04/11/2009

Unfit to Rule

Si è ormai formalmente concluso il più recente dei miti politici “de sinistra” confermando la storica inadeguatezza dei governi “de sinistra” a governare in modo consensuale le comunità che li eleggono al potere anche in modo democratico.

Intanto occorre formulare una considerazione che eviti equivoci nell’uso dei termini di sinistra e di destra. L’unico elemento che possa far considerare di sinistra una ideologia è quella che si può evincere dalle priorità che si intende seguire per garantire alla comunità “felici e luminosi futuri ricchi di concordia e di benessere ampiamente diffuso”. Infatti tutti i regimi politici, specialmente se eletti democraticamente, non possono che proporre bistecche per tutti e subito. Proporre infatti bastonate equamente distribuite per dilazionare il più possibile un premio finale non può che essere il programma di dottrine religiose che non si propongono di erogare felicità sul piano secolare.

Non è insomma sempre la promessa di “accelerare” l’avvento del benessere che qualcuno vuol “conservare” per sé a spese della maggioranza dei cittadini a costituire lo scopo pagante di ogni programma politico che si possa definire di sinistra ma piuttosto il modo in cui sia possibile estendere quell’auspicabile estensione del benessere a tutta la popolazione che si sollecita a dare il suo sostegno.

Il carattere “rivoluzionario” delle proposte contrasta con quello “tradizionale” che affida la velocità con cui è sempre avanzato il progresso civile al graduale mutare di usi e costumi indotto dalle soluzioni tecnologiche e organizzative che rendono compatibile la diffusione di benessere sul mercato in modo consensuale da parte di tutti i vecchi ceti sociali. Estendendo con ciò la mobilità sociale e la riduzione delle vecchie forme di discriminazione sociale e politica.

È di sinistra ogni proposta che, ribellandosi alla tradizionale dipendenza del progresso civile da quello economico e industriale, tenta di accelerare l’avvento di “tempi migliori”.

Ora questa accelerazione spesso viene proposta anche con metodi democratici. Cioè pur essendo sempre una proposta “rivoluzionaria” non è sempre necessariamente associata a un carattere violento della presa del potere, ovvero, il grado di violenza istituzionale non è sempre generale e criminale. Ne sono esempi le ascese al potere di Mussolini, di Blum, di Allende, di Obama e, perfino, dei sovietici col “golpe” contro il governo dei menscevichi. Perfino il caso Hitler può essere posto tra i regimi nati consensualmente dalla proposta rivoluzionaria di accelerare l’avvento del benessere ai tedeschi. Insomma non è sempre necessario in modo demagogico terrorizzare i benpensanti “conservatori” (non conservatori di privilegi ma conservatori di un metodo di gradualità e ragionevolezza consensuale priva di ispirazioni ideologiche) sull’inevitabile carattere distruttivo e sanguinoso di proposte rivoluzionarie (di sinistra).

Inevitabilmente però poi la Storia della civiltà ci pone di fronte ad una costante conclusione di ogni proposta rivoluzionaria. Le resistenze (legittime) che oppongono i detentori dei vecchi privilegi all’accelerazione della loro caduta conduce (legittimamente) i governi di-sinistra ad irrigidire attorno al nucleo più rivoluzionario della loro proposta ideologica le fondamenta del loro mandato a governare. Cioè quell’atto, magari anche democraticamente concesso alle origini dal corpo elettorale, viene congelato come una risorsa stabile di cui dispone il governo contro ogni forza ostile e quindi “illegittima”. Le negoziazioni che dovrebbero ispirare gli atti di governo perdono ogni fattibilità per l’irrigidimento sulle posizioni “rivoluzionarie” del governo di sinistra e quelle “reazionarie” che gli si oppongono.

Il risultato in Paesi in cui sono scarsamente diffusi e saldi nell’opinione pubblica comportamenti democratici inevitabilmente esclude dal dibattito “politico” i benpensanti “conservatori” e quel dibattito si trasforma in conflitto tra radicalismi di sostegno alle due parti; quella “rivoluzionaria” de-sinistra e quella “reazionaria” de-destra. L’esito inevitabile di queste evoluzioni è drammatico e può estendersi più o meno a lungo nel tempo. Dopo Allende il generale Pinochet è stato sostituito da una nuova democrazia moderata in pochi anni. Dopo Blum in Francia la democrazia “conservatrice” è pienamente ritornata al potere quasi subito. Hitler è stato eliminato nel bunker con atti bellici. Mussolini è caduto solo per essere entrato nel conflitto. Ma Lenin ha avviato un settantennio di regime sanguinoso e criminale che è caduto solo per l’insipienza della ideologia economica marxista. La rivoluzione americana è durata pochi anni per la distanza delle colonie dalla madre patria e per la scarsa importanza attribuita allora dai regimi europei alle colonie. Ma la rivoluzione francese, pur durata poco nella sua versione più sanguinosa, ha generato un lungo periodo di regimi autoritari. Così il governo repubblicano in Spagna è stato ribaltato dalla restaurazione monarchica sotto tutela della dittatura franchista.

Tornando a oggi abbiamo visto negli USA l’elezione di un homo novus e brillante oratore alla Presidenza di quella democrazia solo un anno fa. Obama Barack era talmente nuovo nella scienza politica sia nazionale che internazionale da permettere a ogni osservatore politico di proiettare sulla sua persona ogni valore di sinistra nella fortunata contingenza dell’avvento della globalizzazione che ha indotto su tutti i sistemi economici e sociali mondiali fenomeni di disagio (al fianco di aspetti pienamente positivi per tutti).

In tempi di “crisi” ci si affida più volentieri a un personaggio che si ritiene democratico e che promette un “cambiamento” (tanto più auspicabile quanto più celere). Una volta eletto a quella carica, Obama ha scoperto che ogni accelerazione doveva essere resa compatibile con la continuità e la fattibilità delle decisioni sia interne che estere. Il carattere salvifico proiettato simbolicamente sulla sua persona ha sospeso il giudizio per attendere le sue decisioni concrete dalle quali potesse trasparire la credibilità del suo programma elettorale.

A questo punto le aspettative “de sinistra” hanno dovuto subire costanti frustrazioni da parte di un uomo brillante, ragionevole ma impreparato (“unfit”) a governare una realtà mondiale e, addirittura, in un modo “rivoluzionario”. Una “brava persona” inoltre figlio di una “brava ragazza” sessantottina, sostenuto da due minoranze ideologicamente virulente (quella dei negri delle grandi metropoli urbane e quella dei liberal-radicali USA ispirantisi da sempre a ideologie social-marxiste) e con un profilo di personalità che si sta dimostrando sempre più da navigatore di piccolo cabotaggio tipico dei rappresentanti di banco eletti al Congresso o al Senato da gruppi di lobbying industriale o sociale.

L’assenza di scelte nuove contrasta drammaticamente con la mitizzazione del personaggio estesasi a base globale grazie alla irragionevole risonanza data dai media alla sua elezione e alle aspettative che vennero proiettate sulla sua persona impreparata e imbrigliata nei giochi di lobby che lo hanno finora sostenuto. All’estero si è proseguita la politica dei repubblicani con l’aggravante di un rallentamento di scelte già in nuce che hanno ritardato i successi raccolti e crescenti. All’interno le lobby finanziarie e sindacali hanno costretto Obama a riversare a spese del contribuente il salvataggio dal fallimento di gruppi che il gioco di libero mercato avrebbe “ragionevolmente” condotto a chiudere a beneficio dei concorrenti più sani. La sua riforma sanitaria erga omnes (inevitabilmente costosa e misteriosa almeno per le sue prime decadi) in un periodo di crisi finanziaria lo ha costretto a proporne il finanziamento statale con l’inevitabile scoperta di incompatibilità con la riduzione fiscale.

Da ieri l’atmosfera politica interna è cambiata drasticamente e Obama sarà costretto a giocarsi la carta della rielezione con il ritiro della riforma sanitaria “de sinistra”, la conferma delle scelte militari e diplomatiche in capo internazionale e con il ricorso all’unico strumento “proprietario” in cui eccelle; la dialettica retorica. L’unica incertezza alla sua rielezione resterebbe nascosta nel puro gioco politico interno e cioè se le lobby che lo hanno sponsorizzato fino ad oggi lo abbandoneranno correndo il rischio di una lunga serie di mandati repubblicani e se il partito repubblicano (il GOP) risucirà ad espellere ogni RINO (repubblicani solo di nome) e a riappropriarsi di proposte “conservatrici” del metodo politico della gradualità, del pragmatismo e della ragionevolezza.