08/04/2011

Avatar e sospetti: la fine della democrazia


La propensione delle comunicazioni sociali all’abuso spettacolare dell’informazi
one consolida un suggestivo insieme di arricchimenti della realtà che finiscono
col comporre il ‘senso comune’ che riesce a prevalere sul più tradizionale ‘buon
 senso’ privo di attrattive e di capacità evocative.
Internet coi suoi social networks e i giochi di ruolo che emulano la realtà offr
endo un’altamente attrattiva ‘realtà/ virtuale’ abitua i consumatori a interagir
e grazie a ‘proiezioni di sé’ che riescono a liberarli dai limiti cui li obbliga
vano le tradizionali relazioni interpersonali fondate su meccanismi dei ‘face to
 face’ propri dei profili psico-fisici personali più ‘reali’; si propone agli in
terlocutori in rete una serie di varie ‘proiezioni’ della propria ‘realtà person
ale’ che denominiamo gli ‘avatar’. A questa ‘realtà virtuale’ e sostitutiva ci a
bituiamo e la accettiamo come abitudine di relazioni come uno dei tanti aspetti
del ‘senso comune’ il cui potere risulta liberatorio rispetto al più tradizional
e, vincolante e frustrante ‘buon senso’ del sapersi accettare nei pregi e nei di
fetti, nei limiti e nel potenziale.
Non si tratta di aspetti che necessariamente caratterizzano in modo negativo le
nuove relazioni sociali.
Purché il ‘senso comune’ così liberatorio, suggestivo e stimolante non sostituis
ca la consapevolezza su cui fondiamo le nostre decisioni concrete.
La ‘realtà virtuale’ è eccellente insomma come strumento di liberazione dei cons
umatori dai vincoli che ne bloccavano la personalità e le aspettative di relazio
ni più gratificanti; vincoli imposti dalla loro fisicità e dai blocchi relaziona
li che affliggono i rapporti diretti. Essa diventa uno stravolgimento della real
tà se diviene il sostituto dei rapporti esistenti nel mondo reale.
Ciò che si rischia è organizzare la propria vita su relazioni tra personaggi irr
eali (gli avatar) che siamo spinti ad erigere tra noi e gli altri per conseguire
 gratificazioni virtuali in sostituzione dei rapporti frustranti che ci riserva
la vita reale; una sorta di dissociazione schizofrenica dalla realtà per rifugia
rci nel mondo di relazioni virtuali che ci consente di evitare i rischi della so
cietà reale.
Gli avatar che proponiamo nelle relazioni sociali virtuali sono a misura di altr
i avatar che le comunicazioni sociali ci propongono come modelli gratificanti in
 una successione di idealizzazioni di moda rese attraenti da immagini, filmati,
sceneggiature e narrazioni rappresentate da protagonisti che si muovono in sceno
grafie studiate da altri.
Questa visione della vita si fonda su un ‘senso comune’ consolidato quindi dal b
ombardamento di modelli proposti come corretti, auspicabili, ortodossi da un sis
tema mediatico astratto ed organico ad interessi che nascono in ambienti oligarc
hici industriali, politici o culturali. Il ‘senso comune’ è portatore di modelli
 alieni alla realtà quotidiana nella quale i veri problemi obbligano a rinunciar
e all’astrattezza di quelle proposte per accontentarsi di soluzioni rispettose d
el ‘buon senso’ tradizionale.
Il rischio è che le motivazioni e le aspettative sollecitate dai modelli propost
i dal senso comune ottunda la capacità di seguire i suggerimenti dettati dal buo
n senso e conduca a seguire comportamenti insostenibili o obiettivi realisticame
nte non raggiungibili col risultato di accumulare lunghe storie di frustranti fa
llimenti individuali invece di alimentare percorsi di successi suggeriti dalla g
radualità di negoziazioni alla luce di un buon senso che ispira nel concreto tut
ti gli interlocutori che non siano vittime di astratti avatar.
Analoga astrattezza si manifesta nei dibattiti politici in cui le diverse posizi
oni ed interlocutori contrapposti vengono distorti schematicamente per adeguarli
 a caricature più suggestive e facilmente rappresentabili di quanto non siano in
vece i corrispondenti soggetti reali.
Anche in questo caso la spettacolarità dei media ha ogni interesse a rappresenta
re su un attraente teatrino la drammatizzazione di una realtà meno stimolante pe
r catturare l’attenzione delle audience di consumatori.
Si rappresentano degli avatar dei protagonisti e se ne distorcono le motivazioni
 e le ragioni per adeguarle al tipo di ‘maschera’ prescelta.
Le azioni intraprese dai protagonisti e i risultati raggiunti dagli stessi vengo
no interpretati alla luce degli avatar e non dei reali protagonisti; i quali pos
sono anche trovare interessante adeguare se stessi ai modelli imposti qualora ci
ò risulti efficace nell’agone politico.
Le comunicazioni sociali riescono insomma a ‘pilotare’ in modo più o meno consap
evolmente accettato il gioco della politica che scade quindi dalla sua evoluzion
e secondo il buon senso dei protagonisti e delle idee che essi propongono alla r
eciproca negoziazione, alla trama a canovaccio di un teatrino in cui prevalgono
i criteri dell’astratto senso comune capace di inibire taluni obiettivi a benefi
cio di altri ‘politically correct’ e di privilegiare o inibire certi processi ri
spetto ad altri stigmatizzati con etichette che sono appropriate non al protagon
ista reale ma solo all’avatar che gli è stato attribuito e che lo rappresenta su
lla scena teatrale che distorce la realtà istituzionale.
L’impiego delle comunicazioni sociali da parte dei protagonisti politici per aum
entare la loro efficacia verso l’elettorato esalta l’egemonia del teatrino a can
ovaccio rispetto al pragmatismo del dibattito politico con il risultato di asseg
nare ulteriore privilegio alla regia mediatica rispetto alle ragioni sostanziali
 nel condurre le iniziative politiche e perfino nella scelta del profilo dei pro
tagonisti caratterizzati da maggiori probabilità di successo sull’avversario.
Le istituzioni politiche ‘responsabili’ della conduzione del gioco di equilibri
contrapposti cadono vittime di questo prevalere degli avatar sui protagonisti re
ali e delle caricature dei loro programmi e obiettivi in cui è dominus assoluto
il sistema istituzionale dei media ‘irresponsabili’ rispetto alle finalità del g
ioco liberal-democratico. È per questo che il ‘quarto potere’ è così tremendamen
te pericoloso per la distorsione della realtà.
Le azioni intraprese dagli interlocutori reali vengono descritte in modo da adeg
uarsi alla loro descrizione caricaturale. Ciò esalta gli aspetti che rispettano
la maschera prescelta e obbliga a distorcere quelli che non la confermano. In pa
rticolari situazioni la distorsione convince addirittura il sistema mediatico a
‘sospettare’ la possibile esistenza di ragioni ‘occulte’ (ma ‘giustificate’ dall
’avatar attribuito via un astratto senso comune) che possano esistere dietro ai
comportamenti o decisioni meno ‘ortodosse’ rispetto a quanto presumibile da quel
le dell’avatar imposto.
Questo tipo di ‘distorsione’ mediatico criminalizza o grazia a priori taluni pro
tagonisti rispetto ad altri in modo indipendente dalle loro reali intenzioni e d
alla ragionevolezza delle loro proposte concrete.
Nasce una branca di teatro mediatico collaterale al teatro politico; la storia p
olitica.
La storia viene scritta da personaggi del sistema mediatico privi di alcuna resp
onsabilità politica nell’ambito degli episodi descritti; al più spettatori passi
vi. La loro narrazione deve solo riuscire a raccogliere popolarità ampia tra i p
otenziali lettori per convincere a finanziare ogni ulteriore forma di diffusione
 multimediale. Drammatizzare gli eventi è il modo più agevole di fornire una des
crizione suggestiva ma per riuscire nello scopo occorre offrire una descrizione
caricaturale dei protagonisti reali; tanto meglio se il narratore nutra simpatie
 particolari per taluni di essi.
Ciò avviene sia per la narrazione di specifici profili biografici, sia per quell
a di interi raggruppamenti politici.
La suggestione di questo tipo di distorsioni storiche della realtà condotte da s
ingoli autori può poi diventare un mezzo di lotta politica nel teatro a canovacc
io altrettanto distorto di cui sopra. Si ottiene un effetto a valanga in cui l’i
rresponsabilità mediatica prevale senza alcuna possibilità di contrasto sulla re
altà del gioco politico.