04/06/2010

Graduale perdita di lucidità di Obama-change-we-can

Dopo ormai due anni di governo della politica nazionale e internazionale si può trarre un giudizio sulla adeguatezza o meno di Obama a ricoprire il ruolo di protagonista e sulla sua capacità di esercitare una leadership interna o internazionale.

Sembra di poter riconoscere intanto la mancanza d’una visione chiara e di lungo respiro che possa suffragare lo slogan del change-we-can col quale si è proposto senza un chiaro programma di iniziative.

Successivamente si può riconoscere, una volta installato alla Casa Bianca, la sua velocità di apprendimento della cruda realtà che, in politica internazionale, aveva ispirato le scelte di George W Bush. Dopo avere accertato l’impossibilità di dare soddisfazione alle aspettative dei suoi elettori più radical-chick in merito alla fuga dai conflitti innescati dopo l’11 Settembre 2001, Obama vi ha gradualmente aderito ed ha intensificato le iniziative belliche in Asia confermando non solo la sua fiducia nelle soluzioni assunte da Bush ma anche confermandone le scelte dei collaboratori in materia di gestione delle operazioni sul campo (conferma del generale Petraeus e dei responsabili politici delle operazioni) e in materia di detenzione e di trattamento in carcere dei terroristi una volta che essi siano catturati (status giuridico dei terroristi).

Altra conferma delle scelte di Bush si è riscontrata nel ri-autorizzare le trivellazioni in alto mare e nelle nuove autorizzazioni di apertura di nuovi impianti nucleari.

In questa materia Obama ha dovuto prendere le distanze da un’altra ala integralista dei suoi elettori che, a Hollywood e nell’ala più ideologica del suo partito, pretendeva l’abbandono delle energie tradizionali (con la pretesa che fossero la fonte di un ‘man-made-global-warming’) per una scelta ‘ecologicamente rispettosa’ (con la pretesa che esse assicurino la sostenibilità economica al sistema produttivo industriale). Obama si è rapidamente liberato dalle pressioni esercitate dal sistema scientifico-mediatico-spettacolo con la ridicola attribuzione per meriti anticipati di un Nobel per la pace dall’eterna ala perdente del suo partito che ha sempre esercitato una sorta di ‘moral suasion’ sulla presidenza (da McGovern a Mondale ad Al Gore). Obama accettando il premio Nobel ha espresso tutto il suo stupore e scetticismo sull’averlo meritato. Da quel momento è stato un costante allontanamento dalla ala integralista del movimento ecologista che è terminato con il pieno discredito gettato su Al Gore dalle rivelazioni sulla truffa di dati scientifici manipolati al fine di suffragare il preteso paradigma del ‘man-made-global-warming’ che hanno condotto a ridicolizzare sia il Nobel di Al Gore che l’Oscar a lui attribuito dalla cricca di intellettuali di Hollywood (di tradizioni para- e filo-marxiste – da Charlie Chaplin, a Arthur Miller, a Jane ‘vietcong’ Fonda).

Per quanto concerne invece la sua lucidità e fermezza nel modificare la gestione di politica estera dai tradizionali assetti bilaterali a quelli professati di carattere multilaterale, occorre riconoscere un costante tentennamento deteriore in quanto demoralizza i partner che si sentono abbandonati mentre rianima i rogue states che ritengono di poterne sfruttare l’indecisione.

Anche in campo industriale occorre riconoscere l’assenza di fermezza e di coerenza mostrata da Obama nel sostenere da un lato la sopravvivenza del sistema finanziario a spese del contribuente contro il laissez faire in campo manifatturiero con l’incoerente vendita all’estero dei gruppi in via di fallimento con erogazione di incentivi a spese dei contribuenti e l’altrettanto incoerente accettazione dei programmi di accoglimento agli immigrati illegali, all’estensione erga omnes delle provvidenze sanitarie a spese del contribuente, al sostegno alla sindacalizzazione nelle aziende USA a spese della piccola e media impresa già in sofferenza

Anche nella lotta all’immigrazione clandestina Obama ha dimostrato di smarrire completamente la bussola in occasione della coincidenza della lotta alla droga che usa i confini col Messico con quella della sicurezza esaltata dalle masse di immigranti clandestini attraverso la stessa frontiera. L’invio di truppe per non permettere ai repubblicani di cavalcare l’insicurezza è stato in linea con le decisioni assunte da Bush anche se inadeguato nella consistenza per riuscire a conseguire reali risultati rapidi in materia.

Un vero e proprio smarrimento si è poi manifestato in occasione dell’incidente del pozzo petrolifero BP nel Golfo del Messico. Dopo avere attribuito ogni responsabilità alla BP (che usa le stesse tecnologie e si serve delle stesse compagnie specializzate in trivellazioni in alto mare di tutte le altre) ha lasciato totalmente sulla BP l’onere di condurre le operazioni di tamponamento e ripulitura riconoscendo così che quella azienda disponga delle migliori conoscenze tecnologiche in materia.

La continua attribuzione dei costi di ristoro dei danni provocati dall’inquinamento alla BP non è servita a dare a Obama alcun ruolo di leader e di fermezza nella conduzione delle responsabilità politiche. Infatti è chiaro che sia la BP a dover sostenere davanti ai tribunali l’onere della prova di responsabilità dell’incidente e la difesa contro le class action che le verranno intentate. Che l’onere sia poi spalmato sui contribuenti USA o, tramite i futuri aumenti di prezzo del combustibile sul mercato, ai consumatori USA ed esteri è un fatto secondario.

Sembra comunque patetico il tentativo di Obama di recuperare un’immagine da “commander in chief” in una situazione di evidente impotenza totale perfino da parte delle aziende più specializzate in materia di trivellazioni con le schiere dei loro esperti. L’assunzione mediaticamente riaffermata più volte di ‘assumere’ la piena responsabilità della gestione di un evento che trascende ogni capacità tecnologica odierna risulta un puro elemento demagogico. Nessuna mobilitazione di forze armate o di guardia civile potrebbe erogare una credibile soluzione ad un incidente tecnologico assolutamente straordinario che ha trasceso ogni rimedio tecnico installato dalle più avanzate aziende industriali specializzate nelle trivellazioni in alto mare. Aziende il cui reddito dipende proprio dall’efficacia dei meccanismi che garantiscono la sicurezza del funzionamento dei pozzi e la continuità del processo d’estrazione della materia prima estratta da essi.

Non potendoci essere alcun ‘complotto’ né autolesionismo industriale cui addebitare l’incidente industriale che sta generando l’inquinamento e che costituirà (come tutti i progressi scientifici, tecnologici e industriali) il fenomeno capace di migliorare le tecnologie estrattive e l’efficacia dei meccanismi della sicurezza ad essi associati, è ridicolo tentare di assumere il ruolo totalmente incredibile di ‘tutore’ degli interessi pubblici. Tanto più che tale ruolo viene saggiamente e prudentemente dilazionato in attesa che la soluzione di prima istanza (arresto dell’inquinamento) venga risolto dalle maestranze responsabili dell’impianto tecnologico che lo ha innescato invece di ricorrere ai ‘consulenti federali’ che sono certamente composti da accademici e professionisti meno esperti nella gestione dello specifico evento.

Altrettanto patetica e puramente demagogica è la posizione che Obama ha cercato di assumere nei confronti del ristoro dei danni ambientali e industriali provocati dall’inquinamento nell’area del Golfo del Messico. Si tratta in quel caso di un processo molto ben consolidato ed altrettanto bene tutelato da apposite misure di auto-assicurazione o d’assicurazione-riassicurazione suggerite a tutti i comparti industriali i cui rischi sono concentrati e i danni potenziali sono percentualmente elevati rispetto alle dimensioni del fatturato aziendale. Le azioni di risarcimento dipenderanno da molti fattori tra cui: l’imprevedibilità dell’evento (che a sua volta è funzione delle dinamiche dell’incidente che possono attribuirne la causa a un ‘Act of God’ oppure alla pura carenza di manutenzione - oliatura della valvola); gli articoli della polizza assicurativa che copre i danni da infortuni; le interpretazioni ed addebito delle responsabilità e della dimensione dei risarcimenti stabiliti dalle giurie popolari in carico delle cause che verranno sollevate davanti ai tribunali dei diversi paesi afflitti dal fenomeno (da singole istanze alle più complesse ‘class actions’); le possibili conseguenze delle diverse scelte sui costi futuri delle estrazioni in alto mare e del prezzo dei combustibili.

Tra l’altro, come detto in altra parte, sembra inevitabile che a pagare il prezzo dei danni causati all’ambiente e alle produzioni industriali oltre a quello addebitato allo studio e sviluppo dei rimedi tecnologici per rendere le estrazioni più sicure e redditizie, saranno chiamati i consumatori dei carburanti (aziende, famiglie, stato e individui) tramite aggiustamento dei prezzi al consumo. Dichiarare quindi che non saranno i contribuenti a sostenere il costo dell’incidente estrattivo è un’ovvietà giuridica difficilmente confutabile se non alla luce dei comportamenti seguiti invece in modo ‘illiberale’ proprio da Obama addebitando ai contribuenti l’onere del salvataggio dalla bancarotta di aziende bancarie e grandi gruppi industriali a seguito della ‘crisi finanziaria’ ancora in corso. Oltre ad essere un’ovvietà giuridica sotto il profilo ‘liberale’, l’affermazione risulta anche demagogica in quanto saranno inevitabilmente i contribuenti (anche i non consumatori di energia se mai ve ne fossero) a sostenere parti sostanziali dei costi quantomeno con l’aumento delle accise in coerenza con la crescita dei prezzi al consumo e alla loro ripercussione sui prezzi della catena produttiva e distributiva.

Obama avrebbe fatto meglio ad affermare ‘virilmente’ che: “ragazzi la vita è ‘precaria’ e nessuno può rinunciare a sostenere i costi del progresso industriale che ci rende la qualità di vita meno costosa e migliore di quanto non sarebbe altrimenti. Ciò che possiamo fare è valutare il modo migliore per ridurre i rischi per il futuro facendo tesoro degli incidenti del tipo cui assistiamo e assisteremo e che sono l’inevitabile ’prezzo del progresso’, in maniera totalmente analoga con il ‘prezzo della libertà’ che ci costringe ad impegnarci in situazioni internazionali che ci costano denaro e morti dei nostri ragazzi!”.

Anche la sua richiesta di dare mano a nuove trivellazioni ‘solo se siano di assoluta sicurezza’ risulta quindi un’affermazione patetica per chiunque abbia responsabilità di politica industriale. Se l’incidente non è stato dettato da incuria o criminale disattenzione delle maestranze o da obsolescenza degli impianti adottati, la sicurezza delle trivellazioni è un naturale elemento che ogni azienda petrolifera tiene in primissima priorità in quanto nessuno vuole trivellare per vedere poi perdere in mare la fonte di reddito della materia prima estratta. Comunque non esiste in nessun comparto industriale la possibilità di affermare ‘assolutamente sicuro’ alcun impianto che è soggetto a continue migliorie di sicurezza proprio grazie al manifestarsi di imprevedibili quanto indesiderati incidenti di percorso. La vita reale è ‘precaria’ in ogni suo aspetto e solo un fanciullone può pensare di tutelare la propria credibilità di leader dietro affermazioni infantili come quelle di ‘la colpa totale è della BP’ oppure ‘nessuna nuova trivellazione se non assolutamente sicura’.