03/12/2009

Legittimità, Legalità e Progresso

Occorre forse gettare qualche osservazione sul modo in cui si sviluppa il progresso della civiltà e della liberal-democrazia nella costante ricerca d’un equilibrio (non sempre facile) tra conservazione e innovazione che riesca ad evitare deteriori fasi di stasi generate da accelerazioni traumatiche perché insostenibili sul piano sociale le quali sollecitano sempre fasi altrettanto deteriori di reazione verso la restaurazione di ormai inaccettabili (anche se nostalgicamente a suo tempo gradite) assetti sociali ed economici.

Il progresso è sempre causa di scomode destabilizzazioni di vecchi assetti che fino a quel momento si sono incarnati in istituzioni (norme, procedure e organizzazioni) che codificano la “legalità” della vita civile. Le più diffuse aspirazioni a progredire verso nuovi assetti più soddisfacenti per le aspettative maturatesi nella società civile sono sempre causa di scomodi mutamenti istituzionali. Entrambe quelle sollecitazioni sono “legittime” sia quelle verso il cambiamento nutrite dai “consumatori” di un’offerta di beni e servizi ormai non più adeguati a soddisfare aspettative (spesso indicate come “domanda inespressa” dalle istituzioni che ne curano il soddisfacimento – aziende industriali o movimenti politici) e verso la conservazione di stabilità da parte delle istituzioni in vigore (che, anche se efficienti e produttive, si ispirano ad un passato in via di obsolescenza).

In regimi liberal-democratici il criterio che legittima il progresso non è quindi mai la “legalità” sotto la quale si presenta l’innovazione. Essa viene “creata” dall’intraprendente lungimiranza di “innovatori” industriali o politici che, proponendo un’offerta non ancora prevista dalle “leggi” attuali, risulta sempre “illegale” e viene infatti, sul piano politico-istituzionale, tutelata da specifici strumenti di guarentigia istituzionale sino essi relativi alla libertà di parola o all’immunità parlamentare.

L’innovazione scientifica ha trovato parziale tutela nel passato in quanto voce della libertà di espressione mentre l’innovazione tecnologico-industriale è sempre restata l’unica forma di formulazione del progresso civile che ha dovuto patrocinare la propria libertà di manifestazione attraverso efficaci resistenze opposte contro la sua “legalità” dalle molte lobby dei grandi privilegi economici e corporativi che si radicano nella società civile attorno alle soluzioni tecnologiche del passato ma caratterizzate da piena “legalità”. Si crea in questo comparto una discrasia tra la “legittimità” delle nuove offerte agli occhi del consumatore-elettore e la loro “illegalità” sostenuta dialetticamente dai detentori di privilegi arroccati ad offerte inadeguate anche se “legali”. In questi casi è la “legittima” rivendicazione del nuovo (anche se “illegale”) a dettare l’avvento delle innovazioni industriali, sociali e politiche contro ogni resistenza, resistenza, resistenza messa in atto (seppur “legittimamente”) dai difensori d’ufficio della conservazione del vecchio. Ciò avviene secondo la “legittimità” liberal-democratica contro la “legalità” delle istituzioni liberal-democratiche obsolete in quanto a prevalere tra i patrocinatori del cambiamento e i difensori dello status quo sono i “consumatori” dell’offerta di libertà sempre crescente che è solo il libero e individualista intraprendere di creativi e capaci produttori (nella ricerca in politica o nell’industria) a concepire e a proporre sul “mercato” tra le molte difficoltà e rischi personali.

In definitiva possiamo riepilogare ciò che la Storia ci insegna relativamente al modo in cui il Progresso civile e industriale si realizza sul campo. Dapprima si manifesta una graduale insofferenza nei confronti del tipo di beni e servizi disponibili sul mercato. Successivamente qualche capace professionista riesce a tradurre la “domanda inespressa” in beni o servizi innovativi che la appaghino. L’intraprendenza di quegli imprenditori si consolida sul mercato grazie ad una crescente domanda dei beni o servizi innovativi da loro offerti al di là degli standard “legali” che caratterizzano l’offerta dei vecchi beni e servizi nell’ancien regime. L’aumento di popolarità dei nuovi beni e servizi accresce la simpatia nei confronti dell’imprenditore innovatore che resta sul piano aziendale o politico come una base di popolarità del singolo professionista-innovatore. L’aumento di consumi dei nuovi beni e servizi aumenta la disponibilità di ricchezza complessiva sul mercato ma sottrae inevitabilmente porzioni di mercato ai vecchi produttori di beni e servizi. Anche se ciò non fosse, l’arrivo sul mercato dei nuovi produttori di beni e servizi costringe i vecchi “gestori” ad accogliere tra loro i nuovi con il risultato di diminuire la porzione di “potere” decisionale in mano ai vecchi centri di potere istituzionale. Ciò genera crescenti resistenze soprattutto da parte dei detentori del potere meno competitivo con l’innovazione che cercano di conservare le proprie posizioni di privilegio parassitario. Le lobby dei vecchi ed obsolescenti poteri attivano le loro resistenze tramite i canali istituzionali di cui hanno familiarità e le traducono in tipi di “leggi” protezioniste sul mercato che rendono perseguibili produttori e consumatori dei nuovi beni in quanto “illegali”. A questo punto si crea una frattura all’interno del “mercato” dei consumatori chiamati a scegliere tra adesione “illegale” ai nuovi beni e servizi (stampa clandestina, mercato nero, contrabbando) o rinuncia a essi per timore delle conseguenze “legali”. Il Paese Reale si separa dal Paese Legale in modi sempre più evidenti ma “sommersi”. Le procedure che alimentano i nuovi consumi “illegali” ricevono consenso da parte della “legittima” aspettativa dei consumatori. Ciò vale per esteso anche per l’offerta di beni e servizi di contenuto “politico” (stampa, Radio, TV, ideologie, religione). La discrasia tra “legalità” e “legittimità” dei comportamenti si traduce in costi sociali ed economici sempre più massicci. Giunti a un punto di illogica crescita di costi aggiunti per pure ragioni “clientelari” e “parassitarie”, la ribellione sociale al doppio mercato si traduce in disponibilità politica a convertire la simpatia dei consumatori in disponibilità a concedere il consenso elettorale per “delegittimare” il Paese Legale e dare nuova “legalità” al Paese Reale. Ciò impone più o meno drammatiche fasi di cambiamento delle vecchie istituzioni su assetti più adeguati alle nuove abitudini dei consumatori.

È ciò che sta avvenendo in Italia dal momento in cui Craxi e Berlusconi (per ragioni diverse ma convergenti) hanno consolidato le TV-libere (allora “illegali”) in un gruppo industriale tra i più moderni e innovativi del Paese capace di dare sostegno di simpatie e consensi elettorali ad un cambiamento istituzionale che ancora resiste, resiste, resiste senza alcuna speranza di poter restaurare quel consociativismo che, oltre a non avere più alcuna base legittima nel contesto geopolitico odierno, è stata causa della bancarotta istituzionale e industriale di tutti i gruppi parassitari e delle corporazioni ad essi ancorate (IRI, Confindustria, Sindacati, para-stato).

Ma è anche ciò che è avvenuto da sempre in regimi illiberali come in regimi liberal-democratici. Solo per dare un recente esempio, il proibizionismo negli USA dopo la prima guerra mondiale, si è tradotto nella legittimazione di fortune familiari legate al mondo dello spettacolo e del gioco d’azzardo, oltre che al puro comparto dei consumi alcoolici, fino a creare nuove legislazioni e modifiche costituzionali in Nevada, New Jersey e in California.

È talmente evidente questa “lezione” della Storia del Progresso umano da fare apparire patetiche le posizioni che dopo oltre vent’anni vengono opposte al riconoscimento del ruolo positivo per l’innovazione del Paese e ancora non tradottosi in pratiche innovazioni istituzionali per un arroccamento su una “legalità” di quella Carta Costituzionale che è sempre restata scarsamente applicata, spesso scavalcata, strumentalizzata e nata comunque con linguaggio forbito ma mistificante per l’attribuzione diversa di valore alle affermazioni che sono presenti nella Prima Parte. Una diversità che rasenta l’incompatibilità se si pensa che i giuristi che contribuirono alla stesura si ispiravano a tre distinte ma conflittuali paradigmi etico-politici: la dottrina sociale della Chiesa, la dottrina sociale marxista, il minoritario ma egemone paradigma dirigista-keynesiano dei grandi gruppi finanziari e industriali internazionali.

Ciò che invece sta accadendo in Italia grazie alla caduta del muro di Berlino e alla conseguente esplosione del mercato a dimensione globale, è finalmente la possibilità che sia il “buon senso” diffuso del consumatore a dettare l’innovazione delle istituzioni e del relativo nuovo “senso comune” che ne deve ispirare il “servizio” alle aspettative dei “consumatori”. Consumatori che, oggi, sembrano assolutamente insensibili a istanze datate quali quelle che hanno ispirato i Padri Fondatori in un periodo carico di odio interno, di sospetto reciproco e legittimato non tanto dalle scelte elettorali ma dal contesto geopolitico di guerra fredda che ne coartò la libertà fino al famigerato “turatevi il naso” di Montanelli attraverso l’esclusione illiberale su base del famigerato “arco costituzionale”.

È ora di finirla con il teatrino delle parti e soddisfare le aspettative dei “consumatori” traducendo il “senso comune” del regime in un senso che sia compatibile col “buon senso” prevalente nel corpo elettorale. Le più recenti posizioni di Bersani nei confronti di Berlusconi sembra possano inaugurare la fine dei cialtroni e dei guitti sulla scena dei “servizi politici”. Anche in Italia i venditori di tappeti, di elisir di ofidi e i pork-barrel-hooders sono giunti apparentemente al traguardo finale. Dopo la sospensione ad interim della persecuzione giudiziaria a Berlusconi-Craxi si riuscirà a definire la Nuova Costituzione italiana in un’epoca in cui essa non avrà alcun valore in quanto sottoposta sul piano del diritto alla legislazione Europea e alle inevitabili altre sudditanze europee nel contesto geopolitico globale ma avrà il valore ideale di chiudere un nefasto periodo di stasi della liberal-democrazia in Italia.