08/05/2010

Speculazione: misura della credibilità relativa dei sistemi industriali

Si parla di speculazione con toni moralistici perché gli speculatori mirano a lucrare sulle difficoltà economiche altrui.

Questo atteggiamento è solamente una difesa demagogica che i responsabili del governo dei sistemi che sono sotto mira da parte degli speculatori utilizzano per “buttare in politica” invece di chiarire alla pubblica opinione chi crea le condizioni che vengono valutate dagli investitori internazionali per scegliere dove sia più sicuro o più remunerativo investire il proprio capitale di rischio e per quali durate di tempo.

Non è utile per informare né il risparmiatore (che partecipa all’acquisto delle offerte “speculative” – anche se è un ente territoriale di diritto pubblico), né l’elettore (che contribuisce con le sue scelte a indurre i “politici” a proporre comportamenti di bilancio irresponsabili e incompatibili con la conservazione della competitività del sistema “industria-paese”, premiando le proposte più demagogiche e utopistiche).

Anche in questa istanza si sente chiaramente l’assenza di un sistema mediatico ed educativo realmente utile a “divulgare” nell’opinione pubblica la consapevole centralità dei loro comportamenti individuali nel tempo sia come risparmiatori, sia come consumatori e sia come elettori. Se si vuol dare contenuto reale al concetto di “liberal-democrazia” non si può diffondere il “senso comune” che vorrebbe suggerire oscure trame dei “cattivi speculatori” (cui come si è visto partecipano anche gli acquirenti di diritto pubblico e i molti privati che poi soffrono delle emissioni di obbligazioni di stato argentine) che tutelati dagli “gnomi di Zurigo” (cui portano il risparmio di famiglie e aziende i “criminali spalloni” transfrontalieri). Questo è “senso comune” che serve solo a scaricare le responsabilità sull’”avidità criminale” degli “ebrei” di turno. Un “senso comune” para-fascista che uccide la consapevolezza della responsabilità diffusa dei comportamenti e scelte quotidiane in “democrazia”. Occorre invece una stampa e una scuola “indipendenti” che sappiano chiarire, alla luce del tradizionale “buon senso”, il carattere demagogico e insostenibile di offerte “politiche” prima che “austerità” nei consumi in ogni Paese che voglia realmente consolidare la democrazia invece di inseguire i taumaturghi per poi appenderli per i piedi dopo averli osannati fino a poche ore prima. Non è accettabile credere in una realtà fondata sui “cattivi speculatori” che, in combutta con gli “avidi politici” riescono a opporsi agli sforzi che i “politici disinteressati” cercano di tradurre in concreti programmi di trasformazione della realtà nel Regno di Bengodi, Paese dei Balocchi, Schlaraffenland o qualsiasi altra denominazione abbia potuto indicare anche ai più illetterati col “buon senso” la saggezza dei favolieri di ogni epoca e Paese.

Occorre liberare il “quarto potere” (della “divulgazione educativa” – i media e l’accademia) dal servaggio in cui si è cacciato nei confronti del “demagogo” per poter sperare in un recupero di “buon senso” degli elettori consumatori risparmiatori.

Sono loro a doversi convincere che, se il modello proposto dalle “menti sottili” (in ogni comparto dell’offerta di consumo di servizi - politici, finanziari, fiscali, previdenziali, etc.) viene confutato dalla realtà e dalla sua memoria storica – il “buon senso”, la colpa non è della realtà bensì del modello che propone tipi di “senso comune” troppo comodi, “gratuiti” che liberino dalla “precarietà”. La “precarietà” è la base per l’adesione all’austerità, alla parsimonia, alla prudenza, allo scetticismo, alla gradualità, alla concretezza; tutte virtù individuali che credono nella “responsabilità individuale” come fondamento della libertà democratica. Il resto è pura demagogia dettata dalle “caste” più parassitarie oppure scuola filosofica che serve a preparare lo spirito alla trascendenza; buddismo, Città del Sole, cristianesimo (che tuttavia educano anch’esse a stili di vita austeri, parsimoniosi, prudenti, etc., etc..

La cosiddetta “speculazione” si assume un compito banale ma difficile. Compra un bene oggi confidando di poterlo rivendere domani a un valore maggiore il cui apprezzamento venga attribuito al bene dallo sviluppo delle condizioni che caratterizzano il contesto nel quale il bene viene scambiato. In altri termini il “valore aggiunto” del bene proviene dalle mutate condizioni del mercato che ne tratta lo scambio.

Chi sceglie di affrontare questo tipo di transazioni differite assume un rischio, quello cioè di valutare in modo errato il concretizzarsi del tipo di evoluzione del contesto da cui dipenderebbe la crescita di valore del bene acquistato nel lasso di tempo in cui aveva ritenuto di dovesse manifestare per poterne assicurare la vendita con un guadagno remunerativo. Un errore nella evoluzione del contesto può condurre a aumento o calo tale da tradursi in una perdita di valore per il capitale investito nell’operazione. Un errore nella velocità in cui si svilupperanno le condizioni del contesto grazie alle quali il bene raggiungerà il previsto aumento di valore condurrebbe a spalmare il valore aggiunto su un arco di tempo inadeguato a compensare la scelta rispetto ad altri investimenti possibili e più remunerativi.

I beni acquistati oggi sono i più disparati ed includono materie prime, specifiche valute, impianti produttivi, immobili, opere d’arte, etc..

Il valore di ciascun bene oscilla nel tempo grazie al contesto in cui quel tipo di bene è scambiato. Ogni bene, in definitiva, riceve un valore aggiunto dal contesto che può agevolarne o inibirne l’impiego e lo scambio.

Cioè è l’insieme “industria-paese” che garantisce un certo livello di valore alla produzione di reddito che quel bene contribuisce a realizzare. Quindi, se il contesto cui è vincolato ad operare un certo bene varia nel tempo il livello di efficienza delle prestazioni che esso eroga a sostegno delle attività produttive, esso varia anche il suo apporto di valore aggiunto alle operazioni del complesso “industria-paese”; il contesto fornisce dosi variabili di valore aggiunto alla produzione che impiega i beni oggetto dell’investimento speculativo.

Ciò che gli investitori internazionali cercano di fare è di collocare i loro capitali in acquisti di beni oggi sulla base di previsioni della variazione comparata dei diversi contesti in cui i beni potranno essere venduti domani. La previsione stima la variazione nel tempo dell’efficienza dei diversi sistemi “industria-paese” assumendosi il rischio di una possibile, errata valutazione.

Ogni sistema “industria-paese” è sottoposto a questa valutazione comparativa e così anche ogni “zona monetaria” (zona dollaro, zona euro, etc.).

La speculazione investe oggi capitali nell’acquisizione a cifre appetibili per lo stato di difficoltà che attraversa un sistema industriale rispetto a altri suoi competitori che producono le risorse necessarie per le acquisizioni che nel tempo si prevede potranno garantire margini di profitto ben più elevati di altri investimenti.

La speculazione valuta insomma non tanto il valore “oggettivo” del capitale acquisito ma il suo valore operativo che dipende sostanzialmente dall’insieme della proprietà che viene rilevata e dalla qualità del contesto in cui essa opera. È l’insieme del sistema industriale e del Paese in cui esso opera che riceve una valutazione. Se il sistema Paese risultasse scarsamente competitivo con i suoi competitori e risultasse poco stabile rispetto ad essi, il valore della proprietà acquisita riceverebbe stime inferiori anche al puto valore degli impianti rilevati.

La zona euro è in competizione con la zona dollaro ma questa è stata una scelta politica che non può essere ascritta a malevolenza estera. Se la stabilità dell’euro risulta oggi inferiore alla stabilità del dollaro e se quindi questo risulta più richiesto come valuta di riferimento sui mercati internazionali, ciò non dipende dal diverso valore degli impianti industriali ma anche dalla minore efficacia dei servizi finanziari, legali, statali, aziendali che sostengono la produttività degli impianti insediati nella zona euro rispetto allo stesso insieme di elementi insediati nella zona dollaro.

L’inefficiente sistema decisionale che caratterizza i sistemi politici della zona euro rende meno credibile agli occhi di chi possiede capitali da trasferire tra le diverse zone valutarie il recupero di competitività del sistema industriale e dei servizi che lo sostengono rispetto a ciò che invece dimostra di poter fare l’analogo sistema USA e della zona dollaro.

In definitiva la cosiddetta “speculazione” è un gioco d’azzardo fondato sulla capacità di prevedere le mutue affidabilità dei complessi “industria-paese” che agiscono in reciproca competizione sul mercato globale.

È una sorta di “sala gioco” in cui in analogia con ciò che avviene presso i bookmaker per ogni tipo di gara in corso (elezioni, ippica, etc.) si scommette sull’evoluzione futura dei valori di qualsiasi bene scambiabile in piena legalità sul mercato. Il totalizzatore fornisce agli investitori le stime sulle variazioni attese ed essi possono investire in coerenza le proprie risorse assumendo il rischio di errata previsione.

Lamentarsi perché la previsione sul calo di competitività di un sistema “industria-paese” rispetto ad altri spinga i detentori di capitali a investire in taluni sistemi per parcheggiare risorse in attesa che si maturino le condizioni previste per il successivo disinvestimento e realizzare il valore aggiunto dall’evoluzione prevista nel tempo, è sterile. Occorre invece che, di fronte al libero manifestarsi delle tendenze “speculative”, i sistemi “industria-paese” si attrezzino a rimuovere le condizioni che causano il loro minore livello di competitività e creare le condizioni per rilanciare la loro credibilità, affidabilità e competitività.

È invece inutile criminalizzare chi sa valutare i reciproci rapporti di efficienza e rischiare sulla loro diversa capacità di remunerare i propri capitali di rischio risorse che sarebbero altrimenti dirottate su investimenti meno trasparenti e meno utili per un’oggettiva stima dei reciproci potenziali di crescita industriale. Occorrerebbe piuttosto farne strumenti di valutazione della credibilità delle politiche nazionali e aziendali spesso eccessivamente audaci o utopistiche per pure ragioni di acquisizione della “popolarità” almeno temporanea nei CdA o nell’elettorato.