08/05/2010

Politica, energia e sviluppo

Il drammatico infortunio nel golfo del Messico presenterà dei costi immediati e di più lungo termine che sono difficili da immaginare al momento ma offre anche spunti di riflessione ai responsabili delle politiche industriali internazionali che potrebbero accelerare un primo nucleo di accordi nello spirito della governance globale ma estranei al ristretto comparto d’industria della finanza che finora ha costituito il solo tema negli incontri soprannazionali alla ricerca di un Nuovo Governo Globale.

Indipendentemente dalle meschine rivendicazioni relative all’attribuzione di colpe o di casualità dell’evento e al di là delle demagogiche attribuzioni degli oneri di risarcimento dei danni immediati e successivi causati da esso. Infatti anche se Obama attribuisce i costi alla sola BP, saranno inevitabilmente i consumatori d’energia a sostenerne i costi con l’inevitabile aumento del prezzo del carburante dovuti al recupero dell’esborso che la BP deve sostenere rivalendosi sulle proprie riserve interne o sul risarcimento che le verrà riconosciuto grazie alle polizze assicurative o alle forme di autoassicurazione che certamente sono previste dalle aziende di quel settore.

Per il mercato è meglio tra l’altro che i costi vengano sostenuti dai consumatori tramite lievitazione dei prezzi di carburante piuttosto che non dai contribuenti (gli stessi soggetti) ma tramite forme di “solidarietà” di cui l’Italia è particolarmente familiare come i contributi delle accise per il terremoto di Messina o quello dell’Irpinia o altre amenità datate di oltre un secolo o cinquant’anni. Il mercato è sempre meno temibile di quanto sia l’avidità fiscale.

Le considerazioni utili per modificare le politiche energetiche nazionali e globali derivano dalla attribuzione dell’incidente all’integralismo ecologista oltre che dall’occasionale malfunzionamento di una tecnologia che presiede al controllo del funzionamento delle isole estrattive in alto mare.

Infatti è vero che i tre sistemi indipendenti di chiusura automatica del pozzo di estrazione in caso di mal-funzionamento del processo hanno fallito la loro missione. Ciò è seppure raro sempre possibile in ogni tecnologia anche le più rodate e sperimentate. È parte del rischio industriale che ci segnala che la sicurezza assoluta non è di questo mondo e che neanche la rinuncia al progresso industriale con regressione all’età “aurea” delle caverne può liberare l’uomo dalla precarietà della sua esistenza (vedere il  caso dell’eruzione del vulcano islandese).

Detto ciò, anzi l’incidente prodottosi, seppure oneroso per l’ambiente e per le attività economiche nelle aree inquinate, può risultare prezioso in quanto sta sollecitando la BP e i suoi fornitori a sviluppare nuove soluzioni tecnologiche atte a intervenire più efficacemente o addirittura prevenire il manifestarsi di analoghe situazioni critiche.

È un episodio lungo la storia del progresso industriale che nasce da errori e rimedi e da eventi drammatici che, come le guerre, costringono la creatività umana e l’innovazione tecnologica a concepire salti tecnici non altrimenti finanziabili in tempo di pace o in assenza di situazioni critiche.

Il progresso è stato generato sempre da sangue e lacrime versato dalle vittime umane (per fortuna assenti in questa contingenza) e a spese dell’ambiente produttivo o naturale come quello in corso.

Le considerazioni utili alla modifica dei comportamenti e della filosofia politica in materia di energia industriale derivano dal riconoscere la responsabilità addebitabile all’integralismo ambientalista che ha sottoposto le tecnologie estrattive a un massiccio logoramento e criticità di impieghi che ha concorso alla manifestazione del disastro tecnico.

Il lavoro intensivo delle isole estrattive è stato imposto da due diverse e concorrenti cause generate dall’integralismo ecologista.

La prima causa è stata il blocco ventennale imposto alle nuove prospezioni e trivellazioni che avrebbero consentito più graduali tempi di impiego delle tecnologie estrattive e la manutenzione ordinaria e straordinaria di quegli impianti altamente sofisticati e sperimentati dotati di sistemi di sicurezza triplicata per impedire che i malfunzionamenti possano tradursi in versamenti di idrocarburi nell’ambiente naturale.

La seconda causa è stato il blocco altrettanto ventennale imposto dall’ecologismo integralista all’apertura di nuovi impianti nucleari che avrebbero diminuita l’esigenza di soddisfare la domanda di energia industriale a maggiore estrazione di greggio, di gas naturale e di carboni fossili.

Qualora l’ecologismo perdesse i suoi caratteri più integralisti e si limitasse a una ragionevole scelta di rimedi che non limitassero la crescita industriale e l’innovazione delle fonti energetiche competitive e agevolassero l’innovazione della sicurezza e del disinquinamento ambientale, l’industria saprebbe in breve termine ridurre i costi umani e ambientali che altrimenti resteranno elevati se non come vittime umane come perdita di occupazione o maggiore impoverimento economico che verrebbe a pesare maggiormente sulle fasce più povere dei consumatori.