06/10/2009

NOG: ruoli-guida e ruoli-minori

Gli Stati Uniti d’America e la Cina si sono pragmaticamente appropriati del ruolo-pilota nel processo di negoziazione del Nuovo Ordine Globale che compete loro grazie al livello di rischio di instabilità cui il loro ruolo espone la cooperazione industriale ormai irreversibilmente avviata nel corso degli ultimi decenni.

Il vertice gerarchico del G2 consente a USA e Cina di concentrarsi, al di fuori di ogni azione di disturbo che potrebbe rendere meno efficiente l’avvio di una nuova governance del sistema della economia globale, sui termini meno ideologici della negoziazione. Un terreno ideale per entrambi gli interlocutori che da sempre si ispirano al concreto pragmatismo che tra l’altro è congeniale alla “filosofia politica” del partito democratico e alla Casa Bianca.

Solo dopo avere concordato le linee di massima sulle quali potrà essere trovato un credibile e reciprocamente accettabile compromesso d’interesse reciproco in sede G2, USA e Cina dovranno coinvolgere altri partner per dare corpo ed efficacia alle soluzioni scelte come accettabili. La loro sicurezza basata sulle scelte concordate e la loro preponderante influenza sull’andamento della globalizzazione (complementarietà tra i due mercati di produzioni e consumi e stretta interdipendenza valutaria di debiti/crediti/riserve nel G2) è garante della loro disponibilità a negoziare coi partner successivi (in una catena gerarchica definita dai pesi attribuiti ai diversi sistemi produttivi nazionali in termini di redditività, stabilità, credibilità, solvibilità) specifici compromessi di livello regionale nei quali potranno avere un loro peso anche fattori di carattere militare. Si tratta di una sequenza di negoziazioni che aderisce ad una gerarchia molto pragmatica e valutabile a fronte del contesto geopolitico globale. Una gerarchia di pesi che non attribuisce alcuna speranza a sterili aspettative fondate su ruoli politici svolti nel passato da singoli Paesi ormai ridotti alla marginalità.

Il G8+ potrà essere l’ambiente nel quale la seconda schiera gerarchica di Paesi già profondamente impegnati dalla globalizzazione potrà negoziare specifici ruoli regionali accettando di addossarsene i costi a fronte di comparabili benefici. È in questo gruppo che l’UE potrebbe venirsi a trovare qualora seguitasse a rifiutare di articolare una sua linea politica d’assieme oggi in coerenza con le scelte unilaterali degli USA verso la Cina. Qualora l’UE proseguisse passivamente ad assistere alle decisioni molto accelerate (imposte dal G2 per pure ragioni “tecniche” dettate dalla necessità di definire una condivisa governance globale) arriverebbe alla fase delle successive negoziazioni “politiche” in cui i ruoli regionali negoziabili saranno ormai definiti da esigenze ben consolidate dagli accordi assunti dai due partner del G2. Si tratterebbe allora di far valere i pesi specifici dei sistemi industriali nazionali che, in ambito UE, sono ben chiari e difficilmente modificabili nel medio termine. Pesi di appetibilità regionale in cui non solo Germania, Regno Unito, Francia ma anche Svizzera, Olanda, Svezia, Danimarca potrebbero risultare più attrattivi di quanto non possano esserlo Paesi come CSI ed Italia. I pesi secondo cui verrebbe definita la scala di appetibilità regionale dei Paesi sarebbe più misurata sul Reddito Nazionale pro-capite infatti invece del più astratto Reddito Nazionale globale. In quella fase ogni Paese potrebbe far pesare sulla bilancia solo fattori geopolitici che ne gratificassero l’attrattività occasionale (posizione geografica, sede della Chiesa, etc.).

Ciò che l’UE potrebbe quindi fare ancora oggi dato lo stato delle negoziazioni in sede G2 richiederebbe una compattezza decisionale che risulta chiaramente poco credibile non solo per la sproporzione tra le azioni ancora necessarie per convincere i Paesi recalcitranti ad aderire. Irlanda (col referendum che viene comprato dalla Commissione) ma anche Regno Unito e Danimarca non ancora integrati nell’euro-valuta e Islanda che vi si è integrata solo per scaricarvi gli oneri del collasso finanziario e della valuta nazionale.

L’unica opportunità dotata di un adeguato grado di credibilità perché l’UE possa inserirsi immediatamente come training sparrow è stata offerta già da Obama all’UE tramite il suo peso militare nella NATO. Questa alleanza tra Europa e Stati Uniti è riuscita a rodare comportamenti industriali, logistici e militari che hanno dimostrato su base globale un loro grado di efficienza e di compattezza ‘Occidentale’. Tanto che nuovi Paesi dell’Est Europa guardano alla NATO come sintomo della volontà politica di USA+UE di accoglierli nello stesso contesto politico-istituzionale per liberarli dai vecchi, invisi e inefficienti legami istituzionali propri del mondo ereditato da una CSI che risulta ancora primordiale sul piano della competitività industriale.

Obama, per pure e per l’UE fortunate ragioni contingenti, sta proponendo all’UE di aderire a scelte politico-militari fondate sulla NATO. Dall’invasione dell’Afghanistan (legittimata perfino dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU – che quindi legittima formalmente la NATO ad operare in scenari operativi globali e non limitati ai suoi soli interessi originari), allo scudo-antimissili dislocati nei nuovi Paesi dell’Est Europa (che servono a invitare l’UE ad aderire alle conseguenti posizioni diplomatiche in coerenza con le motivazioni che hanno mosso gli USA ad investire unilateralmente a quello spiegamento simbolico), alla recente dichiarazione in sede ONU che la guerra in Afghanistan è una guerra NATO, alla probabile e drammatica scelta unilaterale USA di agevolare la distruzione dei siti nucleari in Iran con un’azione di difesa-preventiva da parte di Israele. È inevitabile che l’eventuale adesione dell’UE a quelle proposte di Obama ne consoliderebbe il tradizionale ruolo di partner-primario sullo scenario globale in connessione con gli altri Paesi che consoliderebbero quel ruolo con la loro inevitabile adesione per le molte e diverse ragioni storiche, economiche e culturali (Africa e Commonwealth).

Accettando il ruolo di partner-privilegiato l’UE sarebbe naturalmente costretta a mettere mano al portafogli e sostenere in modo negoziabile ma paritetico i costi della politica globale USA. Indipendentemente dal colore della specifica amministrazione insediata alla Casa Bianca. L’UE tuttavia pur dovendosi allineare alla politica USA vedrebbe semplificarsi le soluzioni ai suoi processi di integrazione politica e industriale e potrebbe avere un peso maggiore nelle negoziazioni industriali (quantomeno in quelle che avessero impatto sulla sicurezza comune e sulla logistica industriale del “blocco NATO”). Tra l’altro dubito che il Regno Unito possa rifiutare l’occasione unica di aderire come unico partner privilegiato a un accordo immediato con gli USA data la già esistente integrazione tra i due sistemi legali e linguistici che ne agevola le relazioni.

Credo che questo sia un puro wishful thinking e che assisteremo invece alla più sterile conduzione di azioni interne e verso l’esterno da parte di un’UE priva di qualsivoglia credibilità e capacità di sinergia industriale. Una stasi che, appesantita dall’inefficienza dettata dalla disparità dei sistemi giurisdizionali, amministrativi, militari, educativi (e inoltre dalla conservazione gelosa di almeno 30 lingue ufficiali), condurrà a perdere il treno e trovarsi poi costretti come singoli Paesi a salvare il salvabile degli interessi nazionali. Interessi dai quali nel frattempo si saranno opportunamente sfilati quei gruppi industriali che ne avranno trovato il modo e l’opportunità (magari agevolata da proposte di gruppi USA o cinesi interessati a guadagnarsi delle posizioni di vantaggio sulla controparte).

Credendo ciò, credo anche che l’unica strada percorribile da subito da parte di governi stabili in Italia non possa che essere quella di agevolare l’integrazione del tessuto produttivo più competitivo e flessibile di cui dispone il Paese (quello cioè delle medie aziende a carattere familiare-artigianale – tra cui anche gruppi di grande prestigio mondiale come Ferrari, Benetton, Biagiotti, Lungarotti, etc.). Una tale linea politica inoltre, potrebbe arricchirsi di un linguaggio ispirato all’etica della solidarietà cristiana che riceverebbe un avallo e rinforzo di efficacia dalla Chiesa di Roma. Solidarietà che rifiuti lo sradicamento dei derelitti del Sud dal loro Paese per offrire loro invece spazi produttivi in sinergia con il know-how del tessuto artigiano di imprese, il solo che può permettersi di adeguare le fasi dei propri processi produttivi alle capacità ricettive della cultura meno ‘occidentalizzata’ delle maestranze che sono invece necessarie ai grandi gruppi industriali per potersi garantire gli standard manageriali sulla cui base sono fondate le soluzioni tecnologico-organizzative che si sono standardizzate in quell’ambito industriale.