06/05/2011

Regime changes e nuovo ordine globale

La lunga serie di rivolte in tutti i paesi significativi per i futuri equilibri industriali e soprattutto la recente eliminazione dell’emblema del terrorismo internazionale in Pakistan sono tutti segni delle decisioni che sono state assunte fondate su una ampia base di consenso internazionale per agevolare il rapido consolidarsi del processo di governance condivisa a sostegno della globalizzazione industriale.

L’eliminazione fisica di Osama Bin Laden con relativa eliminazione dalla scena anche dei suoi resti mortali per evitare che potessero divenire una reliquia e memoria di un martire, ha favorito la rielezione di Obama per un secondo mandato negli USA. Un secondo mandato utile per dare continuità e stabilità alle relazioni internazionali sulla quali si sta lentamente consolidando il consenso politico necessario per istituire nuove istituzioni cui affidare la stabilità della governance globale.

Obama ormai è pienamente accettato sia alle oligarchie USA che a quelle degli interlocutori esteri grazie alla sua graduale ma ferma virata dai suoi originari programmi politici sia interni che esteri. Questa virata lo ha privato del consenso da parte delle ali più radicali che gli avevano assicurato la vittoria elettorale sulla base di promesse di istituzione negli USA di forme di welfare state e di programmazione industriale.

Il ‘tradimento’ delle promesse di welfare state ha privato Obama della militanza degli attivisti neri e ispanici degli slum e degli immigrati illegali che avevano sostenuto la partecipazione al voto di quelle masse che non si recano, in genere, alle urne.

Le conseguenze del ‘tradimento’ della ‘programmazione industriale’ invece è stato parzialmente compensato finanziando a spese del debito federale il salvataggio dei principali gruppi industriali e finanziari alle cui sorti erano collegati gli interessi delle lobby politiche più attive sul piano elettorale e in genere favorevoli al partito Democratico i sindacati dell’auto negli stati che hanno espresso la candidatura di Obama, le lobby dei principali gruppi finanziari indifferenti ai due partiti ma fondamentali in materia di politica estera e le lobby delle istituzioni tradizionalmente fiancheggiatrici dell’amministrazione federale (National Institute of Health, NASA, industria militare, Fannie Mae, Freddie Mac, assicurazioni). Quel finanziamento a spese del debito federale è stato sostenuto forzatamente dalla Cina sulla quale agisce ora come strumento di pressione per concordare una nuova governance di reciproco beneficio USA e Cina.

Col ‘tradimento’ della ‘programmazione economica’ tuttavia Obama si è privato del sostegno dell’ala liberal del sistema mediatico (stampa, TV, Hollywood) ma si è accattivato i favori delle lobby ‘conservatrici’ e più potenti in materie di politica estera. Infatti la rinuncia a cambiare protagonisti e i programmi sullo scenario bellico e a chiudere i carceri straordinari come Guantanamo e Abu Ghraib e il rilancio dei finanziamenti dei sistemi militari ha creato una sostanziale indifferenza elettorale di quelle lobby rispetto ai due prossimi contendenti.

Per completare la sua posizione di fronte all’elettorato, Obama aveva necessità di dimostrare un minimo di adesione al suo azzardato e irrealistico programma di ‘change we can’ in materia militare. Spostando alla CIA il generale Petraeus, nominando Ryan Crocker ad ambasciatore in Afghanistan, riabilitando il generale Mc Chrystall e confermando la strategia di interventi armati per avviare regime changes utili per agevolare l’istituzione di regimi liberal-democratici, Obama ha creato le premesse per poter accelerare il ritiro di parte delle truppe dal campo di combattimento in Asia e altrove – per questo l’atteggiamento ostile all’intervento armato in Libia.

Ciò che era necessario per poter in concreto avviare i rientri di truppe, era agevolare la stabilità di governo in Pakistan; il centro più critico per raggiungere la stabilizzazione in Afghanistan e Iraq.

In Pakistan infatti esiste un equilibrio precario tra tre governi paralleli; quello civile eletto con criteri liberal-democratici secondo la tradizione istituita dalla lunga permanenza del paese nella sfera politica britannica, quello militare che controlla l’armamento nucleare in mano al paese e che viene gestito dal capo di stato maggiore e dai suoi accordi con gli omologhi USA e quello più ‘tradizionale’ gestito dagli esponenti religiosi tra i quali una notevole porzione è adiacente ai movimenti fondamentalisti islamici e che sono sostenuti per ragioni ‘patriottiche’ in chiave anti-India dai servizi segreti.

Per agevolare la stabilizzazione di governo del Pakistan occorre consolidare l’egemonia del potere civile con un regime a carattere laico e tollerante nei confronti delle molte confessioni religiose che tradizionalmente hanno convissuto nel paese fino ad oggi (salvo una breve parentesi monocratico-satrapica alla caduta del Gran Moghul e durata il solo arco di vita del figlio più odiato dal popolo).

Per garantire tale egemonia politica, occorre agevolare la riconciliazione e reciproca fiducia tra le istituzioni militare (vista con ostilità sia dal governo civile per la sua prevaricazione istituzionale e dai servizi segreti per la sudditanza agli USA) e quella civile (corrotta per la frequente sottomissione alle priorità e potere dei leader di origini militari che vi dominano grazie al ruolo internazionale garantito dalle relazioni cogli USA).

Occorre anche agevolare una riconciliazione tra le istituzioni militari e quella dei servizi segreti in cui prevale la componente patriottica-militare rispetto a quella integralista religiosa.

L’elemento di rottura degli equilibri all’interno ai servizi segreti era proprio l’adiacenza di Osama Bin Laden ai leader di etnia pashtun conniventi dei talebani più integralisti dell’Afghanistan e del movimento di presunta ortodossia religiosa Al Qaeda ‘anti-occidentale’ in quanto civiltà empia e idolatra.

La presunzione di ortodossia è labile ma i successi anti-occidentali e filo-patriottici in Afghanistan, in Iraq e in Pakistan contro l’interferenza USA sulle politiche nazionali attraevano grandi simpatie tra le masse più diseredate delle aree pashtun e tra i vertici talebani; ora l’eliminazione del protagonista ‘rivoluzionario’ crea le premesse per poter instaurare un tentativo di regime change in Pakistan attorno ad una figura che goda di popolarità personale ma sia totalmente distaccato dalle vecchie beghe interne. Oggi attorno a Imran Khan (un’icona nazionale eroe nazionale in quanto campione mondiale del cricket) si potrebbe avviare il tentativo di sviluppare una riconciliazione interna tra i tre poteri separati dello stato per il cui successo un graduale ritiro dei militari USA dal ruolo egemone più vistoso potrebbe essere certamente un’agevolazione. Ciò può essere sostenuto per la riconosciuta autonomia dell’attuale capo del governo militare Ashraq Parvez Kayani dalle collusioni che rendono ancora non pienamente affidabili i servizi segreti Pakistani con le loro frequenti connivenze interne coi talebani più coinvolti con una visione fondamentalista della legittimità dello stato inaccettabile per la governance di un moderno sistema industria-stato ed estranea alle redici culturali più profonde del paese. Una visione tribale dell’etnia pashtun è accettabile in ogni paese come avviene nelle aree più tradizionaliste e pre-industriali di tutti i paesi. Pretendere che la visione tribale e del fondamentalismo si ponga alla guida di un moderno paese industriale (come Iran, Iraq, Egitto, Libano, Giordania, Siria, Turchia e Pakistan) è semplicemente destinato a conservare il paese ai margini della crescita economica in ruoli geopolitici marginali; un destino inaccettabile ovunque per le giovani generazioni e per le donne, impossibile da accettare per il Pakistan se si volesse istituire continuità culturale tra la civiltà ‘Occidentale’ (Oceania e Giappone inclusi) e l’estremo oriente continentale. Oggi la nomina del generale Petraeus al vertice della CIA agevola la riconciliazione tra i due servizi segreti USA e Pakistano. Tutto coopera al successo avviato in Asia Centrale da ‘W’ Bush e dal suo team vincente di governo (ivi incluso l’eccellente Condoleezza Rice – unica vera ‘nera’ al vertice della politica estera USA).

Col risultato favorevole all’interno del suo paese, sul piano elettorale, anche per Obama Barack nella sua seconda versione ‘conservatrice’ che, come accade sempre per i migliori presidenti Democratici, conferma la regola patriottica elettorale USA ‘se i Democratici avesse cervello, voterebbero Repubblicano!’.

Clinton si è dimostrato un eccellente presidente una volta liberatosi delle manie di Hillary. Obama sarà un eccellente presidente se si sarà liberato dei ‘Chicago Boys’ e degli attivisti più ideologizzati attorno ad Acorn.

FDR ha inquinato di elementi deteriori di programmazione economica tuttora critici e parassitari con il suo New Deal (inclusivo di Fannie Mae, Freddie Mac e National Institute of Health) che pretendeva di risolvere la crisi del sistema industriale e finanziario che solo l’ingresso in guerra risolse brillantemente sia per i risultati politici che per la chiusura definitiva dell’era degli Stati Nazione da cui gli USA s’erano liberati da due secoli.

JFK non ha potuto mostrare il suo pragmatismo a causa della morte precoce ma il rischio creato con la sua visione internazionale con la ‘crisi di Cuba’ non depone a suo favore.

Jimmy Carter e la sua visione irenista in geopolitica è ricordato come un minus habens etichettato dal fallimento dell’intervento in Iran.

Obama, come tutti gli americani di prima generazione, è pragmatico e orgoglioso delle opportunità di cui il paradigma USA lo ha gratificato sulla base esclusiva dei suoi carismi personali (non della storia del suo clan familiare – all’opposto dei Kennedy - né delle fortune accumulate come tycoon – all’opposto dei Trump).

Pragmatismo, orgoglio patriottico e edonismo individuale rendono Obama oggi l’americano più capace di incarnare il ‘conservatorismo’ compassionevole e responsabile fondato dai Padri Fondatori e ‘conservato’ come risorsa di eccellenza nazionale da tutti i presidenti Repubblicani (e i pochi Democratici convertitisi sulla via di Damasco); da Teddy Roosevelt, a Ike, a Richard Nixon, a Ronnie Reagan fino all’eccellente ‘W’ Bush che ora Obama si trova ad emulare per cavalcare l’egemonia ‘Occidentale’ nel sistema industriale globalizzato. God Save Conservative America!