08/10/2010

‘Crisi’ delle politiche nazionali indotte dal nuovo scenario geopolitico

In Italia si evidenzia da tempo lo stato prolungato di una ‘crisi congiunturale’ che pervade ogni campo di interesse istituzionale della vita nazionale.

Si tratta di una ‘crisi’ fisiologica di ricerca di nuovi assetti istituzionali con un meccanismo automatico di cui è dotato il sistema industriale nel capitalismo-liberista grazie ai suoi processi intrinseci che promuovono la costante crescita economica grazie al costante abbattimento delle resistenze che tentano di proteggere i loro privilegi corporativi ostacolandone l’innovazione sociale e organizzativa. Ciò è quindi successo in ogni epoca della civiltà ‘Occidentale’ che viene ‘governata’ dall’avvento imprevedibile dell’innovazione industriale; il frutto della più incontrollabile e incoercibile creatività individuale in campo scientifico, dapprima, e nelle sue successive manifestazioni individuali che riescono a concepire applicazioni tecnologiche di pratica e diffusa utilità grazie alle scoperte che la scienza matura sulla spinta delle più soggettive motivazioni; tutte al di fuori di vincoli di carattere ‘istituzionale’ o ‘sociale’.

Analoga creatività individuale ispira poi l’impiego delle innovazioni tecnologiche a fini di lucro da parte di imprenditori motivati a conquistare il consenso dei consumatori grazie al maggior successo dei beni e servizi da essi proposti ad un mercato di individui liberi e responsabili che beneficiano della massima libertà di scelta per il ‘paniere di spesa’ del proprio reddito. Ogni tipo di coercizione relativamente alla collocazione del reddito o all’acquisto di pre-definiti ‘panieri’ di beni e servizi, contravviene lo spirito di responsabilità individuale, quindi della libera scelta su cui si fondano le radici della liberal-democrazia, del libero mercato, del ‘governo dal basso’ e, in definitiva, della crescita autonoma del benessere che caratterizza la civiltà ‘Occidentale’ rispetto all’ancien régime, alle satrapie monocratiche e alle loro più moderne emulazioni fondate sui fondamentalismi ideologici (secolari o religiosi).

In definitiva la crescita dell’economia industriale è sempre stata gerarchicamente preordinata ad ogni previsione e capacità delle istituzioni statali di esercitarvi il ruolo di ‘programmazione’. L’avvento di innovazioni tecnologiche stimola gli imprenditori a concepire forme applicative che, se incontrano un vasto consenso sul mercato, prevaricano ogni capacità delle istituzioni stesse di contrastarne la vendita che avviene eventualmente grazie ai più fantasiosi e creativi canali imprenditoriali (TV libere, hedge fund, elusione, evasione, riciclaggio, contrabbando, borsa nera, etc.). Questo intrinseco individualismo egemone dello sviluppo industriale isterilisce qualsiasi tentativo di ‘programmare’ lo sviluppo tramite istituzioni statali. Stati infatti i cui confini sono gradualmente cresciuti abbattendo i vecchi privilegi che le corporazioni dei privilegiati hanno sempre tentato di ‘conservare’ tramite leggi e apparati legittimati a ‘programmare’ da dottrine sociali sempre ispirate da finalità nobili e trascendenti la meschina avidità dei ‘produttori di danaro’. Non per nulla tutte le dottrine sociali considerano il lucro un abietto ‘sterco del diavolo’.

Attualmente stiamo assistendo ad una grande e fisiologica ‘crisi congiunturale’ che ha abbattuto ogni confine nazionale; la globalizzazione industriale. Essa è avvenuta oltre ogni capacità di previsione e di ‘controllo’ delle vecchie istituzioni statali di tutti gli Stati Nazione che sono ormai in crescente stato di inadeguatezza e di obsolescenza rispetto alle mutate aspettative sociali e potenzialità di sviluppo di quel processo globale. È naturale che le istituzioni statali di tutti gli Stati Nazione siano state poste in crisi e che esse debbano attendere che la globalizzazione industriale abbia stabilizzato le sue esigenze prima di poter definire a-nuova-misura i nuovi strumenti della governance istituzionale globale. Strumenti nei quali i vecchi interessi nazionali troveranno spazio in coerenza col ‘peso relativo’ del sistema industria-stato rispetto alla sua competitività internazionale. La lotta ‘politica’ all’insegna del diritto a governare le realtà nazionali sulla traccia di programmi di decisioni alternative non potrà nascere che al termine di questa fase di consolidamento e di stabilizzazione degli interessi industriali su base globale.

I ‘politici nazionali’ non possono far altro che ‘attendere’, restare in ‘stand by’, conservare le posizioni e le truppe sulle quali si è fondata la propria fortuna nel passato e tentare di stabilire con prudenza le relazioni internazionali che sembrano più appropriate a dare continuità alle proprie iniziative politiche del passato. In ogni paese la ‘politica nazionale’ cerca quindi di sopravvivere all’insegna di artificiose e poco sentite, ma efficaci, divisioni per conservare chiara la delimitazione tra i due fronti di ‘destra’ e di ‘sinistra’ in attesa che, definitosi il nuovo, esogeno, assetto stabile della governance globale, si riescano a definire nuove istituzioni e due concetti alternativi che (in modo comprensibile e strumentalizzabile sul piano tecnico), riescano a rendere vendibili in alternanza programmi di scelte economiche fondati su opposte e variabili priorità; privilegiare i ‘programmi’ di stimolo al sistema industriale dal lato della ‘domanda’ (sinistra elitaria e collettivista) o dal lato dell’’offerta’ (destra liberale e individualista).

In Italia in modo particolare si riesce a capire questo gioco attendista che si è incentrato sull’anti- o sul filo-Berlusconi. Sarebbe facile risolvere quel problema con una leggina che sottraesse alla persecuzione giudiziaria di cui è oggetto Berlusconi liberando la politica nazionale da quell’artificiosa precarietà che prolunga l’assenza di riforme di cui invece il paese avrebbe grande bisogno sin dagli anni cinquanta, col suo ingresso nell’Europa dei dodici; quando il regime protezionista delle istituzioni fasciste perse la sua marginale utilità per diventare in modo crescente ‘deleterio’ per la competitività internazionale di un sistema industria-paese obbligato alla competizione dalla sua destinazione di paese trasformatore. La leggina è chiara a entrambi gli schieramenti elettorali ed è l’elemento di stabilità della stasi attendista in quanto la sua approvazione è ormai ascesa alla dignità di ‘simbolo’ ideologico; quindi sterile sul piano dell’innovazione istituzionale di un paese industriale.

Da una delle due parti politiche in attesa la leggina sarebbe il simbolo della ‘liberazione’ di ogni singolo cittadino da istituzioni autoritarie, inefficienti, inutili caratterizzate dalla farsesca tradizione spagnola delle ‘grida’ prive di alcun effetto concreto e oppressive sotto il profilo della tutela dei privilegi di casta. La tutela di Berlusconi è emblematica dell’effettiva libertà acquisita dall’’homo novus’ non solo di intraprendere ma anche di contribuire in politica senza dover sottostare al ‘filtro’ delle caste che hanno controllo delle istituzioni statali. Una dimostrazione che in Italia si accetta la priorità del cittadino di decidere e di fare in ogni campo raccogliendo consenso sulla sola base del successo comprovato dal mercato in cui egli rischia la propria persona.

Dall’altra delle due parti politiche invece la leggina sarebbe il simbolo del ‘trionfo’ dell’impunibilità di ogni reato che non sia perpetrato da soggetti istituzionali; reati quindi di loro natura extra-istituzionali e quindi definiti ‘reati’ dalle stesse ridondanti, sterili, inefficaci e oppressive leggi imposte dall’alto da istituzioni statali spagnolesche. Una conferma che in Italia le decisioni vengono assunte da specialisti in sinedri corporativi e vengono imposte dall’alto interdicendo a qualunque ‘homo novus’ di dimostrare la sua eccellenza grazie ai successi e al consenso raccolto anche in settori istituzionali statali.

Alle soglie dell’ennesima gara elettorale è evidente a chiunque la sterilità politica della possibile crisi che si tradurrebbe in un consolidamento del voto elettorale tra filo-Berlusconi e anti-Berlusconi ribadendo la necessità di tracciare con un’amnistia generalizzata la data di nascita in Italia dell’era post-fascista. È però anche chiaro che la crisi politica (e l’associata gara elettorale) sia il solo mezzo a disposizione della politica nazionale per ‘far passare il tempo’ senza assumere chiare posizioni in merito ai veri problemi che la globalizzazione sta ancora maturando e stabilizzando (regole finanziarie e bancarie, diritto del lavoro, diritto civile, diritto societario, sicurezza commerciale, trasporti, assicurazioni, etc.) e sui quali la politica nazionale non ha e non potrà avere che ridotti margini di influenza.

La soluzione alternativa a questa impasse della politica nazionale accelererebbe l’avvento di una nuova fase in cui occorrerebbe proporre chiari programmi di decisioni alternative all’elettorato. Ciò è ancora impossibile per la fluidità degli ‘interessi residuali’ che la globalizzazione lascerà al sistema industria-stato nazionale (dopo l’esodo dei grandi gruppi e l’apparentamento internazionale di aziende di media dimensione). Scegliere ora un programma sarebbe, per le ‘sinistre’, addossarsi un rischio gratuito nei confronti del proprio elettorato. Lasciare governare il paese alla ‘destra’ ha il duplice vantaggio di poter attribuire un domani tutti i disagi ad un processo di ‘libero mercato’ privo di controlli e governance e di usare tale arma nei confronti di un protagonista (la ‘destra’) che è già coerente con la globalizzazione e non può quindi che raccogliere i meriti (di un processo esogeno) e subire i rischi (estranei a qualsiasi possibilità di esercizio di ‘governo’ da parte delle vecchie istituzioni statali).

Quella semplice alternativa ‘politica’ (la leggina di amnistia) risolverebbe il problema dell’impasse ma al prezzo di deludere (se non ben ‘venduta’ alla pubblica opinione) una parte dell’elettorato ‘de sinistra’.

Berlusconi sarebbe lieto di dedicarsi ai suoi interessi industriali a tempo pieno rinunciando perfino allo sterile scranno di presidente della repubblica italiana. Egli avrebbe infatti solo intralci formali che mal sarebbero compensati dai limitati poteri della carica che non verrebbe in quel caso potenziata dal parlamento. Berlusconi potrebbe invece (come ha tentato proponendo Blair e D’Alema alle due cariche stabili dell’esecutivo europeo) essere interessato a ricoprire la carica di presidente dell’UE.

Ma queste sono solo elucubrazioni intellettuali di nessun interesse pratico e di nessuna possibilità di concretizzarsi sullo scenario politico nazionale.

Attendiamo quindi che la globalizzazione abbia consolidato la sua occupazione pacifica dell’economia nazionale per tornare ad interessarci di quale alternativa di governo sia meglio scegliere al primo turno elettorale post-crisi globale.