05/03/2010

Truffaldini tentativi di nobilitare/stigmatizzare i paradigmi politici

Stiamo assistendo nel dibattito politico in Europa a patetici tentativi di sfruttare le difficoltà industriali che la globalizzazione riverbera sul vecchio sistema produttivo (delocalizzazioni, fallimenti di aziende “mature”, chiusura di impianti non-competitivi, etc.) come sintomo di una presunta “crisi epocale” del paradigma del capitalismo-liberista che ha caratterizzato la crescita del benessere e della liberal-democrazia seppure fino ad oggi ristretta agli stretti confini del mondo ‘Occidentale’.

Che questa sia una classica menzogna dettata da finalità ideologiche e demagogiche è evidente se si esamina lo scenario globale che ormai legittima gli scambi di risorse finanziarie, persone, beni materiali e immateriali in un contesto produttivo e distributivo in costante crescita di internazionalizzazione.

Quello scenario geopolitico dimostra che il Prodotto Nazionale Lordo di tutti i Paesi coinvolti di recente nella divisione industriale del lavoro sta crescendo a ritmi mai sperimentati in precedenza. Lo scenario dimostra anche che il Prodotto Globale Lordo sta crescendo a ritmi altrettanto mai sperimentati in precedenza. Quello stesso scenario dimostra che, al crescere del benessere globale e interno ai Paesi più poveri e popolosi, cresce anche l’aspirazione a maggiori libertà e fenomeni di dissenso nei confronti dei regimi autoritari al governo di quelle masse che fino a ieri erano ghettizzati e diseredati. Quello scenario dimostra che anche la crescita del Prodotto Industriale Interno ai vecchi assetti produttivi industriali (manifatturieri, distributivi, terziari) dei gruppi industriali e finanziari che privilegiavano esclusivamente l’economia dei Paesi più sviluppati (UE, USA, Giappone, Commonwealth) è stata enorme e trovi previsioni di crescita ancora maggiori per il futuro nel sistema globalizzato. È anche evidente che questa forzata riorganizzazione della divisione internazionale del lavoro industriale abbia creato “crisi congiunturali” di diversa intensità a seconda della flessibilità e della efficienza delle istituzioni di ogni Paese colpito, delle specifiche aziende e dei singoli comparti produttivi. Una crisi congiunturale quindi che non è addebitabile al “paradigma” del capitalismo-liberista ma alle specifiche incapacità dei sistemi nazionali ad adattarsi alla nuova realtà globalizzata sia per cogliervi le nuove offerte di sviluppo, sia per ammortizzarne le riverberazioni esogene al sistema produttivo nazionale.

È chiaro che la “causa” di questa vera e propria “rivoluzione industriale” che sta finalmente estendendo la partecipazione al benessere industriale e liberal-democratico su base globale, sia dettata dal “paradigma” del capitalismo-liberista che trascende i ristretti confini del vecchio mondo ‘Occidentale’ abbattendo le pareti del “ghetto” che fino a ieri avevano escluso dalla fruizione dei connessi diritti/doveri le masse più popolose dei sudditi dei regimi meno liberali e più ideologicamente autoritari.

La “resistenza” a questa estensione su base globale dei benefici economici e politici intrinseci al “paradigma” del capitalismo-liberista proviene proprio dai regimi più ideologicamente “integralisti” e dalle corporazioni parassitarie (istituzioni pubbliche e private) che nei vecchi Paesi ‘Occidentali’ godevano dei privilegi derivanti da quelle forme di protezionismo (il welfare state) che costituiscono l’essenza stessa della loro incapacità di superare la “crisi congiunturale”. Si tratta di un trionfo “finale” del “paradigma” del capitalismo-liberista in quanto si avviato l’abbattimento dei confini ideologici che legittimano tutti gli Stati Nazione di ieri. Si tratta di un “trionfo” dello stesso paradigma in quanto esso viene privilegiato dai Paesi in via d’industrializzazione al di là delle ideologie che ispirano i regimi che li governano. Si tratta di un “paradigma” che coinvolge nello stesso sistema produttivo (risparmio, produzione, distribuzione, consumo) oltre i 4/3 della popolazione del mondo. È possibile che la scelta delle maggioranze non sia di per sé segno di “validità assoluta” (la scienza ne è un chiaro esempio – il progresso delle conoscenze è attuato dalle intuizioni dei singoli non dal consenso delle maggioranze accademiche – vedi Copernico, Galileo, Maxwell, Einstein) tuttavia il “paradigma” deve solo appagare le aspettative di maggiore benessere e libertà dei singoli sul piano pragmatico. Esso non si propone come teoria scientifica ma come “accordo comportamentale” al di la di teorie, ideologie e relative ortodossie dottrinarie.

Questa premessa ci aiuta a sfatare i tentativi delle vecchie corporazioni parassitarie di conservare i propri privilegi stigmatizzando il “paradigma” trionfante o dichiarando perfino che ne sia in corso il “crollo finale” con linguaggio di stampo marxista (il “paradigma” proposto come alternativo alla società mondiale ma che poi si è estinto per morte naturale – per ragioni interne e non esogene). Ogni alternativa al “paradigma” del capitalismo-liberista (priorità delle esigenze del privato su quelle dello stato) si fonda sul ribaltamento delle priorità (quelle dello stato “a beneficio” del benessere del privato). Si tratta di un “paradigma” politico che si sostituisce a quello economico che privilegia le ragioni della produzione su quelle della redistribuzione della ricchezza (senza la quale esiste solo indigenza, squallore, inedia e disperazione). Per riuscire a ridistribuire la ricchezza prodotta dai privati - “a beneficio” di altri privati - ogni “paradigma” politico deve legittimare le decisioni assunte al di fuori dei produttori che quindi devono essere stigmatizzati come avidi, egoisti e poco sensibili alle aspettative della “collettività”. Lo strumento per legittimare e applicare le decisioni “a beneficio” della collettività è lo stato con le sue istituzioni. Esse diventano quindi inevitabilmente strumento delle elite di governo “contro” i più intraprendenti e produttivi cittadini “soggetti” alle decisioni che calano dall’alto (top-down government). Il “paradigma” economico del capitalismo-liberista invece pretende che siano i privati a fornire in competizione sul mercato ogni servizio che soddisfi le aspettative di interesse pubblico. Tutti i servizi dalla difesa, alla polizia, alla giustizia, alla posta, alle ferrovie, alle banche, alle assicurazioni, etc.. Qualora esistano temporanee ragioni per integrare le carenti capacità dei privati, si può derogare a questo criterio ma per durate e limiti di intervento. Il criterio opposto viene seguito dal “paradigma” politico che limita l’intervento dei privati nei servizi di interesse pubblico solo “in sussidiarietà” con le capacità dello stato. Data l’inefficienza strutturale ed operativa dello stato, la sussidiarietà è sempre necessaria ed essa è lo strumento elettivo che le elite si trovano a disposizione per stabilire consenso nella “società civile”. È così che nasce il clientelismo e la corruzione. I costi dei controlli (peraltro sempre affidati allo stato e non al mercato) superano quelli della corruzione e comunque non ne sanano l’inefficienza. Per tornare ai giorni nostri cito due dei casi eclatanti di piena disfatta del “paradigma” politico e dei suoi disperati tentativi di delegittimare il trionfante “paradigma” economico.

Una delle truffe ideologiche più attuali per cercare di legittimare l’azione dello stato in assenza di interesse dei privati richiede di diffondere forme di terrore per eventi naturali o, meglio ancora, di deprecazione verso i privati che hanno causato l’imminente catastrofe naturale.

Non ostante la conclamata truffa ideologica del “man-made-global-warming”, che ha attribuito un premio Nobel truffaldino ed un altrettanto immeritato Oscar al demagogo per eccellenza (l’inetto Al Gore) e un non meritato premio Nobel a Barack Obama (che peraltro lo ha accettato con ironia marxiana – Groucho non Karl), si continua a pretendere l’imminenza d’una catastrofe naturale (attribuita al “paradigma” economico) e di suggerire l’adesione al “paradigma” politico che (col suo pauperismo e inefficienza) saprebbe evitare che la Natura venga distrutta dall’avidità umana.

Il “paradigma” economico del capitalismo-liberista invece ha già dimostrato di essere capace di provvedere a ogni forma di “inquinamento” dell’ambiente naturale provocato dal capitalismo-liberista stesso e dimostra la truffa ideologica su cui si fonda il preteso “global warming” e comunque l’altrettanto pretesa sua genesi “man made”.

Uno dei due paradigmi infonde terrore ideologico per ricostruire una sua legittimità ormai perduta sul campo. L’altro stimola la crescita su percorsi che riescano a gratificare le aspettative di maggiore benessere, libertà abbattendo ogni confine, ogni tentativo di conservazione di privilegi elitari e ogni vecchia soluzione tecnologica inadeguata a tutelare la qualità di vita e la limitatezza delle risorse disponibili. È così che sono nate le sostituzioni tecnologiche, le innovazioni in campo energetico, le migliorie produttive rurali e in ogni altro comparto di industria per ripristinare migliore qualità di vita nel mondo ‘Occidentale’ a partire dalla eliminazione dell’inquinamento dello smog della Londra 1800, dalla eliminazione dell’inquinamento del fiume Hudson 1950, dal dissalamento dell’acqua di mare in Israele 1980, dalla produzione di maggiori rese rurali con minore inquinamento chimico e minore consumo di acqua irrigua grazie alle OGM 1990.

Il resto sono solo “chiacchiere e distintivo” da demagoghi da strapazzo sostenuti da clientele di pennivendoli e scienziati “organici” ai loro terrorismi ideologici.

Per terminare questo documento in letizia e scetticismo vorrei fare due considerazioni sulla recente “farsa” statale in Italia (incapacità di presentare alle elezioni liste di nullafacenti, inetti, inutili “rappresentanti” del popolo).

La prima considerazione conferma l’inutilità e l’inefficienza del “paradigma” politico soprattutto alla luce della irreversibile globalizzazione che vede la devoluzione di competenze statali a organismi (altrettanto inefficienti) soprannazionali e la corrispondente “resistenza” dello stato a devolvere altre competenze alle comunità locali (l’unica fonte di produzione della ricchezza). Lo stato (diceva Reagan) non è la “soluzione”, esso è “il problema”.

La seconda considerazione “simpatizza” con le “sinistre”. Forse dopo i suoi eterni fallimenti nel prendere il governo per vie legali (fronte popolare 1948, compromesso storico 1973, gioiosa macchina da guerra 1994, mani pulite 1994-2006) è giunta anche per loro l’ora della presa del potere grazie all’astruso paradigma politico e alla connivente pignoleria delle toghe amministrative! Anche per gli ultimi derelitti è giunta l’ora del riscatto!

Siamo piombati nella farsa totale del paradigma politico dello stato col suo welfare state e i suoi enti clientelari (dai sindacati alle corporazioni professionali). Grazie sia alla “globalizzazione” generata dal paradigma economico ‘Occidentale’!

Nell’era della globalizzazione, in un Paese come l’Italia, lo stato potrebbe essere ridotto a dimensioni e costi minimi con grande beneficio immediato per la crescita dell’economia. La sfera “politica” residuale credo si potrebbe ridurre a un rappresentante personale della nazione verso l’estero (la Presidenza) affiancato da un sistema di forze armate potenziato rispetto a oggi, ben integrato nel sistema tradizionale d’alleanze (NATO), da un sistema di forze dell’ordine potenziato ed efficiente soprattutto a causa della radicata presenza nel Paese della malavita organizzata (che ostacola la crescita dell’economia privata), dall’efficiente sistema di intervento nelle emergenze in coordinamento con le regioni e affiancato da un ristretto ma ben remunerato team economico e diplomatico di consulenti tra cui quello finanziario-industriale abbia peso particolare ma sia assistito da un apparato territoriale molto ridotto in Italia e all’estero; infatti, qualora uno stato ridotto in dimensioni e costo burocratico, riducesse il peso fiscale globale a una “flat-tax” del 20% (un onere doppio rispetto alle tradizionali “decime” dell’aborrito “meglio un morto in casa che un marchigiano fuori la porta” di memoria storica da Sisto V) i controlli su evasione/elusione sarebbero ridotti a zero.

Un tale stato ridotto nelle dimensioni potrebbe agevolmente essere inoltre trasferito in qualsiasi provincia (Grossetano, Leccese, Frusinate, Foggiano) più accogliente di Roma che verrebbe finalmente restituita al suo ruolo di città-museo e di ricerche universitarie nei comparti necessari per sostenere il rilancio industriale più innovativo alla luce del contesto internazionale. Roma, libera dalla presenza intralciante della massa inutile dei dipendenti ministeriali e da quella intralciante ed, altrettanto inutile, delle rappresentanze estere e ONU, sarebbe vivibile e potrebbe velocemente rilanciare la sua economia (privata) del turismo, industria mediatica e ricerca avanzata in molti comparti tradizionali e nuovi (si pensi all’eccellente laboratorio di tecniche rurali, navali e aeronautiche che offre il suo “bacino industriale” dal Circeo, alla Sabina, a Civitavecchia, a Viterbo, a l’Aquila). Ridotta la dimensione e il costo dello stato, le competenze di coordinamento dello sviluppo nei vari bacini economici “locali” potrebbero essere devolute ad enti territoriali della dimensione delle “regioni” pur di rivederne i confini geopolitici con iniziative  che (“dal basso” delle provincie) accorpassero attorno a quell’ente (di possibile diritto privato anche se di interesse pubblico nella composizione amministrativa) aree affini come interessi industriali.

Liberato dal peso finanziario e alleggerito da quello fiscale, l’Italia farebbe da sola! Come d’altronde è sempre avvenuto dalla caduta dell’Impero Romano sotto qualsiasi sistema “politico parassitario”!

Tra l’altro questo è una sorta di “percorso obbligato” per qualsiasi colore di governo politico (de destra o de sinistra) come dimostrano (almeno sul piano degli intendimenti) anche le iniziative del governo Berlusconi (assistito da Letta, Tremonti, Maroni, FFAA di elite e Bertolaso) che evita di occupare ulteriori spazi da parte dello stato (interferendo al minimo col sistema produttivo privato) e affidando iniziative territoriali di sviluppo del patrimonio edilizio coordinato dagli enti regione che (per pure ragioni “politico parassitarie”) non sfruttano l’occasione di immediato sviluppo economico che ne deriverebbero (materiali da costruzione, elettrodomestici, mobilia, tessili, etc.) con beneficio per il rilancio del reddito delle famiglie e dei consumi diffusi di beni e servizi.