05/05/2008

Dimensione ‘globale’ della civiltà ‘Occidentale’

La civiltà ‘occidentale’ ha attraversato varie fasi nel suo graduale formarsi ed estendersi ad abbracciare crescenti fasce di popoli fino a raggiungere l’attuale fase della ‘globalizzazione’. Infatti questo carattere di universalità si è venuto a comporre e a rodarsi in un ristretto ambito in cui convivevano gruppi etnici di grande diversità culturale che avevano trovato il loro insediamento finale nel continente europeo dopo migrazioni di massa partite dall’oriente in varie epoche preistoriche. L’originario e ‘mitico’ ceppo ‘aryano’ che è partito dall’altopiano nepalese-tibetano si è diviso in un flusso che è migrato a sud lungo l’Indo che hanno popolato il sub-continente indiano nel quale l’urdu è lingua comune sia dell’India (che la denomina ‘indu’) sia del Pakistan. Si tratta di una unità etnica unitaria che ha subito una divisione per pure ragioni geopolitiche molto in epoche moderne. Un altro flusso invece è migrato in fasi successive ad ovest popolando il Caucaso e conservando in quasi tutte le lingue le comuni radici indo-europee. Gli insediamenti sono stati sollecitati a proseguire nel loro flusso migratorio da occasionali invasioni di etnie asiatiche di popolazioni nomadi. Queste una volta terminata la loro invasione sono state incapsulate in enclavi etniche di cultura ‘diversa’ (come il gruppo ugro-finnico) oppure sono state assimilate assorbendo totalmente sia la cultura sia la lingua egemone del ceppo fondante la civiltà ‘occidentale’. Le popolazioni ‘semitiche’ hanno sempre ‘tollerato’ l’egemonia delle etnie portatrici della civiltà ‘occidentale’ fino ai due episodi storici del loro aggregamento etnico e culturale rappresentato dagli ebrei e dagli arabi. Entrambe quelle etnie semitiche hanno trovato infatti le ragioni della loro aggregazione in un elemento antitetico con quello delle etnie appartenenti alla civiltà ‘occidentale’: la religione. Da Abramo partito da Ur nella Mesopotamia alla ricerca della Terra Promessa, fino a Mosè che libera la sua etnia dalla schiavitù in Egitto, fino a Masada e all’inaugurazione conseguente della ‘soluzione finale’ decisa da Tito con la distruzione del Tempio e l’avvio della Diaspora, fino all’attuale fondazione dello Stato Nazione degli ebrei quella etnia semitica ha sempre fondato la legittimità del suo regime statale sulla ‘diversità’ religiosa in una visione che la rende culturalmente distinta dalla civiltà ‘occidentale’. Analogamente gli arabi fondano la legittimità dell’Islam su una visione incompatibile con quella della legittimità statale della civiltà ‘occidnetale’. Per gli arabi è la religione a dare legittimità alle leggi civili proponendo la Sharia che nega la ‘separazione’ tra reato e peccato. La civiltà ‘occidentale’ invece si fonda proprio su questa ‘separazione’ (dare a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio’). È questa interpretazione che crea oggi la frattura tra musulmani ‘occidentali’ e anti-‘occidentali’. Tra essi è palese la diversità tra i negri americani che, pur convertitisi all’islam, non condannano sul piano civile le eventuali ‘apostasie’ al contrario di ciò che accade nei Paesi arabi. Altri Paesi musulmani di etnia non semita danno una interpretazione non integralista della religione. Tra essi figurano Paesi le cui etnie prevalenti sono asiatiche e la cui cultura non è aliena ad una accettazione della civiltà ‘occidentale’; come i Turchi. Altri Paesi che hanno invece una prevalenza etnica indo-europea, come i Pakistani o gli Iraniani, sono dilacerati al loro interno da minoranze di leader religiosi (i talebani o gli ayatollah) che detengono il potere legislativo imponendo la sharia, contro la volontà di maggioranze di cittadini che, pur religiosi, non condividono l’intolleranza non-‘occidentale’ dell’integralismo. Questa visione di separazione tra legge civile e legge religiosa sta crescendo gradualmente anche nei Paesi in cui vivono diversi ceppi etnici come in Africa del Nord (Algeria, Libia, Tunisia) e Nord-Sahariana (Marocco, Nigeria). La ‘globalizzazione’ non è solo un fatto economico, essa infatti trapianta in ogni Paese il concetto essenziale della civiltà ‘occidentale’; quello della libertà economica in piena responsabilità individuale. Non è l’industrializzazione a istituire la civiltà ‘occidentale’ è piuttosto essa a creare i prerequisiti allo sviluppo industriale in piena autonomia culturale da parte delle etnie che si ‘convertono’ ai suoi principi fondanti. Questi si sono consolidati in un lungo processo che, partito dall’altopiano tibetano in epoche pre-istoriche, si è costruito culturalmente e politicamente in epoca storica dapprima in Grecia (stabilendo le fondamenta formali della filosofia, dell’arte, della scienza e della politica ‘su base artigianale’ rodata in ‘casi di studio’ locali e frammentati – da Atene, a Sibari, a Siracusa) e si è poi organizzata ‘su base industriale’ a Roma fino alla definizione formale del diritto universale riconosciuto a ogni ‘cives romanus’ indipendentemente dalla sua razza, lingua, cultura o religione. Con Costantino e con la Chiesa di Roma si è poi dato formale riconoscimento alla separazione tra stato e chiesa. Il crollo economico dell’Impero di Roma non ha travolto quel nucleo fondante della civiltà ‘occidentale’ che infatti ha continuato ad evolvere dopo il crollo formale dell’Impero nei secoli in cui la ‘cultura occidentale’ ha affinato la sua civiltà con l’’umanesimo’ in filosofia, arte, letteratura, scienza e politica trascurando perfino eventi storicamente drammatici come le invasioni ‘barbariche’ (tutte assimilate non ostante il loro maggior potere militare) e la nascita dell’Islam nella sua fase più espansiva (San Francesco e il Saladino). L’’umanesimo’ ha completato in chiave democratica la ‘dottrina politica’ della civiltà ‘occidentale’ che era stata sino ad allora ‘praticata’ su basi artigianali oppure detenuta da elite colte di potere intellettuale. Questa fase proliferò tra gli umili favorita dalla religione cristiana che diffondeva uguaglianza fraterna indipendentemente dal ceto sociale e sollecitava sia gli umili e incolti che i dotti e potenti ad assumersi le responsabilità dei comportamenti quotidiani a beneficio proprio e di tutta la società. I monasteri sviluppavano la cultura ma i monaci diffondevano una cultura fondata su responsabilità ‘democratiche’. I chierici erano accettati sia tra i colti che tra gli umili e tutti i fedeli erano chiamati a partecipare allo sviluppo di una civiltà più tollerante in un mondo multietnico e turbolento. La fase di maturazione successiva della civiltà ‘occidentale’ ha portato questa sua diffusa comprensione di massa al successivo ‘salto di qualità’ grazie alla conservazione del contesto istituzionale di Roma imperiale. L’’umanesimo’ uscì dai monasteri e generò la fase ‘borghese’ nella quale ad ogni cittadino venne data l’opportunità di scambiare le proprie prestazioni nel contesto di un mercato sicuro e sinergico; il ‘borgo’. Gli artisti (da Giotto, Dante, Cecco, Boccaccio, Michelangelo), gli scienziati (da Leonardo, Brunelleschi, Machiavelli, Erasmo), gli artigiani (da Cellini, ai Ciompi, agli ebanisti, ai costruttori, ai contabili) tutti ebbero nuove opportunità di guadagno personale offrendo le proprie prestazioni indipendentemente dal ceto sociale di provenienza o livello di cultura accademica. L’esplosione della fase ‘borghese’ della civiltà ‘occidentale’ (il Rinascimento) stimolò la nascita dei ‘servizi’ (banche, assicurazioni, armamenti navali, logistica commerciale) i cui interessi gradualmente assunsero una dimensione ‘globale’ finanziando coi commerci l’espansione coloniale e la civilizzazione del pianeta dei secoli successivi. Il carattere ‘globale’ dei servizi e l’universalità del contesto istituzionale (diritto romano) che li garantiva assicurò l’omogeneità all’espansione della civiltà ‘occidentale’ pur attraverso i conflitti di potere tra i molti ‘borghi’ tutti ‘occidentali’ ma caratterizzati da diverse opportunità e collocazioni nel contesto geo-politico. Si trattò sempre di entità politiche territoriali (le Signorie) che, se adiacenti, entravano in conflitto di interessi politici ed economici. Le Signorie assunsero titoli diversi e diverse forme istituzionali a seconda dello specifico contesto ‘locale’ (Repubbliche Marinare, Contee, Principati, Regni). La fase di maturazione della civiltà ‘occidentale’ che seguì al Rinascimento è quella del colonialismo in cui si consolidò la struttura dell’economia che poteva sostenerne le ambizioni su basi produttiva e mercantile industriali. Realtà politiche pur eccellenti ma condannate a conservare un carattere artigianale non potevano risultare competitive sull’espanso scenario globale che segnò la fine della fase del Rinascimento (essenzialmente la scoperta delle Indie Occidentali - 1492). Molte delle Signorie tramontarono rapidamente con conflitti o per estinzione naturale dei mercati. Pisa, Amalfi e Genova ma anche Venezia per la perdita di importanza delle tradizionali vie commerciali traverso l’Asia videro scemare gradualmente la loro importanza. I Regni ‘regionali’ in Spagna e le Signorie ‘provinciali’ in Italia vennero assorbite da Regni di maggior potere economico e militare o subirono lunghe traversie di occupazioni da parte di potenze estere il cui potere poté invece crescere per collocazione geo-politica o territoriale migliore. Le Signorie che ebbero opportunità di crescere ed assorbire le rivali furono quelle dotate di un entroterra fertile o impegnate negli scambi marittimi. Venezia poté sopravvivere a lungo barcamenandosi tra le nuove difficoltà, così come i Paesi Bassi e il Regno di Danimarca pur dovendosi barcamenare tra le rivalità dei Regni più privilegiati. Tra questi ultimi si possono citare il Regno di Castiglia che prese il sopravvento nella penisola iberica sugli altri Ragni regionali conducendo poi la lotta contro i Mori nel sud del Paese e poi spartendosi le ‘colonie globali’ col Regno del Portogallo destinato a vita grama per il minore entroterra agricolo, il Regno di Valois che riuscì a stabilire l’unità in Francia, espellendo gli inglesi che da allora si dedicarono a consolidare il proprio potere coloniale e sui traffici marittimi, il Regno degli Stuart che unì le diverse Signorie nell’attuale Regno Unito. Questi conflitti consolidarono le Signorie secondo criteri di legittimità essenzialmente linguistiche in quanto tutti i Paesi erano cristiani pur attraverso gli scismi della Riforma protestante. Gli Stati Nazione con ambizioni coloniali riuscirono a consolidare le proprie sfere di influenza globale conservando una comune appartenenza all’etica cristiana e all’ispirazione del diritto civile al diritto romano. La Chiesa di Roma conservò la propria autonomia politica e un ruolo globale in materia morale grazie alla comune ispirazione cristiana degli Stati Nazione. La frattura religiosa della Riforma indusse un’ulteriore evoluzione della civiltà ‘occidentale’ in quanto consolidò la consapevolezza della separatezza tra legge religiosa e legge di stato pur conservando la comune ispirazione alla morale cristiana. Il progresso economico della civiltà ‘occidentale’ fu esaltato dall’esigenza di sviluppare nuove tecnologie navali, logistiche e militari e nuovi servizi più idonei a garantire gli interessi nazionali su piano globale. Dopo il Rinascimento quindi si attraversò la fase degli Stati Nazione che tuttavia conservò il carattere universale delle basi del diritto romano e le estese alle colonie. Il seicento consolidò il potere economico degli Stati Nazione e la maggiore ricchezza venne investita in sviluppo delle arti; fu l’epoca dell’’edonismo’ nella cultura. Il settecento travasò le migliorate capacità industriali in ricerca scientifica e in sue applicazioni pratiche; la filosofia e la matematica ebbero grande sviluppo e posero le basi per il ‘salto di qualità’ tecnologico che ebbe luogo alla fine del settecento. La chimica e la macchina a vapore inaugurarono la fase dell’industrializzazione della civiltà ‘occidentale’ nell’ottocento. La coincidenza della fine dell’Illuminismo a fine settecento con l’esplosione della fase industriale creò una nuova frattura culturale nella civiltà ‘occidentale’. Lo ‘scientismo’ e il ‘materialismo’ crearono uno iato rispetto alla continuità fino allora conservatasi nell’’umanesimo’ e nel ‘rinascimento’. La fase ‘borghese’ che aveva generato gli Stati Nazione le cui forme istituzionali avevano perduto il carattere di ‘democrazia’ proprio del diritto romano e il carattere ‘religioso’ dell’etica borghese vennero associati a nemici della scienza e la civiltà si ispirò in modo crescente a criteri di conflittualità tra ceti sociali. La filosofia materialista sviluppò paradigmi di una società che potesse essere liberata da ogni limitazione naturale e sociale grazie al progresso scientifico che venne proposto come toccasana contro ogni problema materiale e spirituale. Era la fase dello scientismo che si protrasse fino a rivendicare dottrine politiche fondate sul materialismo e sullo Stato Nazione che hanno animato lo scenario di tutto il novecento con i conflitti tra Stati totalitari che avevano smarrito l’essenza universale romana e cristiana della civiltà ‘occidentale’. Quella fase si è conclusa con la fine degli Stati Nazione grazie alle esigenze globali dello sviluppo economico industriale che costituisce l’elemento non ideologico portatore di quella civiltà. La fase in corso nel primo secolo del secondo millennio dell’era cristiana è quella della ‘globalizzazione’ che vede stabilirsi prepotentemente interessi industriali soprannazionali senza alcuna possibilità di intralcio da parte di obsoleti Stati Nazione che vedono scemare la propria legittimità e capacità di azione politica. È il trionfo del nucleo essenziale che caratterizza la civiltà ‘occidentale’ al di là delle ‘fasi’ storiche in cui si è storicizzato il suo affinamento ed adattamento alle mutate realtà geo-politiche.

‘Speculazione’ al servizio della globalizzazione del progresso industriale

Finalmente si cominciano a leggere sui media (alimentati dalle solite ‘menti sottili’ organiche alla conservazione dello ‘status quo ante’ su cui poggiano le loro fortune professionali parassitarie agganciate ad assetti produttivi in via di obsolescenza) letture anti-conformiste della corrente crisi di crescita del sistema industriale nel contesto di travolgente globalizzazione. La lettura che emerge è quella della rivoluzione indotta sui flussi finanziari dalla forte ristrutturazione dei comparti industriali sollecitata da drastici cambiamenti della domanda globale. Una domanda causata dall’accesso ai consumi di masse sociali mai sperimentate in precedenza né in quantità né in velocità di ingresso sul vecchio scenario industriale ‘occidentale’. Una domanda che impone di delocalizzare forme ‘mature’ di produzione per consentire la remunerazione di ‘risorse umane’ (India e Cina) che sono oggi tanto abbondanti in qualità di nuovi potenziali consumatori quanto carenti come capacità di spesa e di risparmio. La ristrutturazione della divisione del lavoro su scala globale avviene con la velocità consentita dall’ammortamento degli impianti in essere più che non da vincoli posti dalla tutela degli obsolescenti interessi politici e sindacali. Ciò si può osservare dalle scelte dei corpi elettorali in tutto l’occidente. Né paiono significativi i vincoli suggeriti dal doversi affrontare il rischio industriale in aree geo-politiche apparentemente ‘turbolente’. Ciò si può osservare dall’accelerazione di nuovi assetti istituzionali e militari in tutto il mondo più popoloso che è il principale partecipe della rivoluzione industriale in corso. Infatti i marginali interessi ‘locali’ (ad esempio dei produttori di petrolio) non sembrano infatti in grado di poter sollevare credibili né significative resistenze di ricatto per il loro ridottissimo mercato di consumo, né per ricatti di poter dare una collocazione diversa e contrastante alle loro maggiori rendite che devono reinvestire inevitabilmente nell’unico sistema finanziario globale (con buona pace per le velleità di dittatorelli alla Chavez che si possono divertire a distruggere le opportunità di crescita economica del loro Paese inseguendo utopici ‘mercati alternativi’ del petrolio su mercati del risparmio in euro, in rupie o in yuan renminbi – tutte monete strettamente legate al sistema finanziario globale). Lasciando queste utopie da salotti ideologicizzati, ci si sta rendendo conto che le attuali crisi attraversate dal mercato finanziario globale non sono altro che celeri riconfigurazioni di natura ‘speculativa’. L’unico strumento funzionale al sistema finanziario che garantisce coi suoi flussi di tutelare l’unica risorsa sempre scarsa (il capitale) per le esigenze di una efficiente ed efficace ristrutturazione industriale che è la risorsa rinnovata ed aumentata solo dal valore di base fornito dalle attività produttive di beni tangibili. Risorsa che riceve sostegno e quindi valore aggiunto da parte della gerarchia di servizi del terziario. Tra i quali figurano quelli di tutela degli investimenti finanziari dai molti rischi del contesto geo-politico in costante divenire sul piano globale e che non possono quindi essere i servizi bancari ed assicurativi rodati su scenari consolidati del passato. Si parla in modo sempre più ‘scientifico’ quindi sui media della ‘speculazione’ non come un perverso strumento in mano a oscure ‘cricche’ complottiste ma come un servizio altamente innovativo che cerca di proteggere la preziosa risorsa finanziaria dal degrado della ‘recessione’ che inevitabilmente affligge specifici comparti industriali nel processo di ristrutturazione su base globale in corso. Si comincia a parlare onestamente della ‘speculazione’ come strumento di alta creatività, servizio intrinseco al ‘capitalismo industriale’ sia esso di stato (il più inefficiente nell’alimentarne la crescita) sia privato. È il ‘servizio’ della ‘speculazione’ (sarebbe interessante proporre a chi legge una ricerca sulla etimologia di questo termine) a saper ‘inventare’ strumenti innovativi (ad esempio i ‘fondi di investimento’ tanto deprecati) che siano adeguati a ‘parcheggiare’ temporaneamente le preziose risorse finanziarie in investimenti di attesa tra il disinvestimento dalle tradizionali imprese ‘mature’ del Nord che offrono ormai rendite troppo esigue o negative (casi Alitalia-like) e il prossimo investimento in aziende del Sud che, oltre ad essere capaci di produrre i beni tradizionali a tassi di rendimento molto superiori, sono in grado di contribuire all’aumento di reddito dei nuovi futuri consumatori e alla crescita della ricchezza di Paesi fino ad oggi esclusi dai benefici della civiltà ‘occidentale’. L’invenzione dei nuovi prodotti non può che essere privata e esogena al sistema normativo del passato. Essa infatti deve ‘ideare’ nuovi ‘prodotti’ che in quanto ‘nuovi’ risultano estranei alla vecchia classificazione delle transazioni finanziarie. Essa inoltre deve assumersi un rischio estraneo a qualsiasi forma di copertura assicurativa in essere; tra cui le forme ‘assicurative’ curate dagli accordi diplomatici e legislativi internazionali già vigenti. Occorre poi anche capirsi a proposito della voce ‘servizi’. Essi abbracciano sia i servizi del terziario più prossimo alle esigenze della produzione che vanno dal comparto ‘industriale’ del distributivo a quello del comparto assicurativo e della raccolta del credito del comparto bancario. Essi abbracciano anche i servizi del comparto ‘industriale’ delle comunicazioni (recapiti, telecomunicazioni e informatica), quelli del comparto ‘tecnologico infrastrutturale’ (reti logistiche per lo scambio dei beni materiali e immateriali necessari ai processi produttivi) fino a quelli che garantiscono ‘sicurezza’ agli accordi industriali (per prevenire le contraffazioni, le truffe e la composizione delle liti contrattuali). Anche lo stato può fornire parte di quei servizi di sostegno alla produzione di ricchezza pur di accettare la ‘sussidiarietà’ dei privati così come anche i ‘sindacati’ possono erogare servizi al mondo produttivo purché sia lo stato che i sindacati si ispirino al contesto produttivo di domani e non ne intralcino la nascita ponendo resistenze dettate dal tentativo di ‘conservare’ vecchi assetti ormai improduttivi rispetto a quelli in fieri. È per questo che la capacità dello stato non può ‘anticipare’ con ‘saggi e illuminati’ interventi normativi la nascita di strumenti efficaci per un domani ancora in incubazione. È solo dopo che il domani sia stato creato e rodato sul campo dall’efficiente imprenditorialità privata che lo stato potrà prendere conoscenza dei benefici e dei problemi che ne derivano per adeguare i propri ‘servizi’ al fine di mitigare i disagi ai propri cittadini. Tale nascita e maturazione del ‘domani industriale’ forgia nei secoli lo sviluppo della civiltà ‘occidentale’ e ne estende la partecipazione al livello globale. È un processo che è efficace sul piano operativo e reso efficiente dalla ‘speculazione’ di cui tra l’altro si servono anche gli stessi stati tradizionali. È la ‘speculazione’ che ha consentito di attraversare la crisi traumatica e drammatica avviata dalla globalizzazione con prodotti finanziari ‘creativi’ che hanno permesso di disinvestire massicciamente dall’industria manifatturiera del Nord capitalizzando le risorse che non erano più adeguatamente retribuite da quella in beni-rifugio che hanno vagato dai finanziamenti immobiliari dapprima per poi trasferirsi su acquisti ‘speculativi’ (di attesa) in beni di largo consumo (carburanti, materie prime industriali, oro, derrate alimentari) da cui potranno riversarsi accresciute nella consistenza su investimenti manifatturieri delocalizzati nei Paesi di maggiore aspettativa di sviluppo. È comunque un processo di interesse principale per il mondo occidentale quello che sta avvenendo per conquistare alla civiltà ‘occidentale’ l’intera popolazione globale evitando le altrimenti più dolorose migrazioni di massa di diseredati dai Paesi meno industrializzati verso quelli del Nord inadeguati a poterne assorbire la totalità. Le fasce degli indigenti meno intraprendenti sarebbero private di ogni speranza di miglioramento delle proprie fonti di reddito e di fruizione di consumi maggiori e migliori di quelli odierni. Tanto la sede di Cesare (la Casa Bianca) che il successore di Pietro hanno avviato il necessario processo di riadeguamento delle istituzioni soprannazionali alle esigenze di questa fase di crescita della civiltà ‘occidentale’ conservando il suo spirito fondamentale di legittimazione: la separazione di stato e chiesa nella piena tutela della religiosità. È la ‘legge naturale’ che può assicurare, universalità a negoziazioni tra culture civili disomogenee nella comune sede istituzionale dell’ONU e legittimità all’uso della forza NATO per dare tutela alle decisioni prese in quella sede.

Esigenza di ‘revisionismo’ nel linguaggio politico

L’attuale processo di revisionismo interno alla ‘sinistra’ in tutta Europa ed in particolare in Italia, ci suggerisce di condurre un coerente processo di ‘revisionismo’ nel linguaggio in uso nell’agone politico. Si tratta di un linguaggio privo di altro significato se non quello attribuito arbitrariamente e per puri fini opportunistici dai leader politici ‘di sinistra’ nel corso dei due secoli passati. Infatti in una liberal-democrazia fondata sul progresso industriale e sul libero mercato, tutte le proposte politiche devono essere ‘sociali’ a meno di non rinunciare al consenso elettorale della maggioranza degli aventi diritto di voto che, proprio per scelta ‘ideologica’ liberal-democratica, compongono anche la maggioranza dei consumatori e risparmiatori; il vero sostegno del progresso in un’economia di mercato. ‘Sinistra’ non può quindi significare attenzione al sociale, infatti anche la ‘destra’ si propone come obiettivo primario di acquisire il consenso ‘sociale’; come dimostra in Italia lo ‘stupore’ di cittadini ‘di sinistra’ di fronte alle posizioni politiche di esponenti della ‘destra sociale’ – da Alemanno a Storace a Buontempo. Si tratta di ‘stupore’ che deriva solamente dalla passiva accettazione della dicotomia di ‘destra’ e di ‘sinistra’ che ci è stata imposta dal dibattito politico dei due secoli passati e da media totalmente asserviti ai due interlocutori che se ne sono serviti per ragioni demagogiche. La storia della civiltà ‘occidentale’ ha subito una frattura traumatica a causa della Rivoluzione Francese che ne ha rinnegato i contenuti umanistici e di ‘libero arbitrio’ in delegabili da singoli cittadini considerati portatori di pari ‘diritti e doveri’ di fronte allo stato e di fronte a Dio. Negato Dio e sostituitolo con la Ragione umana, la scienza ha rinnegato tutto ciò che non fosse ‘comprensibile’ dalla ragione e dalla scienza che, a quell’epoca, aveva creduto di poter spiegare con il modello ‘deterministico’ di Newton la perfezione di un universo che, con riduttiva estrapolazione, era stato ipotizzato dovesse evolvere secondo ‘leggi prescrittive’ estese dalla meccanica cosmica anche a tutte le altre manifestazioni della Natura. Il Creato persa ogni connessione col ‘disegno intelligente’ iniettatovi da Dio, diventava emblema di una pura materialità che il Caso nel susseguirsi di eventi stocastici avesse dotato di un ‘ordine’ e di ‘leggi’ di cui la mente umana potessero quindi riuscire ad impadronirsi uscendo gradualmente dall’oscurità dell’irrazionale ‘illuminata’ dal ‘progresso’ delle scienze esatte. Si trattò di pura ed arrogante presunzione scientifica, una malattia infantile dettata dalla Fede nella Dea Ragione; come chiarirono nei tempi seguenti le scoperte scientifiche che hanno portato a codificare nuove epistemologie scientifiche a causa di allora inesplorati aspetti della realtà come la teoria della relatività (Maxwell-Faraday-Einstein), quella quanto-elettro-dinamica (Bohr-Heisenberg-Dirac) e quella dei sistemi caotici quasi-stabili (Prigogine-Bak). La frattura anti-umanistica imposta da quella versione dell’Illuminismo, si riverberò su tutte le scienze esatte ed umane; dalla medicina, alla chimica, alla biologia, alla linguistica ed alla politica. L’’uguaglianza’ di tutti gli esseri umani venne considerata un diritto a pari consumi invece che un diritto a poterseli guadagnare e la rimozione degli ostacoli che la società opponeva a quelle condizioni di pari opportunità di intraprendere divenne un dovere da parte di elite ‘illuminate’ a sopprimere ogni esistente posizione di vantaggio economico sottraendo ricchezza ai più ricchi per ridistribuirla ai meno abbienti. Quella dicotomia tra ricchi (sfruttatori e conservatori) e poveri (oppressi e progressisti) diventava una sorta di vangelo per i regimi politici che si ispirarono a riscattare le masse dai secoli bui tramite dittature di elite di governanti Robin Hood che impiegarono lo stato come una sorta di Sceriffo di Sherwood per rapinare il despota a vantaggio dei fratelli della foresta per tentare un riferimento letterario suggestivo. Da quel momento le dittature persero la legittimità del passato e compatibile con la liberal-democrazia. Da esecutivi forti eletti a termine a suffragio universale, divennero proprietà di circoli privati che con varia denominazione storica hanno fondato la legittimità di governo nel perseguire il benessere sociale dei propri sudditi. Si sono ispirati a questa strumentale visione di ‘sinistra’ tanto i giacobini, che i marxisti, i bolscevichi, i gramsciani-trotzkisti, ma anche i nazisti ed i fascismi di varia denominazione da Mussolini, a Franco, a Salazar, a Pinochet, a Castro e a Chavez. In questo senso la ‘destra sociale’ invece si colloca pienamente nell’ambito della civiltà liberal-democratica ‘occidentale’. Essa non si ispira infatti a dottrine ‘rivoluzionarie’ e scientiste ma propone solo una linea politica che veda lo stato ‘al servizio’ dei produttori dando ad essi la priorità e il ‘dovere’ di intraprendere in piena responsabilità individuale. Anche il socialismo democratico e le sue versioni più moderne di Blair, Craxi e probabilmente Veltroni (se non lo ‘defenestreranno’ prima di avere completata la ‘Bad Godesberg’ all’italiana) non si propongono come movimenti ‘di sinistra’ ma piuttosto come più attenti a mitigare i disagi del nuovo creato altrove anziché come ‘programmatori industriali’ per  una redistribuzione dall’alto dei redditi individuali. Finita la ricreazione dello sviluppo industriale limitato al Nord a spese di risorse globali, la ‘globalizzazione’ industriale ha esteso le aspettative di migliori qualità di vita a tutto il pianeta. Le risorse esistenti sono restate le stesse, i potenziali consumatori, produttori di reddito e risparmiatori si sono centuplicati. La quadratura di questo cerchio può realizzarsi in tempi brevi grazie alla efficacia del sistema industriale nell’impiego delle risorse globali e all’efficienza del libero mercato a raggiungere le più ampie fasce di consumatori. Questi sono obiettivi ‘di sinistra’ che solo il trionfo globale della civiltà liberal-democratica ‘occidentale’ può garantire nei modi meno dolorosi e nei tempi più accelerati. Ogni ‘alternativa di sinistra’ rappresenta solamente un obsoleto reperto ideologico e demagogico dei secoli passati illiberali e privi di contenuto concreto.