07/07/2009

I molti caratteri “globali” del mercato

Come dice Sua Santità Benedetto XVI il mercato non funziona se non vi operano solidarietà e fiducia. La Chiesa cioè accetta l’esistenza del Libero Mercato ma auspica che i valori che ne guidano le transazioni in piena libertà e responsabilità tengano in dovuto conto tutti i “bisogni” che compongono il profilo delle motivazioni umane da quelle del possesso di beni materiali, a quelle di gratificare le proprie aspettative in famiglia, sul lavoro e nella società più vasta. Come insegna la dottrina cristiana.

Insomma bisogna tutelare l’unicità e il carattere libertario del “mercato” quale ambito in cui, libero da ogni condizionamento ideologico – secolare o religioso –si possano sviluppare scelte individuali e responsabili dettate dalla maturità dei consumatori misurata su una scala etica che consente loro di negoziare scambi nel rispetto della gerarchia di valori auspicata dalla Chiesa. Scambi che evidenziano atti di libera e spontanea rinuncia o contenimento di tipi di bisogni, magari anche “primari”, se il soddisfarli costasse al consumatore di rinunciare a gratificare le proprie sensibilità, aspettative e motivazioni ritenute più etiche.

È la successiva valutazione su base statistica del “valore medio” attribuito dai consumatori all’intera scala dei bisogni nel complesso delle libere transazioni sviluppatesi sul Libero Mercato a costituire l’unico metro scientifico di misura del livello morale del gruppo sociale sotto esame. E di consentire la valutazione della efficacia di specifici programmi che si propongono di migliorarne la educazione intellettuale e spirituale.

“Tutto è mercato” se esso è libero. Infatti la pluralità dei liberi atti di scambio di beni e servizi avviene in un bilanciamento dei reciproci “bisogni” che ciascuno può stabilire in piena autonomia di bilanci materiali, etici e intellettuali (misurati su di una scala di contenuti dai più materiali ai più sublimi e spirituali) che viene da lui ritenuto “equo” alla luce degli individuali criteri che ognuno ha maturato per permettergli di stabilire i rapporti di peso reciproco tra i valori che possiede e cui rinuncia e il valore del bene/servizio che appaga le sue aspettative di gratificazione personale e di motivazione ad operare. In assenza del Libero Mercato come luogo libero da altre valutazioni che non siano quelle maturate dai singoli consumatori si continuerebbe a separare altrimenti le istanze etiche da quelle materiali nell’ambito delle relazioni che legittimano le libere relazioni nella società tramite scambi responsabili di do-ut-des. Anche le più marginali, eclatanti transazioni che avvengono sul ‘libero mercato’ ogni giorno ma che i media spesso citano con alto scandalo ed ipocrisia quali la vendita di organi, la prostituzione sessuale o quella intellettuale hanno un prezzo che viene ritenuto “equo” da chi si impegna nello scambio. Anche gli scambi di contenuti più astratti e intangibili dalla vendita delle indulgenze, alle adozioni a distanza e perfino gli atti di sublimazione per amore altrui quali i sacrifici dei Salvo d’Acquisto o per amore d’un’ideologia come gli atti di terrorismo, avvengono sul mercato con atti di libero scambio che concorrono ad acquistare il bene ideale finale con la sublimazione della rinuncia alla propria vita a vantaggio di un bene collettivo. Ciò che illumina (‘giustifica’) i criteri che dettano le scelte individuali quotidiane con l’attribuzione d’una scala gerarchica ai valori che ciascuno persegue, è la cultura etica che è compito delle ideologie secolari o religiose di diffondere sul mercato tra gli uomini. Sono poi essi a dover scoprire “pagando di persona” con le sequenze di tentativi ed errori di scelte individuali, libere perché responsabili, la maggiore o minore attrattività che presenta l’aderire a una meglio che a un’altra ideologia. Insomma è il “libero mercato” la sede dove deve svilupparsi liberamente l’auto-educazione di ogni individuo con un accumulo di singoli atti di scelta che devono avere un valore economico anche se, data la loro rarità, non potranno avere sempre la facile attribuzione di un “prezzo di mercato” statisticamente definito.

Un padre di famiglia che in astratto volesse vendere un proprio organo sul libero mercato per assicurare la sopravvivenza ai propri cari è altrettanto biasimevole sulla scala dei valori dottrinali cristiani di quanto non sia il voler “mercificare” per fini meno nobili un tipo di bene che Dio ci ha donato tramite genitori e che non ci appartiene così come non ci appartiene il volersi prolungare la vita tramite trapianti invece di accettare la morte come un atto simmetrico alla nascita che contraddistingue l’uomo ‘creatura mortale’. Queste sono considerazioni di cui ciascuno deve convincersi “liberamente” con un lungo Calvario di sofferenze generate dalle singole scelte che poco si ispirano alle aspettative più alte nella Scala dei Bisogni suggerita da Maslow.

Affermare che “non tutto sia mercato” significa solo presentare in modo comunicativamente suggestivo un concetto sul quale si desidera portare l’attenzione dei lettori. L’efficacia comunicativa tuttavia rischia di confermare la convinzione dell’uomo che esista una incompatibilità tra la sfera secolare e la spirituale e di consolidargli quindi che: “tutto ciò che è buono o divertente faccia male o sia peccato”. L’inadeguato livello di maturità culturale raggiunto in ogni tempo dalla società conduce gli individui a provare disagio per le scelte che essi privilegiano rispetto a quelle proposte dagli ideali della Chiesa d’appartenenza. Ciò crea una schizofrenia tra l’uomo imprenditore e i consumatori eticamente corretti. Ciò che è praticabile sul mercato per soddisfare le proprie aspettative e che motiva a impegnare le proprie risorse individuali diventa nocivo per se stessi o per il più prossimo nucleo sociale.

In realtà i risvolti “materiali e spirituali” del comportamento umano sono noti sul piano scientifico molto meglio di quanto non suggerisca questa errata divisione storica del “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La maturazione dell’uomo deve avvenire individualmente e tramite la maturazione libera dei suoi comportamenti sul mercato nel quale si pretende egli sappia valutare i “valori” che è disposto a scambiare a fronte dei “soddisfacimenti” che possono assicurargli i beni e servizi scambiati. Ogni uomo nutre una peculiare serie di aspettative di dare soddisfazione a una gamma di propri bisogni accettando di pagarne il prezzo col fornire propri beni e servizi (lavoro) o con risparmio accumulato grazie ad esso.

Occorre riflettere su concetti scientifici ormai di comune familiarità e che le “scienze umane” hanno ben illustrato. La Ofelimità dei Beni e Servizi di Wilfredo Pareto, è la proprietà che i beni economici hanno di soddisfare bisogni umani. Pareto preferì il termine “ofelimità” al più comune “utilità” per sottolineare che non sempre ciò che desideriamo (che ci è ofelimo) ci è anche utile (nel senso di favorevole). L’altro concetto ben consolidato è fornito dalla psicologia ed è sintetizzabile nella Scala dei Bisogni che motivano le azioni umane. I bisogni che l’uomo cerca di soddisfare sono collocabili in scala di contenuti di crescente spiritualità e di sempre minore materialità. I criteri secondo i quali ciascuno accetta, nella fase di maturazione in cui si trova, di stabilire il “rapporto di peso” tra il valore ceduto e quello acquisito nello scambio sono funzione dinamica di un giudizio che non può essere stabilito ope legis. Prostituirsi non avviene solo sulle strade per sbarcare il lunario. Si tratta di una svendita di valori umani e personali che avviene anche in forme ben più astratte per gratificare le proprie aspirazioni intellettuali o di sete di potere nutrite da ognuno alla data.

Occorre che sia il Libero Mercato lo scenario nel quale questa aspirazione dell’uomo a crescere nella scala spirituale sia libera, quindi responsabilmente perseguita. Ogni imposizione non è stabile né meritoria. Non c’è salvezza senza adesione convinta e stabile a comportamenti eticamente nobili. Fuori dal Libero Mercato non è possibile che ciascuno possa manifestare responsabilmente le proprie scelte concrete e quotidiane e con ciò maturare una storia di errori e associate sofferenze che gli permette di invecchiare e crescere in saggezza verso la rinuncia ad “avere” per poter “essere” in modi più completi e gratificanti. Le scienze umane dalla medicina, all’economia, alla psicologia ci hanno chiaramente illustrato questa ineluttabilità di una via verso la maturazione tramite l’auto-educazione. Il palcoscenico sul quale si può sviluppare unitariamente questo gioco di auto-educazione è il libero-mercato. Esso costituisce l’istituzione di interesse pubblico pienamente libera da altre ingerenze che non siano quelle dettate dalla visione personale che ciascuno ha della vita e della collocazione in essa di se stesso, della sua famiglia, dei suoi amici, del clan, della tribù, dell’associazione, del sindacato, del partito, della chiesa, del gruppo terrorista, della cosca mafiosa o di qualsiasi altra istituzione collettiva cui la sua storia e tragitto culturale lo abbia condotto ad aderire per gratificare le sue aspettative, per trovare motivazione nell’erogare le proprie energie psichiche e soddisfare le sue aspirazioni. Ogni altra forma di imposizione dei criteri di decisione è propria di visioni ideologiche che si giustificano solo finché il cittadino non sia diventato adulto e quindi responsabile delle proprie decisioni e scelte sul mercato. Oltre al Libero Mercato non esistono istituzioni altrettanto efficienti nel produrre il progresso individuale e collettivo della società. Come dimostra l’unicità della civiltà ‘Occidentale’ in quanto capace di garantire la costante crescita sia dell’economia che dell’etica sociale. Una civiltà che ha abbattuto in modo costante ogni vecchio confine imposto dalla tutela dei privilegi delle proprie elite di governo. Fino alla recente “globalizzazione” ogni fase del progresso civile è stata imposta alle vecchie istituzioni statali dal progresso industriale che è riuscito ad applicare l’innovazione tecnologica in beni e servizi capaci di appagare le frustrate aspirazioni di una massa di potenziali consumatori ancora focalizzati sull’appagamento di consumi prevalentemente nei gradini inferiori della Scala dei Bisogni. Questa è democrazia liberale e cristianesimo responsabile. Imporre invece altri criteri di misurazione delle propensioni ai consumi inibendone quelli ritenuti deprecabili dalle elite di governo e stimolandone quelli dalle stesse ritenuti qualificanti non solo distorce il mercato ma toglie ogni merito ai singoli per i loro comportamenti etici e toglie loro ogni demerito per le conseguenze deteriori oltre a comportare la trasformazione delle istituzioni liberal-democratiche in istituzioni illiberali e governi autoritari ispirati a principi forse superiori ma la cui scelta non è avvenuta per conversione ma imposta.

Se, invece di stigmatizzare continuamente i concetti scientifici attribuendo loro valori che essi non sanno né si propongono di rappresentare, riusciremmo a stabilire una migliore relazione tra Fede e Ragione che mi sembra sia l’obiettivo del Cristianesimo da sempre e del teologo Joseph Ratzinger in particolare.

Alla luce di questa indispensabile migliore relazione tra Fede e Ragione non posso condividere il commento che i media organici alla più squallida forma politica anti-capitalista hanno attribuito alla recente enciclica di Benedetto XVI: “non tutto è mercato”. Tra l’altro il sedicente mondo “laico-progressista” non trova di meglio che fondare le proprie ragioni stataliste della programmazione economica e degli associati regimi illiberali sui contenuti della Chiesa di Roma che ad ogni passo vengono stigmatizzate come residui  ante-illuministi dell’integralismo dogmatico della cultura prevaricatrice dell’’Occidente’ in un mondo multi-culturale in cui invece debba imperare il relativismo. Infatti rifiuto quella sintesi dei contenuti di un’enciclica formulata da uno dei Pontefici più sensibili alle ragioni della Ragione e della Scienza come strumenti donati all’uomo per indagare su tutte le manifestazioni del “disegno intelligente” Divino in Natura,  così come ho sempre rigettato il commento dei media sulla presunta incompatibilità tra Scienza e Religione e quindi sul diritto delle Università di espungere la Teologia dall’insegnamento in quanto materia disomogenea rispetto a quelle “scientifiche”. Il concetto di “scienza” impiegato dai “laici” per questa espulsione della Teologia dalle Facoltà Scientifiche è puramente strumentale a conservare l’egemonia culturale del “laicismo ateo” generato dalla sciagurata frattura culturale prodottasi con la Rivoluzione Francese che tentò in modo di sostituire al Dio delle religioni storiche la Umanità Trasfigurata dalla Dea Ragione nel suo assetto perfetto raggiungibile negli ultimi tempi. Una sorta di vera e propria teologia laicista e secolare che si arrogò il diritto di esercitare un’egemone guida politica sulla base di una “superiorità antropologica” delle elite colte rispetto alle masse succubi delle teocrazie superstiziose. Con la coerente e conseguente ghettizzazione delle basi stesse dei regimi liberal-democratici e del libero-mercato creati nei millenni dal capitalismo-industriale che ha affinato i suoi modi di produzione adeguandoli alle aspettative e necessità prevalenti nel tempo. Sulla base di un gioco di domanda/offerta sul mercato in cui le masse di individui manifestano le loro libere e responsabili scelte in barba alle leggi imposte dalle elite di governo. Libere e responsabili scelte che hanno sollecitato la creatività innovativa con cui il capitalismo-industriale è riuscito a gratificare gradualmente anche l’aspettativa di beni e servizi meno materiali che è cresciuta tra i “consumatori” fino a condurli a preferire l’offerta di servizi politici di carattere liberal-democratico a quelli più rozzi proposti dalle elite secolari nel passato o dalle elite teo-cratiche sia atee che religiose in ogni tempo.

Insomma, se si assegna ai termini il corretto ruolo che essi hanno e cioè di consentire comunicazioni sempre meno mistificatrici nella società, occorre dire che “tutto è mercato” per ciò che concerne le manifestazioni degli uomini nella società; invece di quanto affermato in modo illogico in “non tutto è mercato”. Mi spiego.

La Natura Fisica è lo scenario che ospita i fenomeni naturali ed è il “laboratorio” in cui si sono sviluppate le “”scienze esatte”. Il Mercato è invece lo scenario in cui si sviluppano i rapporti umani il cui studio è oggetto delle “scienze umane”. I criteri per classificare di “scientifica” una ricerca in entrambi i comparti hanno subito costanti riesami critici che consentono ormai di definire come tali gli studi di materie umanistiche un tempo ritenute puramente “arti”. La critica dei metodi, criteri e significati ha aiutato la ricerca scientifica in ambo i comparti scientifici ed è stata dominio della filosofia una meta-scienza che governa l’affinamento dei mezzi che la logica fornisce al progresso scientifico consentendo livelli di concettualizzazione della “realtà” sempre più astratti e capaci di crescere nelle conoscenze umane. Una seconda meta-scienza ha permesso di affinare strumenti di rappresentazione logica dei concetti astratti a loro volta rappresentativi della “realtà” scientifica: la matematica. Esiste un’altra meta-scienza che si propone di misurare l’esistenza in Natura di un intrinseco “disegno intelligente” che guidi il costante progresso verso la trascendenza spirituale degli uomini: la teologia. La teologia in questo suo impegno è una scienza che cerca di chiarire in modi sempre meglio comunicabili in modo “scientifico” all’uomo il suo costante progredire verso la spiritualità tramite le sue quotidiane e libere scelte di mercato che manifestano il grado di contenuti spirituali e materiali proprio delle aspettative e delle motivazioni vigenti nella società. Esiste poi un secondo compito della teologia che si dedica a studiare i modi in cui aiutare a stimolare la intima domanda di religiosità presenti nella società ed a aiutare la società ad adottare schemi comportamentali più confacenti coi dettami dottrinali. Questo aspetto è più intimo “esoterico” e si colloca al di la delle classificazioni scientifiche.