06/10/2008

Governance del NOG

Il recente provvedimento ‘illiberale’ assunto dal Congresso USA dietro proposta dei consulenti finanziari dell’amministrazione Bush e’ il primo atto legislativo che incide sui criteri di indirizzo della governance del Nuovo Ordine Globale su base geo-politica planetaria. Un criterio cioè che privilegia una sorta di tutela privilegiata del ruolo svolto dalle elite finanziarie rispetto a quello dei consumatori-risparmiatori che costituisce il legittimo ‘corpo elettorale’ in ogni democrazia di libero-mercato.

In tal senso si può correttamente accogliere l’inorridita critica espressa dai sostenitori del criterio fondante della ‘liberta’’ in liberal-democrazia, quello cioè di volere ‘conservare’ la piena ‘responsabilizzazione’ individuale di tutte le scelte quotidiane che imprenditori e consumatori assumono sul libero mercato in totale libertà di scelta competitiva.

Conservare questo criterio fondante del funzionamento del libero-mercato e’ la premessa necessaria (anche se non sufficiente) per garantire la vitalità del sistema politico liberal-democratico che deve trovare in sé stesso le risorse per ‘immaginare’ in modo innovativo la sua crescita (la ‘globalizzazione’ oggi) e per superare con le proprie autonome forze e nel rispetto delle regole fondanti le crisi che tale costante processo innovativo comporta.

Non per niente negli USA (il Paese in cui e’ più solida la tradizione ‘conservatrice’ sia del libero mercato che della liberal democrazia) si e’ manifestato un diffuso dissenso verso il provvedimento ‘illiberale’ che rispecchia una deviazione dai principi fondanti del ‘libero mercato’ (addossare ai contribuenti le responsabilità di una crisi del comparto industriale ‘finanziario’) e della ‘liberal-democrazia’ sollecitare un provvedimento legislativo maturato nell’ambito del potere esecutivo (su sollecitazione di uno staff abbondantemente ‘colluso’ con le lobby elitarie del solo ‘mondo della finanza’) ed approvato (dopo un forzato pressing delle ‘lobby legislative’ particolarmente forti nel Senato) da un Senato in cui la ‘voce degli elettori’ risulta efficace solo per un terzo dell’assemblea in corso di rielezione a Novembre e invece rigettato in prima istanza da una Camera dei Rappresentanti che pone a rischio il proprio seggio per la totalità dei suoi membri.

Ciò che e’ accaduto per ‘creare questa crisi’ nel mondo globale della finanza e’ stato tanto chiaro quanto condivisibile da parte di ogni ‘conservatore’ della liberal-democrazia e del libero mercato. E’ successo che l’unica potenza egemone sul piano planetario in termini di competitività industriale, militare e finanziaria ha voluto accelerare la propria egemonia industriale coinvolgendo nel suo paradigma operativo quei mercati che fino al crollo del ‘muro di Berlino’ ne erano restati esclusi non ostante l’attrattiva del suo paradigma per le popolazioni soggette ali paradigma operativo ad esso ideologicamente ‘alternativo’.

L’accelerazione dell’estensione degli insediamenti industriali a Paesi molto popolosi era necessario fosse sostenuta da investimenti di capitali finanziari di dimensioni ‘significative’ per stimolare lo sviluppo nell’ambito di cooperazioni che risultassero di reciproco interesse per aumentare anche un sottostante comune interesse economico che risultasse utile sul medio e lungo termine, oltre che su quello puramente del project financing industriale, a consolidare condivisibili criteri perché le scelte politiche ed istituzionali nei Paesi di nuova industrializzazione potessero risultare tra loro compatibili se non convergenti.

La liberal-democrazia potrà svilupparsi e consolidarsi solo se il libero mercato globale si rivelerà utile per conseguire la crescita di consenso sociale nell’ambito dei Paesi in via di sviluppo grazie al riscontro pratico da parte dei loro cittadini del credibile miglioramento di condizioni di vita e di benessere economico associati al processo della globalizzazione.

L’unica moneta accettata globalmente sia presso i consumatori che da parte delle aziende industriali e degli istituti di emissione del credito, e’ il dollaro USA. Esso gode inoltre del privilegiato rapporto lobbistico con le istituzioni di pubblico interesse (Borse valori di Wall Street e di Chicago, Casa Bianca e Congresso USA) che sono le uniche a condividere un unico paradigma decisionale e ad avere rodato nel corso di oltre duecento anni processi decisionali assolutamente efficienti e competitive rispetto a quelli che animano ancora ogni altra realtà geopolitica che potesse nutrire ambizioni di svolgere ruolo di co-protagonista.

La massa di dollari USA circolante al di fuori del mercato interno Americano (petro-dollari, euro-dollari) sono, da decenni, di dimensioni comparabili. Le decisioni assunte nell’ambito delle istituzioni di pubblico interesse negli USA non possono che riverberarsi su ogni mercato in cui sia in uso o sia depositata come titolo di riserva la stessa valuta.

L’aumento di capitali necessario per sostenere in tempi rapidi la decisione assunta di dare una celere crescita del credito per lo sviluppo industriale su base globale non poteva essere soddisfatta con la stampa di nuovi dollari per non riflettersi immediatamente su un aumento del tasso di inflazione negli USA con le associate ripercussioni negative sulla qualità di vita degli elettori-consumatori di quel Paese egemone.

Tale aumento e’ stato soddisfatto a partire dalla decisione dell’esecutivo di Bill Clinton (decisa dal suo staff finanziario partecipe delle elite di Wall Street) di consentire al sistema finanziario del Paese di finanziare attività di un vasto e diffuso interesse pubblico e di mercato (mutui fondiari privi di ‘garanzie’ adeguate, credito al consumo). Ciò premise di creare innovativi prodotti finanziari che, basandosi sull’aumentato debito, cercavano di ‘compensarne i rischi’ con meccanismi auto-assicurativi interni agli stessi. Si cercò di ‘spalmare il rischio del credito non adeguatamente garantito per fruire del ‘meccanismo di leva’ (moltiplicatore del credito primario – ‘leverage’) che l’aumento del debito poteva assicurare con immediate benefici interni agli USA (calo dei prezzi nel corso del processo di ‘delocalizzazione-sostituzione’ degli impianti industriali del Paese) e ai Paesi di nuova industrializzazione (esportazione negli USA dei beni prodotti negli impianti delocalizzati nei nuovi Paesi – e’ emblematico l’accordo IBM-Cina).

Una volta consolidato il celere processo di coinvolgimento globale di Paesi come Cina e India le cui economie sono ormai irreversibilmente impegnate a sostenere un processo industriale di dimensioni ‘travolgenti’, si e’ cominciato ad affrontare il processo del controllo sulla massa finanziaria impegnata. La governance richiederà in una seconda fase che si definiscano anche nuovi processi istituzionali a livello globale per assicurare che le nuove esigenze industriali vengano agevolate da compatibili scelte politico-legislative e che, a loro volta, queste istituzioni in fieri tendano gradualmente a consolidare analoghi principi operativi di carattere liberal-democratico e di associato libero-mercato.

La recente ‘illiberale’ decisione dell’esecutivo e del legislativo USA sono quindi totalmente in linea con le esigenze di assicurare la governance finanziaria e, successivamente, politica del Nuovo Ordine Globale. Ciò che la rende invisa a ogni onesto ‘conservatore’ dei principi fondanti della liberal-democrazia e’ che quella scelta trasferisce a spese del contribuente i costi di piccole e continue ‘irresponsabili’ scelte (dei risparmiatori avidi, dei consumatori sprovveduti, degli istituti fondiari imprudenti, degli istituti finanziari temerari) la cui soma ha concorso nel tempo a comporre quella massa di credito non-garantito che oggi chiede di essere riportato sotto controlli più efficienti di quelli passati; grazie all’esperienza acquisita proprio nel corso del recente fenomeno di globalizzazione del credito.

Si sarebbe preferito stabilire una ‘prassi istituzionale’ (che si riverbera’ inevitabilmente sulle istituzioni finanziarie e politiche della ‘governance’ globale) che risultasse più rispettosa del paradigma liberal-democratico. Ad esempio che le tante, costanti e diffuse ‘irresponsabilità’’ commesse sul mercato globale fossero pagate dai ‘privati’ (aziende, banche, risparmiatori, lavoratori) tramite processi ‘spontanei’ di libero-mercato, invece di essere ‘spalmate’ sui contribuenti (le stesse aziende, le stesse banche e stessi lavoratori) ma secondo criteri ‘suggeriti’ e guidati ope-legis dalle lobby finanziarie alla Casa Bianca e al Senato.

I ‘conservatori’ sanno bene che in ultima analisi non può che essere l’elettore a pagare per lo sviluppo del benessere industriale e tecnologico. Essi sanno tuttavia che e’ meglio ‘pagare’ tramite criteri ‘selvaggi’ (ingovernabili da chiunque) piuttosto che pagare tramite pur ‘illuminate’ decisioni di vertice imposte top-down da ristretti circoli di ‘menti sottili’ che popolano le lobby e gli staff delle istituzioni di interesse pubblico. Menti sottili che tra l’altro o sono state conniventi nello scatenare l’accelerata globalizzazione industriale, oppure non ne hanno saputo prevedere le conseguenze oggi da essi stessi paventate come ‘catastrofiche’ e di cui essi stessi vorrebbero ‘suggerirne’ le modalità e I criteri di rientro.

Bull-shit direbbe l’uomo di Main Street. In ogni caso e’ evidente che non sia successo sulla di grave ma che si stia solo consolidando (seppure in modo ‘illiberale’) una nuova fase dello sviluppo industriale globale. In barba ai terrorismi demagogici tanto cari ai ‘progressisti’ anti-mercato e anti-liberal-democratici.