04/09/2008

 

NuovoOrdineGlobale

Tutti gli eventi di interesse politico internazionale confermano che il processo di definizione del Nuovo Ordine Mondiale sta ormai in corso di conclusione.

Paesi destinati a ruoli da comprimari in specifiche regioni come la Russia sono costretti a bluff di retroguardia affidando le proprie residue capacità di negoziazione ad autolesionistiche azioni di ricatto nell’erogazione delle risorse energetiche a Paesi la cui collaborazione finanziaria e industriale costituisce per essa l’unica risorsa per riuscire a decollare dal permanente stato di sottosviluppo che rende tra l’altro scarsamente credibile l’uso della minaccia militare alla luce di un periodo di guerra fredda che porterebbe la Russia rapidamente a sperimentare un nuovo tracollo economico come quello vissuto dalla ben più potente URSS a suo tempo. Perduto lo status di potenza globale che poneva la Russia alla guida dell’Europa dell’Est e del Patto di Varsavia (Polonia, Cecoslovacchia Ungheria, Germania Est), essa è oggi costretta ad azioni ‘à la Chavez’ alla guida di un’alleanza ben meno credibile e solida (l’organizzazione per la cooperazione di Shangai che raggruppa Russia, Cina ed ex repubbliche sovietiche centro-asiatiche come Kazakhstan, Uzbekistan, Kirzichistan e Tagikistan). Una tale disperata scelta inoltre porta naturalmente la Russia a perdere ogni credibile ruolo di leadership geopolitica in Europa in alternativa agli USA. E quindi a ridurne le possibilità di scelte alternative al ruolo di naturale confine con la Cina a est e con l’Islam a sud. Ruolo prezioso per l’’Occidente’ ma per la Russia talmente vitale da richiederle necessariamente in futuro di cercare il costante sostegno di Europa ed USA.

Negli USA stiamo inoltre assistendo ad un totale recupero dello ‘spirito del ‘76’. Infatti, al di là dei commenti politici più concentrati sul folclore della campagna delle presidenziali USA, entrambi i partiti stanno subendo una drammatica rivoluzione interna per allinearsi alle aspettative del Paese di tornare a svolgere un ruolo egemone nel mondo grazie alla superiorità della propria economia. Dopo Teddy Roosevelt è nata al fianco di McCain (e in continuità col suo carattere di ‘ribelle’ alla cultura stagnante dei politicanti di Washington) la prossima prima presidente-donna degli USA. Come Teddy Roosevelt ella è un’americana di frontiera portatrice dei medesimi valori di pioniere e di amante della natura, delle armi, della caccia e vita all’aria aperta e soprattutto innamorata della tradizione di vincere le sfide della vita con l’impegno e col rischio individuale sostenuti dalla solidarietà della propria comunità a partire da quella in cui si svolge la propria vita quotidiana.

Barack Obama, pur anch’egli simbolo della ‘rottura’ avvenuta nel partito democratico, è troppo radical-chic per rappresentare la vera ‘svolta’ che la nazione americana si attende dal suo corpo politico. L’essere mezzo-negro-mezzo-musulmano non ne cambia l’atteggiamento, il linguaggio e la sua appartenenza all’inviso Congresso di Washington.

McCain è un riconosciuto ‘maverick’ (il ribelle buono, leale e cocciuto dei western) che può ben incarnare la tradizione politica di Washington più capace di conservare le radici della civiltà ‘Occidentale’ (dai Minuteman, a Lincoln, a Teddy Roosevelt, a Ronnie Reagan) mentre la Palin può ben incarnare col suo passato un’odierna pioniera che ha affrontato e vinto senza scappatoie né privilegi di nascita (al contrario dei Kennedy e dei Clinton) le difficoltà della vita come fecero gli americani che costruirono la grandezza della nazione conquistando il West e istituendo gradualmente l’egemonia americana nel continente (Houston, Crockett, Teddy Roosevelt) e nel mondo (Giannini, Hughes, Ford, Rockefeller).

Obama uomo nuovo ma radicato solo nel mondo degli affari locali di Chicago e da poco al Senato di Washington non può aspettarsi di essere l’oggetto delle proiezioni più simboliche dell’orgoglio americano e delle sue aspettative di riscatto dalle frustrazioni cui le ‘elite’ di Washington hanno sottoposto la nazione. Egli non può ‘incarnare’ (contrariamente a Hillary Clinton) le tradizioni dei figli dei fiori che hanno vissuto costruendo il disprezzo per tutto ciò che i conservatori USA hanno costruito nei due secoli di storia per rivendicare, alla soluzione dei problemi, terze vie fumose e ribelliste radicate solo sull’assistenza statale ai bisognosi, alla tolleranza per le deviazioni sociali ed alla ricerca di comprare il consenso politico anche presso le potenze più ostili. L’unico politico cui Obama può collegarsi per pure ragioni geografiche è Lincoln. Un Repubblicano proprietario di negri che tuttavia comprese il ‘valore economico’ (prima di quello morale che ne giustificava la campagna politica) del liberare da un impiego improduttivo quelle masse sociali per renderle disponibili per la crescita industriale del Paese (radicata al Nord). Obama non può ricevere sostegno alle urne neanche dai Democratici del Sud e del West che sono conservatori come la maggioranza dei Repubblicani e degli americani e che sono Democratici solo in quanto Lincoln era Repubblicano.

Obama potrà forse avere una chance dopo i due mandati di McCain e due successivi di Sarah Palin, purché a Washington in quel periodo dia prova di essersi guadagnato la stima oltre ai galloni come hanno fatto altri negri prima di lui tra cui Condoleezza Rice Repubblicana, stimata self-made woman del Sud e infatti odiata nelle Università più popolate dai radical-chic e ad Hollywood.

RomaCapitale

La diatriba in corso sul parcheggio sotto il Pincio è priva, come tutte le diatribe relative a Roma, di un quadro di riferimento che possa consentire di attribuire un giudizio serio. Infatti il quadro di riferimento dovrebbe essere quello del ruolo prioritario assegnato alla area metropolitana di Roma dal contesto geopolitico corrente.

Roma è certamente sede permanente della Santa Sede, uno dei centri del potere geopolitico da secoli prima che l’Italietta risorgimentale scegliesse di stabilirvi il governo nazionale ispirandosi a epoche ormai abbondantemente estinte. Ciò fornì persino l’occasione a Mussolini di ripristinare l’orgoglio degli italioti rinnovando in essi i comportamenti virili della stirpe di Enea. Un vero e proprio sforzo privo di basi culturali che condusse Mussolini ad una frustrante disillusione e il Paese a vivere una serie di scoordinati tragicomici episodi da operetta. Una sorta di programmi politici frequenti nella storia di cui abbiamo ricordo più recente nel fallimentare tentativo di Reza Pahlevi di resuscitare in Iran l’Impero Persiano di Ciro il Grande di cui egli si dichiarava erede. Casi più da centri di igiene mentale che da ragionati programmi politici.

Roma è altrettanto certamente ricettacolo di un patrimonio culturale senza pari al mondo che è stato costruito nell’arco di tre millenni e in gran parte grazie all’indiscutibile ruolo geopolitico di Roma dapprima e del Vaticano successivamente. Essere sede del Vaticano ed ospitare le ricchezze culturali sono due ruoli compatibili per Roma che ne suggerirebbero una destinazione ristretta al turismo di qualità ed elitario.

Roma inoltre è da sempre il centro che ha alimentato lo sviluppo economico di tutta la regione ed oltre estendendo i propri impatti su Umbria, Marche e parzialmente su Abruzzi, Campania e Sardegna. L’entroterra economico di Roma è stato sempre quello agricolo e marittimo connesso ad alimentazione e vacanze. Al fianco di questo nucleo industriale più solido si sono sviluppati nei secoli due altri comparti industriali. Quello culturale che dapprima concerneva l’architettura e le arti figurative e teatrali per poi alimentare le più moderne forme dello spettacolo Cine-TV. Ultimo è il comparto industriale manifatturiero che si è specializzato in piccole aziende di alta qualità tra le quali si è consolidato il ruolo parassitario delle aziende di stato ora in piena crisi.

La missione politica di Roma non è quindi quella affidatale dalle scelte da operetta dell’Italietta del 1800 né quella delle sue industrie manifatturiere. La sua missione, geo-politicamente stabile, può essere quella di centro mondiale sede di una cultura globalmente accettata come caratterizzante le comuni radici ‘Occidentali’.

Qualora questa fosse la missione geopolitica di Roma, occorrerebbe evitare di arrecarle ulteriori danni al patrimonio culturale tuttora sommerso con la costruzione di parcheggi inutili per una popolazione residente che si potrebbe rapidamente ridurre alla metà dell’attuale. Infatti basterebbe trasferire il governo del Paese in aree meno costose per i residenti (ad esempio Foggia o Trani) sia per ciò che concerne il clima, che gli immobili e l’alimentazione. Eliminando da Roma i Ministeri nazionali e le rappresentanze diplomatiche presso lo stato Italiano e, possibilmente, trasferendo anche la FAO e la sede del governo regionale (ad esempio a Filettino o Alatri) si ridurrebbe anche tutto il mondo parassitario di servizi a quella popolazione di residenti. Resterebbero allora a Roma la Santa Sede e le sedi diplomatiche presso di essa riducendo il traffico di superficie a dimensioni totalmente accettabili per le esigenze dei residenti residuali e del flusso di turisti caratterizzato da trasferimenti su mezzi pubblici o nelle aree pedonali del centro. Crollerebbero i prezzi di immobili, alberghi e ristoranti e contemporaneamente si aiuterebbe lo sviluppo di aree economiche più arretrate (Foggia, Filettino, Alatri, Trani).

Costruire parcheggi accanto ad altri pressoché inutilizzati come quello di Villa Borghese di cui il Pincio sostituisce una propaggine, sembra una scelta non-giustificata da una seria scelta politica e pertanto criticabile alla luce di criteri i più fantasiosi tra i quali prevalgono quelli della corruzione per puri fini speculativi e di scambio politico.