06/04/2010

Riforme costituzionali

Ci si continua a chiedere in modo ipocrita se sia mai possibile dotare l’Italia di una Costituzione adeguata al millennio.

Dopo avere affermato che questo è un problema marginale che resta ancora caratterizzato da qualche senso solo in quanto l’Italia partecipa pienamente a un processo di integrazione industriale soprannazionale che la vede agire totalmente priva di sostegni istituzionali che siano dotati di una loro logica politica sia al livello della governance globale, sia a quello dell’Unione Europea.

Questa duplice assenza di punti di riferimento istituzionali da un lato agevola l’inserimento dell’economia italiana nelle nicchie più confacenti esistenti nello scenario globale, da un altro lato rende quell’economia la più esposta alle azioni protezioniste organizzate da Stati concorrenti in quanto a competitività industriale. L’UE non si è riuscita ad organizzare sul piano politico e ogni anno che passa, gli interessi industriali di tutti i Paesi europei creano legami di sistema con il mondo economico globale tali da rendere sempre meno probabile la nascita di una istituzione politica animata da autonome ispirazioni rispetto a USA e UK.

Tuttavia, per poter stabilire relazioni bilaterali con i Paesi che il sistema industriale “selvaggio” italiano sta scegliendo come partner privilegiati, occorrerebbe disporre di una linea politica stabile in cui fossero assenti criteri ideologici di qualsiasi tipo; secolari o religiosi.

Questo ci riporta al tema se sia o meno possibile scrivere finalmente una costituzione degna dopo lo statuto albertino e il fallito tentativo della costituzione repubblicana del 1947.

Tecnicamente la possibilità esiste per le due riletture in parlamento di una riforma che ridefinisca istituzioni più adeguate a servire le aspettative del paese nel contesto globalizzato in divenire. Ciò impone tuttavia alla sola maggioranza di scrivere la riforma costituzionale sulla base della sua forza politica parlamentare. Il che comporterebbe quasi certamente il passaggio della riforma completa con meno del 70% dei consensi richiesti e quindi il ricorso dell’opposizione al referendum confermativo che costituirebbe l’elemento elettorale chiave per le prossime elezioni politiche nazionali.

Politicamente la pubblica opinione potrebbe confermare all’atto del referendum confermativo che, in caso di una campagna elettorale incentrata sulla conferma o rigetto della riforma, si tradurrebbe in un successo per la maggioranza attuale. Ciò in quanto, al passare degli anni, le generazioni di elettori sono sempre meno sensibili a richiami ideologici e sono sempre più culturalmente abituate al linguaggio politico e economico della globalizzazione industriale. La dimostrazione è la resistenza politica di Berlusconi contro ogni tentativo interno o esterno al suo partito di ridimensionare la sua immagine di potenziale innovatore.

Al passare degli anni inoltre la forza di “resistenza” all’innovazione delle istituzioni esercitata dalle vecchie istituzioni ormai parassitarie dello Stato Nazione si riduce col ridursi delle posizioni clientelari offerte dal welfare state. La dimostrazione è la costante crescita dei consensi raccolti dalla Lega di Bossi in ogni regione contro le “istituzioni centrali” (stato e parastato identificate in “Roma ladrona”).

Con una buona e completa riforma costituzionale unilateralmente portata a termine e con una campagna elettorale nazionale impostata sulla “spallata finale” ai conservatori (sindacati, giudici, parlamentari, corporazioni, etc.) l’Italia potrebbe finalmente attrezzarsi nel 2013 di una costituzione ormai inutile in quanto a quella data la nuova governance globale si sarà consolidata come gli interessi industriali italiani nel contesto globale.

La strada invece della riforma concordata tra maggioranza e opposizione sembra impossibile proprio per le ragioni specularmente opposte a quanto esposto in precedenza.

Infatti le obsolete e invise in quanto inefficienti e parassitarie istituzioni esercitano sul parlamento un loro forte potere di lobby che è presente sia nei partiti dell’opposizione che in quelli della maggioranza. Seguire le procedure parlamentari secondo i regolamenti lenti, macchinosi e ben rodati delle due camere, rallenterebbe la conduzione dei lavori oltre la conclusione della legislatura e si tradurrebbe in un’ennesima e sterile forma di esercizio intellettuale privo di effetti pratici. Neanche quello di un referendum confermativo. La possibile accelerazione del processo di collaborazione politica bipartisan è resa inoltre totalmente improbabile per la disparità di interessi e di ideali ispiratori dei due diversi blocchi di maggioranza e opposizione attuali. Infatti il blocco erede della “lotta partigiana” deve arroccarsi (pur non condividendo le ragioni) sulla conservazione dei principi da esso sostenuti lungo tutta la durata della repubblica fino ad oggi e contro ogni tentativo di innovazione anche i più recenti. Il welfare state è essenziale per entrambe le ideologie che formano quel blocco e che contribuirono a stendere le linee di una costituzione nata sterile e già allora inadeguata alle aspettative politiche e d economiche del Paese. Una costituzione altisonante, retorica e astratta che non è mai entrata in vigore né si è mai tradotta in costi sociali percepibili per la posizione privilegiata riservati all’Italia dalla guerra fredda che ha permesso a l Paese di soddisfare le pretese di maggioranze e opposizioni per oltre sessant’anni accumulando un debito pubblico che oggi inibisce ogni ulteriore ricorso al welfare state.

Se la costituzione unilateralmente imposta dalla maggioranza risultasse organica e completa in tutte le sue nuove istituzioni. La termine dell’attuale legislatura, con la prevedibile costante uscita dalla crisi economica sarebbe facile ipotizzare un successo elettorale trionfale per il blocco politico che agli occhi dell’opinione pubblica risulta escluso dalle inefficienze del welfare state e che oggettivamente ha costruito i suoi interessi economici attorno ai cambiamenti portati dalla globalizzazione industriale.

Qualora poi la costituzione del 2000 avesse definito i lineamenti di una repubblica presidenziale, Berlusconi potrebbe avere interesse a ricoprire per primo quella carica che la vittoria del blocco da lui guidato gli renderebbe naturale ricoprire. Nel caso d’un sistema istituzionale alla francese poi il ruolo di primo ministro potrebbe essere appannaggio di Fini mentre la maggioranza delle posizioni ministeriali potrebbero essere appannaggio dei “federali” più potenti dei due partiti del blocco. Infatti sia la Lega Nord che la vecchia AN hanno strutture territoriali e tradizioni culturali di tipo “federale”. Il presidente della repubblica avrebbe la possibilità di esercitare il suo potere di lungo termine libero dalle incombenze amministrative dello stato con la rete dei prefetti all’interno e con quella degli ambasciatori all’estero. Il profilo culturale e gli interessi di Berlusconi lo renderebbero ideale per proseguire la politica di relazioni internazionali che ha saputo costruire e personalizzare a sé fino ad oggi con indiscutibile successo personale.

Il bello di questa analisi sommaria e semplicista è che sia verosimile, praticabile e soddisfacente per il blocco e per le nuove generazioni più interessate all’economia soprannazionale che al “posto fisso e sicuro”.

Infine tanto se la riforma venisse attuata secondo questa possibile evoluzione, quanto se fallisse nella ricerca di un consenso bipartisan, l’avvento accelerato della nuova governance globale, i collegamenti dell’economia sana italiana e l’insostenibilità delle istituzioni del welfare state renderebbero totalmente indifferenti le conseguenze per il Paese.

La ricreazione è realmente finita per miopia della sinistra che ha isterilito l’iniziativa innovativa dell’unico uomo politico di qualche statura: D’Alema.