06/05/2011

Globalizzazione industriale e democrazia federale

La globalizzazione industriale è stata sollecitata in modo autonomo rispetto a scelte politico-istituzionali per garantire alle risorse finanziarie disponibili su base globale una possibile, maggiore redditività qualora esse fossero investite in iniziative di sviluppo economico che trascendessero i limiti dei vecchi mercati nazionali.

Il superamento delle istituzioni politiche che presiedevano alla governance del sistema industriale nell’era degli Stati Nazione è quindi intrinseco alle stesse ragioni che hanno avviato e garantito successo al processo industriale in corso con effetti travolgenti su ogni regime istituzionale precedente.

Questo carattere esogeno rispetto alla politica del processo che svolge un ruolo egemone sul cambiamento industriale è pienamente coerente col paradigma della liberal-democrazia in cui compito del governo e delle istituzioni politiche (esecutivo, legislativo, giurisdizionale, media, associazioni) è quello di agevolare le scelte industriali che sono assunte in piena e responsabile autonomia dai privati cui (professionisti, corporazioni, aziende) compete l’onere di affrontare i rischi dell’innovazione e di aumentare così il reddito prodotto dal sistema industria-stato.

Il criterio del ‘laissez faire’ giustifica e legittima il ruolo ‘di servizio’ delle istituzioni nei sistemi governati dal capitalismo-liberista; quello che ha dimostrato sul campo l’assoluta egemonia e competitività su ogni altro tipo d’organizzazione gerarchica della produzione fondato su regimi legittimati a ‘programmare’ il futuro dello sviluppo industriale e della ridistribuzione dei redditi ‘dall’alto’.

Il capitalismo-liberista e la liberal-democrazia legittimano ogni processo innovativo che avvenga in modo spontaneo e non pianificato, anzi ne auspicano il manifestarsi proprio perché la sua genesi non può essere attribuita all’interesse ristretto delle vecchie oligarchie di potere e alla presa delle loro corporazioni sulle vecchie istituzioni che controllano la governance di un sistema economicamente inadeguato e asfittico.

Il travolgente successo della globalizzazione è dovuto proprio al maggiore grado di gratificazione delle aspettative di crescita di reddito presso fasce di nuovi consumatori in precedenza esclusi dai processi della produzione, consumo e risparmio; in ogni paese e sotto ogni regime politico.

Questa attenzione alle nuove, enormi fasce di nuovi consumatori destabilizza i vecchi regimi e li costringe a modificare le istituzioni politiche in modi sempre più liberali ed accessibili al di la dei confini oligarchici; si tratta di un processo democratico proprio in quanto ‘esogeno’ rispetto alle vecchie strutture di governance.

Ma non solo sotto questo profilo si può riconoscere il carattere democratico degli effetti che sono imposti dal processo esogeno della globalizzazione, infatti l’attenzione dei produttori industriali che partecipano al processo in corso è diretta a catturare il consenso delle fasce più numerose di nuovi consumatori ovunque esse siano insediate e indipendentemente dalle loro diversità culturali. Ciò conduce il processo a servirsi di mezzi di persuasione che devono forzatamente adeguarsi ai limiti percettivi e ricettivi delle comunità locali caratterizzate da gradi di elevata resilienza al cambiamento. Agire culturalmente sui giovani che sono privi di fonti autonome di reddito non remunererebbe adeguatamente l’investimento di capitali necessario per il processo di occupazione di mercati alieni. Al fianco della propaganda sui giovani – utile in prospettiva per creare un mercato di consumi standard – occorre offrire immediatamente alle generazioni più adulte, e già caratterizzate da aspettative di consumi insoddisfatti, una gamma di beni e servizi ed opportunità di reddito che sia appropriata alle loro abitudini e profili culturali tradizionali. In assenza di opportunità occupazionali diffuse fino alle comunità più periferiche si creano nei paesi in via di sviluppo ondate di migrazioni interne e conseguenti destabilizzazioni sociali e politiche che minacciano la sicurezza del processo di globalizzazione industriale e la sua governance.

Occorre quindi che le fasi in cui si riorganizza la catena produttiva su base soprannazionale rispettino al meglio il potenziale di partecipazione delle comunità più popolose e più resistenti al cambiamento culturale.

Ciò è possibile grazie alla flessibilità organizzativa e manageriale ed alle tecnologie e tecniche di cui essa si può servire per raggiungere lo scopo di sollecitare la crescita del reddito senza creare reazioni negative che ne minaccino la dinamica in tempo e dimensione.

Le comunicazioni sociali, le tecnologie informatiche e il know how manageriale industriale sono elementi che possono progettare la delocalizzazione di fasi produttive in modo parcellizzato al fine di personalizzarne l’affidamento alle comunità meno acculturate alla partecipazione.

Ciò può garantire la stabilità delle istituzioni politiche più ‘locali’ che altrimenti reagirebbero assumendo forme d’opposizione all’avvento d’uno sviluppo industriale che minacciasse la stabilità sociale e economica.

È per questo che occorre istituire forme di relazioni internazionali tra leader locali in ogni paese perché tra di essi si istituiscano reciproche fiducia e disponibilità per sostenere venture industriali di medie dimensioni in grado di garantire la reciproca stabilità politica nel corso d’un processo di sviluppo che sarà inevitabilmente accelerato dal successo crescente del fenomeno in spirito ‘federalista’ delle economie più ‘locali’ avviato per compensare i disagi riversati dalla globalizzazione di cui altrimenti beneficiano immediatamente solo i più grandi gruppi industriali. Il rischio di destabilizzazione del consenso politico presso le comunità elettorali più tradizionaliste e conservatrici sim riverbererebbe in termini di costi assicurativi anche sui progetti di più ampio respiro con nocumento complessivo per tutti i sistemi produttivi globale e locali; conviene quindi che si assegni adeguata attenzione alle aspettative di crescita del benessere nutrite dalle comunità periferiche in seguito alla crescente penetrazione dello stile di vita ‘Occidentale’ che è diffuso dai prodotti e servizi multi-mediali di edutainment. L’accettazione presso gli adulti dei graduali cambiamenti, auspicati dai giovani e dalle donne nello stile di vita locale, può essere agevolata associando altre opportunità di crescita industriale locali allo sviluppo industriale indotto ai livelli nazionali dalla globalizzazione.

Gradualmente sta prevalendo nell’opinione pubblica dei paesi governati da regimi tribali pre-industriali un atteggiamento più disponibile ad accogliere le opportunità che la globalizzazione offre anche alla crescita del loro benessere. Ne è dimostrazione la ormai universale richiesta di cambiamenti politici in tutti i paesi sotto regimi islamici del Nord Africa e del Medio Oriente ove le piazze sono indice di spontanee sollevazioni dei più giovani, delle donne e dei ceti medi professionali privi di opportunità nell’ambito del tradizionalismo anti-occidentale. Ne è dimostrazione anche la reazione emersa negli stessi paesi a seguito della recente azione di giustizia in puro stile far-west esercitata dallo ‘sceriffo capo’ Obama sul ‘bandito capo’ Osama!

Ormai la legittimità dello stile ‘Occidentale’ emblematicamente rappresentato dall’egemonia culturale degli USA, è un fatto consolidato presso tutte le opinioni pubbliche nel mondo. I residui oppositori sono costretti nei confini di ‘ridotte ideologiche’ guidate da eredi viziati di oligarchie invise negli stessi loro paesi di origine.

Come è avvenuto per Osama Bin Laden membro ‘dissidente’ e viziato di un’oligarchia feudale che fonda il suoi privilegi di casta proprio nell’integralismo e fondamentalismo religioso ostile all’apertura ‘laica’ che si offre oggi alle masse di ‘sudditi’ dei paesi islamici grazie all’accettazione dei criteri della liberal-democrazia e del paradigma meritocratico intrinseco al capitalismo-liberista di libero mercato.

I parassiti sociali sono sempre ostili all’avvento della responsabilità individuale; essi cercano sempre di dare protezione illuminata alle anime (integralismi religioso) oppure alle tasche (programmazione industriale) di una massa da educare a corretti comportamenti descritti da illuminate dottrine spirituali o sociali!

In piena analogia con la genìa dei ‘rivoluzionari’ alla Philippe Egalitè di epoca giacobina, dei neo-giacobini Carlo Pisacane, degli nobili-anarchici Bakunin o dei radical-scic ‘Carlos’ in Venezuela, ‘Che’ Guevara in Sud e Centro America o, peggio ancora, delle Patty Hearst e dell’armata di liberazione simbionese.