbondante offerta di beni e servizi conseguendo il superamento definitivo dell’indigenza eliminando le periodiche ecatombe o le migrazioni di massa dovute a carestie ed epidemie. La saturazione dei mercati nazionali e tendenza costante alla competizione commerciale hanno inaugurato la fase finale dell’era degli Stati Nazione. I mercati si sono aggregati in entità soprannazionali dapprima tra Paesi d’analogo livello di industrializzazione spesso già ben collegati o perfino adiacenti geograficamente e governati da istituzioni culturalmente omogenee. In seguito, il potenziale industriale unificato da quelle aggregazioni e il rapido successo di crescita del benessere interno a quegli aggregati multinazionali ha creato una crescente pressione del sistema industriale ‘Occidentale’ sui sistemi istituzionali dei singoli Stati Nazione ad accelerare l’inclusione agli accordi soprannazionali di Paesi che costituiscono i mercati più popolosi di consumatori, produttori e risparmiatori. Un obiettivo primario per le capacità produttive e distributive dei Paesi ‘Occidentali’. Questa pressione è stata esercitata con ogni mezzo che la civiltà ‘Occidentale’ lascia legittimamente al di fuori dei divieti illiberali esercitati da istituzioni nazionali obsolescenti e animate da spirito protezionista o perfino nazionalista settario e perfino autoritario.

La speculazione finanziaria alimentata dagli “hedge funds” è riuscita ad innescare la nuova era della civiltà industriale estesa alla dimensione globale del mercato. È un ritorno alla fase iniziale di Roma Imperiale con la sostituzione dell’inglese al latino e con l’estensione dei criteri liberal-democratici a ogni nazione che voglia realmente entrare a pieno titolo a far parte non-discriminata dell’unica civiltà ‘Occidentale’. Ciò lascia libere le singole nazioni di conservare aspetti della loro diversità culturale (religione, usi, moda, arte, lingua) che non rivestono caratteri d’incompatibilità nei confronti del capitalismo-liberista; fondamento della legittimità istituzionale in liberal-democrazia.

Se questo riepilogo dell’evoluzione inarrestabile del progresso e dei successi della civiltà ‘Occidentale’ può essere accettato, occorre oggi che l’opinione pubblica riesca gradualmente ad accogliere le conseguenze che è inevitabile verranno prodotte dalla globalizzazione sulle vecchie istituzioni nazionali per riuscire a stabilire la nuova governance globale. Predisporsi ad accogliere non significa riuscire a prevederne i lineamenti ma di essere disponibili a modificare i comportamenti individuali e di gruppo tradizionali a misura delle esigenze che devono superare le nuove relazioni industriali (giuridiche, sicurezza, finanziarie, sindacali). I media non possono che limitarsi a rendere conto dell’evolvere degli eventi di mercato e istituzionali. Gli specialisti nelle varie discipline coinvolte nella negoziazione (a posteriori) degli accordi che istituiscono la nuova governance (finanziari, geo-politici, gruppi industriali multinazionali) possono scegliere di svolgere ruoli di consulenza al fianco dei leader politici responsabili del solo potere esecutivo. Infatti la rapidità con cui procede la crescita della globalizzazione è tale da superare ogni realistica capacità decisionale del potere legislativo di qualsiasi Paese industriale. Gli accordi sono determinati da eventi già maturati in gran parte che sono in procinto di assumere sviluppi i cui rapporti costo/beneficio possono essere valutati rapidamente dai ridotti staff degli esecutivi ma su cui non possono essere messe in atto correttivi credibili in tempi e strutture che siano nella sfera di competenza di alcun esecutivo. Né offrono alcuna speranza di poter essere dibattuti nelle sedi meno efficaci delle assemblee legislative. La crescita della “libertà” ha ormai dimensioni globali e nessun legislativo può sperare di condizionarne l’avvento. Se ne può solo accelerare la governance condivisa.

A questo fine (massima accelerazione di accordi efficaci condivisi) è inevitabile che gli incontri tra esecutivi si limiti ai circoli più ristretti tra quelli che la gerarchia d’importanza industriale ha già ben formalizzato nello scenario geopolitico globale. Il G2 tra USA e Cina trova legittimità nel ruolo di protagonisti che assegna loro il mercato globale. Un mercato in crescita turbolenta ed abnorme nel cui contesto la popolosità e attitudine della Cina risultano fattori essenziali analogamente alla adattabilità, flessibilità e reattività che presenta solo il mercato industriale USA rispetto alla lentezza, inefficienza e conflittualità interna dell’UE. È ragionevole, quindi, che siano gli esecutivi del G2 a condurre il gioco. Sul loro metronomo poi è altrettanto naturale che i due protagonisti primari sappiano identificare la gerarchia di “partner regionali” che nutriranno interessi affini e che saranno disponibili a dare il loro ruolo di gregari purché gli accordi preliminari abbiano lasciato spazi di accordi secondari di generale appagamento. UK, Commonwealth, Giappone, Germania, Francia, Italia, Spagna potranno ricavarsi nicchie di comodo al fianco degli USA negoziando specifici ruoli d’interesse nazionale. Sperare invece di consolidare in tempi adeguatamente celeri una armonia di interessi interni al sistema UE per negoziare come terza parte di pari peso con USA e Cina in una sorta di G3, risulta utopico e renderebbe l’avvio della governance troppo lento e inadeguato a soddisfare le aspettative degli interessi già consolidati. Inoltre, qualora si riuscisse a stabilire una negoziazione di tipo G3, il risultato sarebbe che i Paesi più forti (Francia, UK, Germania) monopolizzerebbero la scena contendendosi le esistenti opportunità alla luce degli interessi industriali nazionali; che spesso inoltre li vedono in reciproco conflitto. Si renderebbe lenta, conflittuale e inefficiente la negoziazione G3 col risultato che i due protagonisti G2 sarebbero spinti a cercare accordi ufficiosi sottobanco destinati a creare dei fatti compiuti di cui accettare le conseguenze.

Quale sarà la peculiarità della fase della civiltà industriale post-Stati Nazione?

In analogia con ciò che creò le premesse del successo nell’Impero Romano, l’elemento critico per favorire la piena accettazione globale della civiltà ‘Occidentale’ sarà il successo diffusamente percepito degli apporti di libertà e di benessere. A questo fine occorrerà impedire le emigrazioni di massa dai Paesi in via di sviluppo industriale. Infatti quelle migrazioni depauperano il Sud delle risorse più intraprendenti e motivate al lavoro mentre trasferiscono solo marginali risorse finanziarie alle loro comunità di origine senza crearvi stabili opportunità occupazionali. Il trasferimento al Sud delle fasi “mature” di produzioni industriali invece riesce a conseguire margini di maggiore profitto globale per le risorse finanziarie investite, riesce a creare stabili opportunità di lavoro, risparmio e consumo al Sud e riesce a porre sul mercato i tradizionali prodotti a costi più accessibili a fasce più vaste di mercato.

Suddividere la produzione tra Paesi distanti, dotati di diverse reti di trasporto e culture professionali molto diverse richiede un’organizzazione manageriale delle produzioni molto flessibile e adattabile. Distribuire tra Paesi produttori e mercati di consumo quel tipo di produzione di beni e di servizi richiede una logistica di sostegno capace di servire un mercato di dimensioni totalmente diversa rispetto alla struttura tradizionale di produzione e distribuzione interna agli Stati Nazione di un tempo o a quella dei loro attuali aggregati soprannazionali. Analogo adattamento sarà necessario per i servizi al consumo e per la manutenzione e riparazione/sostituzione dei beni e dell’accesso alla rete dei servizi da parte degli utenti finali. La struttura dei servizi delle istituzioni statali e finanziario-assicurative sarà necessario si adegui alle mutate realtà una volta che esse abbiano preso corpo e si siano consolidate. Sotto questo aspetto gli accordi G2 e, in gerarchia, i successivi accordi “regionali” non hanno alcuna voce in capitolo. Sono semplicemente prematuri.

La rete tecnologica infrastrutturale che potrebbe accelerare il consolidarsi della internazionalizzazione della produzione, della distribuzione e della manutenzione dovrà essere composta da: trasporto di beni, logistica industriale, comunicazioni multimediali e, ma solo secondariamente, trasporto di persone.

La fase appena iniziata della globalizzazione industriale e della associata globalizzazione della civiltà liberal-democratica ‘Occidentale’ sarà l’era della logistica industriale. Cioè l’era industriale manifatturiera è riuscita a mettere a punto le tecnologie e il know how imprenditoriale che ci ha liberati dall’indigenza e consolidato l’era del benessere (con le sue improprie degenerazioni nel consumismo) e dell’abbondanza di scelte in ogni tipo di consumi. Non ha avuto tuttavia né le risorse né gli incentivi di credibili profitti per organizzare una rete distributiva a misura del mercato globale. Oggi, il consolidato know how dell’industria manifatturiera rende possibile estendere l’abbondanza produttiva dell’’Occidente’ a beneficio del mercato globale. A tal fine occorre che la rete logistica globale sia resa adeguata alle esigenze. Non serve solo trasportare dalle fabbriche i beni finali per riuscirne ad abbattere i costi unitari e consentirne quindi l’accesso di consumatori più ampio occorre suddividere le produzioni intermedie ed assiemarle secondo una logica che sfrutti al massimo i costi al fine di minimizzare la necessità del trasferimento di componenti, sottoinsiemi e apparati finali con i loro rischi di deterioramento, di intralcio della produzione, di gestione dei depositi, di obsolescenza dei prodotti. È inoltre essenziale che la manutenzione degli stessi beni prodotti, una volta acquisiti dagli utenti finali, venga resa accessibile economicamente indipendentemente dalla località del loro impiego. A tal fine occorre che la rete logistica riesca ad assicurare la riparazione/sostituzione in loco dei componenti avariati sui sistemi di utente finale. La manutenzione/sostituzione guidata a distanza e la possibilità di produrre in loco gli eventuali sottoinsiemi avariati senza richiedere onerose spedizioni di apparati, componenti o sottoinsiemi è già stata sperimentata per assistere spedizioni scientifiche in località remote e inaccessibili. La trasmissione a distanza di parti del progetto manifatturiero è norma in aziende multinazionali così come la trasmissione di istruzioni per sostituzione/manutenzione di apparati avariati. Le tecnologie di trasmissione tridimensionale di elementi di progetto è scientificamente realizzabile. Delegare a officine remote la manifattura in loco di parti in avaria o di caratteristiche funzionali inappropriate potrebbe ridurre i costi complessivi per gli utenti finali dell’accesso a beni di consumo altrimenti oberati dagli odierni, insostenibili costi logistici.