04/02/2011

Potere e democrazia: top-down o bottom-up?

Il vero potere che legittima la vita democratica e libera è la manifestazione del diritto politico attivo, cioè il diritto elettorale a suffragio universale. Questa è la sede istituzionale che legittima ogni potere statale nello sviluppo dei ruoli in cui la carta costituzionale li suddivide diversificandoli e contrapponendoli in un mutuo bilanciamento di guida, di azione e di controllo.

Ogni tipo di discriminazione apposto alla partecipazione a questo diritto fondamentale, riduce la legittimità delle procedure istituzionali in quanto priva le minoranze discriminate di manifestare le proprie scelte con la partecipazione politica attiva alla elezione dei rappresentanti al gioco liberal-democratico.

Questo paradigma politico legittima dal-basso le scelte politiche e crea un criterio bottom-up di attribuzione dei loro poteri agli eletti in ogni potere istituzionale. Un criterio che, contrariamente a ciò che avveniva negli Ancien Regime, non consegna agli eletti ‘poteri’ sottoposti all’autorità monocratica da cui deriva ogni potere ed ogni assegnazione di compito esecutivo con il criterio ‘top-down’, ma consegna solamente ‘deleghe’ a dare attuazione ‘tecnicamente’ corretta al conseguimento dei fini che l’elettorato universale ha legittimato a criterio maggioritario tra i programmi politici propostigli. Si tratta di una delega di rappresentanza che è sempre un ‘mandato’ a raggiungere fini concordati impiegando secondo dettame costituzionale le procedure che consentono il corretto uso dei poteri concessi in delega per raggiungerli.

Il dissenso rispetto ai fini concordati all’atto dell’elezione priva di legittimità la rappresentanza e costringe a restituire la delega.

Questo criterio vale per l’attribuzione di legittimità a tutti i ‘poteri costituzionali’ (legislativo, esecutivo, giurisdizionale, mediatico, accademico). È sempre possibile tutelare sia l’indipendenza che l’eccellenza dei membri di tutti i poteri costituzionali con opportuni meccanismi che sottopongano a costante valutazione le loro prestazioni professionali. Meccanismi possibilmente gestiti da consessi esterni che non siano legati da diretti interessi. In campo accademico, grazie ai media di alta ‘divulgazione’ a carattere scientifico, si sono escogitati simili meccanismi dotati di adeguata credibilità. Tenendo conto che i ‘media’ costituiscono uno dei ‘poteri istituzionali’ che esegue una costante funzione di ‘controllo’ sull’operare di tutti gli altri, il comparto esamina le ricerche condotte in qualsiasi ente di ricerca (privato e statale) e su valutazione insindacabile della redazione pubblica quelle ritenute più meritevoli di diffusione ‘divulgativa’ a beneficio dei lettori del settore.

Analoghi meccanismi sono in vigore negli USA dove le sentenze emesse dai singoli magistrati sono valutate sotto il profilo ‘scientifico’ per i loro contenuti innovativi e scartate o pubblicate a seconda dell’eccellenza tra le altre emesse nel paese e ‘divulgate’ alla vasta audience dei magistrati e degli operatori del settore legale in associazione a commenti che ne descrivano le ragioni che hanno fatto meritare alla sentenza la dignità della pubblicazione. Anche le sentenze (e le ricerche accademiche) meno qualificate dovrebbero essere ‘divulgate’ e corredante di commenti di critica.

Questo impiego ‘educativo’ dovrebbe essere il compito precipuo dei media ad ogni livello della ‘divulgazione scientifica’.

Infatti in ogni liberal-democratico esiste a tutti i livelli il compito di ‘informare’ in modo scientificamente corretto ma fruibile alle varie fasce di audience su tutti i temi tecnici in cui s’articola il mondo delle moderne economie industriali. Prerequisito ad una appropriata assunzione delle responsabilità politiche a tutti i livelli è quello di una corretta, seppure sommaria, conoscenza dei problemi in questione.

Senza una adeguata ‘divulgazione’ non esiste possibilità di garantire ai cittadini una educazione di base che sia adeguata a consentire loro di sostenere la responsabilità di scegliere tra alternative proposte che i politici hanno localizzato tra le possibili soluzioni dei prioritari problemi che incombono sul corretto sviluppo della vita sociale. Prima che i tecnici ricevano la ‘delega’ a tradurre una soluzione tecnologica e organizzativa in una realtà industrialmente realizzabile e finanziariamente sostenibile, occorre infatti che la gamma delle soluzioni esistenti vengano illustrate dai tecnici ai delegati eletti al potere legislativo e che gli stessi illustrino nei loro alternativi scambi di costi, rischi e benefici alle constituency elettorali da cui hanno ricevuto ‘delega’ a studiare, valutare e proporre o escludere corredate dai commenti che devono ‘responsabilizzare’ ogni rappresentante eletto per la loro correttezza e validità di considerazioni.

Senza una adeguata ‘divulgazione’ non sarebbe possibile garantire i processi della ‘formazione permanente’ in alcuna fascia in cui questi processi sono necessari per consentire ai cittadini la responsabile assunzione di responsabilità. Responsabilità costanti, quotidiane e continuative nell’inserimento professionale, nella ricerca di migliorare la propria carriera, nella comprensione dell’evoluzione del contesto generale e gli apporti che le innovazioni tecnologiche offrono a migliorare le opportunità personali e familiari in quanto a occupazione, consumi, risparmi e investimenti.

Senza una adeguata ‘divulgazione’ d’altronde non sarebbe neanche possibile per i rappresentanti eletti a svolgere ruoli nel potere legislativo, condurre le proprie campagne politiche sia nelle competizioni elettorali sia nel corso dei dibattiti parlamentari che dovrebbero porre a confronto istanze diverse ispirate e sostenute da considerazioni ‘tecnicamente’ praticabili escludendo quindi istanze ideologiche fondate su considerazioni demagogiche.

Se non esiste una opinione pubblica capace di analizzare ‘localmente’ sulla base del ‘buon senso’ e criticare in proprio le ipotesi in corso di dibattito, non esisterà l’effettiva capacità di sostenere in modo ‘responsabile’ l’onere di legittimare i propri rappresentanti e i programmi politici più adeguati a risolvere i problemi della convivenza organizzata.

Se non esiste una credibile ‘divulgazione’ delle conoscenze tecnicamente corretta (anche se sommaria) ai vari livelli delle esigenze di ruolo non sarà possibile agevolare la conservazione di adeguate dosi di ‘buon senso’ dei cittadini produttori-consumatori-risparmiatori-elettori. La mancanza di ‘buon senso’ nell’elettorato è supplita dal ‘senso comune’ propalato dagli indottrinamenti ideologici della propaganda di ogni natura (politica, commerciale, religiosa, etc.). Votare ispirandosi al ‘senso comune’ costituisce la negazione della liberal-democrazia dalle sue stesse fondamenta; ‘Quarto Potere’ (Citizen Kane) docet.

Prerequisito al buon funzionamento del regime liberal-democratico è una opinione pubblica correttamente informata ed adeguatamente autonoma nella conduzione dei processi critici sulle ‘offerte politiche’ ad ogni livello del ‘mercato’.

Il mercato non è concetto che resti confinato nella sfera degli scambi di beni e servizi di consumo ordinario, esso infatti (secondo le migliori conoscenze della scienza – economia politica – e del buon senso; cfr. psico-economia e Daniel Kahneman, economia istituzionalista e Ronald Coase, teoria dei sistemi termodinamici instabili auto-organizzati e Ilya Prigogine, teoria matematica della criticità auto-organizzata e Per Bak) con la costruzione di meccanismi sussidiari ed interdipendenti costruisce un insieme organico e dinamico di celle che offrono transazioni alle celle adiacenti in una gerarchia di scambi capaci di garantire l’economicità delle transazioni di ‘interesse comune’; tutte le transazioni che esorbitino il ‘livello privato’ della famiglia (mono- o bi-nucleare, con o senza figli, adottati o meno).

La dinamica delle ‘istituzioni’ (tutte di interesse pubblico ma tutte passibili di operare sotto la proprietà dei ‘privati’ o dello ‘stato’) si fonda sulla ‘convenienza economica’ del servizio offerto; convenienza decisa dai consumatori con la loro libera adesione ai servizi da esse offerti; adesione la cui libera adesione può essere rallentata dall’alto di interessi corporativi (sempre ‘privati’ – monopoli, oligopoli – difesi da meccanismi più o meno liberali – dazi, agevolazioni, protezionismi, proibizionismi, etc.). La ‘convenienza economica’ alla lunga si impone su ogni altro criterio corporativo imposto dalla legittimità ‘politicamente corretta’ delle ortodossie ideologiche più fantasiose. Infatti l’esistenza di soluzioni istituzionali più economiche anche se illegali genera istituzioni (mercato nero, lavoro nero, contrabbando, etc.) la cui convenienza libera risorse sia al livello dei consumatori che a quello delle istituzioni gerarchicamente in contatto con essi. Queste maggiori risorse disponibili si incanalano in nuove istituzioni capaci di esercitare pressioni (lobbying) su quelle obsolete e non competitive anche se ‘legittimate’ dalle vecchie leggi corporative e inefficaci. Pressioni sempre più efficaci che inizialmente creano un doppio mercato parallelo, quello legale inefficiente e quello non ancora riconosciuto sul piano formale ma tacitamente accettato come contropartita alla sopravvivenza delle vecchie istituzioni sempre più ‘parassitarie’. Gradualmente il mercato dei consumi aderisce in modo prevalente alle istituzioni ‘tollerate’ mentre il consumato dei servizi erogati dalle istituzioni ‘legali’ svanisce rendendo ‘inutili’ i vecchi enti erogatori. Si richiede a quel punto un apposito provvedimento legislativo che elimini gli ‘Enti inutili’. Le vecchie corporazioni parassitarie resistono al provvedimento fintantoché i loro interessi ‘clientelari’ non ricevano tutela con trasferimento concordato dei clientes ad altre istituzioni.

È ciò che accade nel cambiamento indotto dall’innovazione tecnologica industriale in ogni paese. Ne sono recenti esempi preclari i casi delle Radio-TV ‘libere’.

Questo processo di ‘scalzamento’ delle vecchie istituzioni con nuove più congeniali alle esigenze ed alle aspettative del mercato coinvolge in diversa sequenza temporale tutte le istituzioni di pubblico interesse.

Dapprima costringe le aziende a rivedere la propria struttura e normativa organizzativa per sopravvivere alla competizione industriale.

Successivamente costringe le istituzioni di livello gerarchicamente ‘superiore’ che sostengono l’economicità operativa delle aziende (banche, assicurazioni, servizi finanziari, servizi commerciali, agenzie del lavoro) ad aderire a comportamenti più adeguati alla realtà in cui i loro clienti sono costretti a competere. Anche quelle ‘istituzioni’ di interesse pubblico (aziende o enti statali non importa) devono modificare i propri servizi pena la loro graduale ‘sostituzione’ da parte di operatori più o meno legalmente tollerati.

Infine anche le istituzioni d’interesse pubblico più remote ai criteri operativi aziendali (camere di commercio, associazioni sindacali, istituti statali di servizio all’industria – SIAE, ICE, etc.) sono costrette a modificare le proprie prestazioni al mercato per non essere gradualmente trascurate dal mondo imprenditoriale o per non costringere le aziende a trasferire le proprie sedi produttive in contesti statali più favorevoli ad agevolare la loro sopravvivenza nella libera competizione sul mercato. È ciò che, in tutti gli Stati Nazione, sta avvenendo oggi sotto la pressione dell’internazionalizzazione degli scambi industriali; fenomeno esogeno che ha creato due strumenti per imporre il progresso liberal-democratico ed il benessere economico, il primo è la crescita dei redditi oltre ogni vecchia barriera dei vecchi privilegi nazionali, il secondo è la correlata diffusa crescita di aspettative di maggior benessere e più ricca scelta di consumi presso l’opinione pubblica al di la dei confini etici, nazionali, ideologici e culturali ed accessibile a fasce crescenti di reddito personale.

Il cambiamento imposto dal mercato (libero in quanto extra-legale) sollecita quindi l’avvento di forme più moderne di istituzioni statali senza necessariamente imporre di attraversare le drammatiche discontinuità istituzionali sperimentate in altre epoche (rivoluzioni).

Talvolta infatti l’avvento dell’innovazione industriale segue ritmi così accelerati da non consentire lunghe fasi di convivenza del vecchio sistema istituzionale con il nuovo emergente per l’imposizione d’una realtà ‘illegale’ ma più appetibile ed efficace nei confronti del consenso dei consumatori. In questi casi il cambio istituzionale avviene traumaticamente seguendo percorsi di discontinuità che sono ben descritti dalle teorie dei sistemi termodinamici in stato di permanente criticità. È ciò che sta avvenendo oggi in molti paesi non industrializzati e nei meno industrializzati anche in Europa a seguito della globalizzazione industriale.

La liberazione dai regimi illiberali del passato avviene grazie a meccanismi esogeni al sistema istituzionale.

Meccanismi pragmatici e privi di criteri settari ideologici in quanto dettati dalla regola ‘universale’ premiale della maggiore efficienza produttiva e migliore redditività di allocazione delle risorse finanziarie - sempre scarse rispetto alle esigenze dello sviluppo economico ed eticamente ‘trasparenti’ rispetto ad ogni ideologia secolare o trascendente (pecunia non olent!).